L’Euribor, il tasso a cui è agganciata la gran parte dei mutui a tasso variabile, sta scendendo ancora. Il giorno dopo il taglio dei tassi ufficiali da parte della Banca centrale europea quello a tre mesi è arrivato al 4,47% dal 4,59 del giorno precedente, quello a un mese al 4,10% dal 4,25. E già qui si vede che c’è qualcosa che non va: la Bce ha tagliato dello 0,75%, l’Euribor a 3 mesi è sceso dello 0,12 e quello a un mese dello 0,15. Certo, si tratta di un tasso di mercato (quello a cui le banche si scambiano il denaro tra loro), quindi non c’è niente di automatico ed è assai probabile che continuerà a scendere nel prossimo futuro. Però persino il presidente della banca centrale, Jean Claude Trichet, ha ritenuto – cosa abbastanza inusitata – di dover fare un richiamo in materia: “Ci aspettiamo – ha detto – che le banche facciano il loro dovere”. Certo, le prossime rate dei mutui scenderanno, ma è assai probabile che finché non saranno del tutto passate le turbolenze della crisi finanziaria (e ci vorrà parecchio tempo, mesi se non anni) l’Euribor si manterrà sensibilmente al di sopra dei tassi ufficiali, come lo è stato, a livelli che raramente si erano visti in passato, per tutto quest’ultimo periodo, come si può vedere dal grafico.
Quindi, chi aveva un mutuo indicizzato all’Euribor ha pagato rate molto più care. E’ giusto? E’ corretto che un prestito a lungo termine – anzi, spesso lunghissimo, visto che ora si fanno mutui della durata anche di 30 o 40 anni – sia indicizzato ad un tasso di mercato che “si muove” molto, perché registra ogni giorno tutti gli sbalzi legati alle variazioni di liquidità nel sistema del credito?
Che non sia corretto se ne sono convinti ormai anche i banchieri centrali. Lo ha detto Lorenzo Bini Smaghi, del consiglio direttivo della Bce, suggerendo di legare invece i mutui ai tassi fissati dalla banca centrale, e lo ha ripetuto nel suo discorso alla Giornata del risparmio il governatore di Bankitalia Mario Draghi.
E una banca che ha raccolto l’invito c’è già, la Bpm (Banca popolare di Milano): offrirà un mutuo indicizzato al tasso Bce maggiorato di 1,5 punti (quello che in termine tecnico si chiama spread di 150 punti base). Conviene? Adesso sì, perché l’Euribor come abbiamo visto è molto più alto del tasso Bce, e anche all’Euribor le banche aggiungono uno spread. Più basso, però: da quando le “lenzuolate” di Bersani hanno dato la possibilità di cambiare mutuo quasi senza spese, tra le banche c’è stata un po’ più di concorrenza e negli ultimi tempi si trovavano offerte all’Euribor 0,50. Così, se la distanza tra quest’ultimo e il tasso Bce tornasse a livelli un tempo normali (vedi sempre il grafico) ci si troverebbe a spendere di più. Ci sono però due osservazioni da fare: innanzitutto si sarebbe ancorati a un parametro più stabile, perché la Bce non cambia i tassi tutti i giorni; in secondo luogo, se qualche altra banca deciderà di fare concorrenza alla Bpm chiedendo uno spread più basso, si potrà sempre (San Bersani…) cambiare il mutuo con quello alle condizioni più favorevoli.
Ma perché le banche utilizzano questo parametro e sono così restie a cambiarlo? A prima vista sembrerebbe un discorso semplice: la banca, per prestare il denaro a chi chiede il mutuo, lo “compra” a sua volta sul mercato interbancario, e lo spread non sarebbe altro che il “ricarico”, la remunerazione dell’operazione. In realtà non è proprio così. Perché le banche raccolgono denaro anche attraverso altre vie, ed essenzialmente due: i depositi dei correntisti e l’emissione di obbligazioni che vengono poi vendute sul mercato. Ora, una delle regole auree del credito è che il debito che fa la banca a fronte del prestito che concede dovrebbe avere lo stesso ordine di durata. Ossia un prestito a lungo termine (come il mutuo) dovrebbe essere coperto con un indebitamento ad altrettanto lungo termine. Tra l’altro, questa era la scusa che le banche mettevano avanti per imporre forti penalizzazioni in caso di estinzione anticipata dal mutuo. E questo era anche il motivo per cui, fino a pochi anni fa, alle banche che raccoglievano depositi era fatto assoluto divieto di praticare il credito a lungo termine (cosa per cui esistevano istituti specifici) e tanto meno di acquisire partecipazioni azionarie nelle imprese.
Oggi, essendo stato adottato il modello della “banca universale”, queste cose le possono fare (anche se entro limiti stabiliti). E di fatto la raccolta della banca non avviene in maniera specifica per questo o per quell’obiettivo, basta che alla fine vengano rispettati determinati parametri globali che riguardano il patrimonio e gli impieghi. Le banche, dunque, per erogare i finanziamenti utilizzano i soldi dei depositi, che sono a costo quasi zero; fanno provvista sul mercato interbancario, pagando appunto il tasso Euribor che dunque varia ogni giorno in relazione alla domanda e all’offerta; e soprattutto emettono obbligazioni. Secondo i dati di Bankitalia, attualmente il valore dei prestiti in essere per i mutui si aggira in Italia sui 260 miliardi di euro; lo stock di obbligazioni bancarie raggiunge invece i 620 miliardi di euro. Infine, le banche possono finanziarsi (a breve termine) presso la banca centrale, naturalmente al tasso ufficiale.
Torniamo alla nostra domanda: perché l’Euribor per i mutui? Proprio perché è il tasso più “ballerino”: le altre forme di raccolta hanno costi più stabili. In questo modo il rischio di mercato (cioè il rischio di impennate del costo del denaro interbancario, che non è necessariamente quello che serve per finanziare i mutui, ma che comunque la banca utilizza) viene interamente scaricato sul cliente. Del resto, lo stesso comportamento viene adottato per le imprese, i prestiti alle quali (sempre secondo i dati Bankitalia) sono per il 95% a tasso variabile, mentre all’estero questa quota è sensibilmente più bassa.
Dunque, basare i mutui sul tasso Bce significa, per la banca, assumersi un rischio maggiore: è per questo che richiede un premio (lo spread) molto superiore, circa il doppio di quello ormai più diffuso sul mercato. Però, come dicevamo sopra, da una parte il debitore corre meno rischi di infarto (e di rimanere imprevedibilmente in bolletta a causa di impennate come quelle degli ultimi tempi); e dall’altra, si può sperare che la concorrenza faccia il suo mestiere, facendo arrivare sul mercato prodotti meno cari.