La tedesca, il francese
e il giapponese Almunia
Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno firmato un appello congiunto per sospendere le regole europee che impongono un rigore di bilancio che non permette di tamponare i guasti della crisi finanziaria. Solo il commissario alle Finanze Joaquin Almunia continua a insistere su quelle regole, come i giapponesi che continuavano a combattere senza sapere che la guerra era finita
(pubblicato su Repubblica.it il 25 nov 2008)
L’Unione europea è formata ormai da 27 Stati, ma – ora come da molti anni a questa parte – è capace di muoversi e prendere decisioni impegnative quando sono d’accordo due soli di essi: la Germania e la Francia. Il fatto che la cancelliera Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy, seppure nella forma inusuale di un articolo di giornale, abbiano chiesto insieme di sospendere i parametri di Maastricht, conferisce alla richiesta un’alta probabilità di andare a buon fine.
Per esser più precisi, non si tratta tanto del Trattato di Maastricht, quanto del successivo Patto di stabilità. Notano gli esperti che l’articolo 104C del Trattato (quello appunto sui disavanzi) parla di mantenere un debito pubblico in equilibrio. E’ il Patto che prescrive invece l’obiettivo del pareggio di bilancio, costringendo quindi a far diminuire in maniera continuativa il debito.
Ma in una situazione come quella attuale, con una crisi finanziaria mondiale di dimensioni inusitate che sta facendo pesare i suoi effetti sull’economia reale, con il rischio che tutto il pianeta piombi in un periodo di deflazione, che è una malattia ben più grave dell’inflazione perché non si sono ancora trovate armi davvero efficaci contro di essa; in questa situazione il commissario Ue Joaquin Almunia, che continua a ripetere che il Patto è sempre in vigore e che si può sì sconfinare nel rapporto debito/Pil, ma di pochi decimali e per il più breve tempo possibile, sembra uno di quei giapponesi rimasti in qualche isola sperduta che continuavano a combattere una guerra finita da tempo.
Gli americani non si sono certo preoccupati del loro debito pubblico quando hanno capito la gravità della situazione. Un debito che all’inizio del nuovo secolo era intorno al 30% del Pil e che quando è stato presentato il piano Paulson era già arrivato all’87% (e ora, dunque, è salito ancora con i provvedimenti delle ultime settimane). Non se ne sono preoccupati appunto perché l’altro rischio, quello di non sostenere l’economia in questo momento, è assai più grave. Certo ricordano ancora la difesa dell’obiettivo di bilancio in pareggio che nel ’29 fu uno dei fattori determinanti della Grande Depressione.
In Europa la maggior parte dei paesi economicamente più forti è assai vicino alle prescrizioni di Maastricht (cioè al 60%) nel rapporto debito/Pil. C’è dunque spazio per una politica espansiva, per un po’ di deficit spending di keynesiana memoria. Certo, l’Italia non è nelle stesse condizioni, con il suo deficit/Pil ancora al di sopra del 100%. Ma qualcosa comunque può fare: l’economista Ruggero Paladini ha calcolato che una manovra espansiva fino a un punto di Pil interromperebbe sì la discesa del rapporto, ma non lo farebbe crescere.