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 Politica Riduci

Le riforme “inutili”
ma inderogabili

Siccome avrebbero effetti insufficienti per ridurre deficit e debito pubblico una serie di provvedimenti, dai costi della politica alle spese per consulenze nella P.A., vengono accantonati, come se i governi avessero il solo obiettivo di rispettare i parametri che derivano dagli impegni europei. Ma nell’Italia della crisi questo è diventato intollerabile

(pubblicato su Repubblica.it il 18 nov 2013)

“Se ne ricava troppo poco per il deficit”, “Ci vuol altro per ridurre il debito”. Nelle ultime settimane, ma anche mesi e anni, queste frasi hanno avuto l’effetto di far passare in secondo piano, e di fatto affossare, una gran quantità di possibili provvedimenti per correggere iniquità, sprechi o spese clientelari proposti da qualche opposizione parlamentare o da organi di informazione o da associazioni di cittadini. I costi della politica? Ma sono quattro soldi! Le pensioni d’oro? Ancora meno. E così via.

Sono scuse? No, non lo sono. E’ vero che quelle voci, prese una a una e forse anche tutte insieme (forse), non risolverebbero i problemi dei conti pubblici. Ma sembra, in questo modo, che qualsiasi governo abbia un solo obiettivo, quello di rispettare i parametri di bilancio che derivano dagli impegni europei. Ma allora, l’equità? L’utilizzo razionale dei soldi della tasse dei cittadini, che dovrebbe essere un impegno prioritario anche se deficit e debito fossero zero? L’eliminazione di sprechi e clientele, che non c’entrano con nessuna crisi ma solo con una corretta amministrazione? A queste riforme “inutili” sarebbe ora di metter mano, anzi lo sarebbe stata da un pezzo.

Non passa giorno senza che emerga una notizia che fa sobbalzare il cittadino che paga le tasse (figuriamoci chi non arriva a fine mese). Lo scandalo Fiorito, il consigliere comunale di Roma detto “Er Batman”, ha per esempio fatto emergere una realtà che era ignota a chiunque non fosse molto addentro alla politica e all’amministrazione. Il fatto, cioè, che i Consigli comunali (ma anche quelli provinciali, regionali e chissà quanti altri) si assegnano – al di fuori di ogni controllo che non sia di loro stessi – somme di denaro che possono essere relativamente ingenti per finanziare la loro “attività politica”. Anche se non venissero poi usati, come è emerso in moltissimi casi, per vacanze, cene lussuose, ricche mance ad amici e parenti e persino per il gioco, ma come? Pensavamo che il finanziamento della politica fosse quello noto ufficialmente come “rimborsi elettorali” (i “quattro soldi” di cui si parla), invece scopriamo che nei fatti ne costituisce una piccola parte. Si è preso qualche provvedimento in proposito? Non risulta.

Nelle Regioni le retribuzioni dei consiglieri sono molto diverse tra l’una e l’altra. Qualcuno ha calcolato – e il dato sembra attendibile – che se venissero uniformate a quelle della Lombardia, non certo la Regione più povera e neanche la più avara, si otterrebbe un risparmio complessivo di 600 milioni: non ci si abbatte il debito, ma non sono nemmeno “quattro soldi”. Qualcuno vuole porsi il problema? Da un’inchiesta televisiva è emerso giorni fa che il direttore generale dell’Atac, l’azienda romana di trasporti disastrata e in profondo rosso, ha uno stipendio di 600.000 euro Sembra normale? Quanti stipendi analoghi ci sono nelle 8-9000 società che fanno capo agli enti locali, che continuano a lamentarsi di non avere i soldi per far funzionare i servizi e continuano ad aumentare le addizionali sulle imposte, le tasse sulla spazzatura e le aliquote della varie tasse sulla casa? Il politologo Edward Luttwak ogni volta che appare in televisione ci ricorda che il governatore del Molise guadagna il doppio di Obama, e il nostro capo della polizia il triplo del capo della Cia. Tutte le nostre istituzioni, dalle Camere alla presidenza della Repubblica, dalla Consulta alla Banca d’Italia, sono le più costose del mondo, e magari si vantano se presentano un bilancio che non prevede altri aumenti o taglia qualche spicciolo.

Nella pubblica amministrazione si spendono per “consulenze” circa due miliardi e mezzo l’anno (e questi non sono neanche spiccioli). Sono già state fatte due o tre leggi per tagliare questa spesa, tanto efficaci che non è diminuita di un euro. Sono soldi che spesso servono a dare “la paghetta” ad amici e clienti (è il caso delle consulenze di importo ridotto, magari qualche migliaio di euro), altre volte vanno ad arrotondare gli stipendi di chi, essendo già un pubblico dipendente, qualsiasi consulenza dovrebbe fornirla gratis, come parte del lavoro per cui è già retribuito. E poi ci sono gli arbitrati, i collaudi e mille altre invenzioni che fanno uscire a volte rivoli, a volte torrenti dalle casse dello Stato, a beneficio di pochi.

Ci vorrebbe tanto a varare una norma che stabilisca “una testa, uno stipendio”? Ossia che dipendenti e dirigenti pubblici (o meglio, del settore pubblico allargato) anche se hanno più di un incarico non possono ottenere altri stipendi, gettoni, consulenze o prebende varie, visto che se dedicano il loro tempo ad una cosa necessariamente non stanno lavorando per un’altra?

Si potrebbe continuare quasi all’infinito toccando i campi più svariati: si sono scritti libri su questi argomenti. Tutto o quasi si sa, ma nulla cambia. Nell’Italia della disoccupazione alle stelle e dell’impennata della povertà assoluta e di quella relativa tutto questo è davvero intollerabile. Queste riforme saranno forse “inutili” per sanare i conti pubblici, ma sono davvero inderogabili.


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