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 Politica monetaria Riduci

I tecnocrati dalla lingua biforcuta

Che non si debba dare valore ufficiale ai giudizi delle agenzie di rating l’ha detto fin dal 2009 la Commissione de Larosière e poi l’ha ribadito il Financial Stability Board allora presieduto da Draghi. Ma il regolamento del Fondo salva-Stati dice che può investire solo in titoli doppia A: così si comprano i Bund tedeschi coi soldi dei paesi in crisi

(pubblicato su Repubblica.it il )

Non si finisce mai di stupirsi per il fatto che una crisi scatenata e alimentata da una finanza male (e spesso per niente) regolata sia stata affrontata con strette feroci sull’economia reale, mentre le riforme del settore finanziario seguono un percorso irto di ostacoli e a volte, quando sembra che si sia fatto un passo avanti, si scopre che è poi stato vanificato da un passo indietro.

E’ senz’altro questo il caso del regolamento del Fondo Esm, quello che dovrebbe servire per i salvataggi bancari. In un articolo di qualche giorno fa Federico Fubini ha spiegato i vari problemi che ne rendono problematica l’operatività, aggiungendo che per di più il nostro contributo al capitale del Fondo serve attualmente a comprare prevalentemente titoli tedeschi, col risultato paradossale che un paese in difficoltà finanzia quello che è nella situazione migliore di tutti. Questo avviene perché il regolamento del Fondo stabilisce che possa investire in titoli che abbiano almeno un rating doppia A, e l’Italia, com’è noto, è molto più in basso.

I Fondi Salva-Stati e le quote dei vari paesi

Ebbene, questa clausola si può definire scandalosa senza paura di esagerare. L’inattendibilità delle agenzie di rating è stata riconosciuta a tutti i livelli, com’era d’altronde ovvio dopo i ripetuti e clamorosi errori (errori?) delle loro valutazioni. Ormai persino i mercati, che prima si agitavano al solo annuncio della possibilità di revisione di qualche valutazione, mostrano di non curarsi più dei loro giudizi, come più volte si è visto nel recente passato.

La forza delle agenzie di rating è sempre stata nel fatto che i loro giudizi, pur essendo emessi da società private, assumevano di fatto un valore ufficiale perché venivano utilizzati non solo dagli investitori privati, ma anche dai regolatori, che vi basavano le norme per il controllo degli operatori finanziari, dalle banche ai Fondi d’investimento. Moltissimi Fondi, poi, inserivano nei loro regolamenti l’obbligo di investire le loro risorse solo in titoli che avessero un rating elevato. Un declassamento, dunque, poteva provocare una valanga di vendite non solo per un calo di fiducia degli investitori, ma perché questi ultimi erano costretti a farlo dalle loro norme statutarie, provocando crolli dei prezzi e realizzando la famosa “profezia che si auto-avvera”.

Questo meccanismo perverso è stato individuato fin dalle prime fasi della crisi. Quella di togliere ogni valore ufficiale ai giudizi delle agenzie è stata per esempio una delle raccomandazioni della Commissione de Larosière, istituita dall’Ue per elaborare una strategia anticrisi, il cui Rapporto conclusivo fu pubblicato nel febbraio 2009. Poco dopo una raccomandazione simile veniva dal Financial Stability Board, all’epoca presieduto da Mario Draghi.

Insomma, dal punto di vista tecnico sembravano tutti d’accordo. Quindi avranno agito di conseguenza, verrebbe da pensare: e invece no. Nel giugno del 2012 la Bce ha fatto un passo in quella direzione, quando ha annunciato che avrebbe accettato in garanzia dei prestiti anche titoli con rating non elevato. Ma è stato un passo molto cauto, perché l’importo del prestito in relazione al capitale nominale dato in garanzia comunque scendeva in relazione al rating del titoli, con una progressione che poteva arrivare a un 32% in meno.

Se quello è stato un passo avanti, inserire nel regolamento dell’Esm l’obbligo di acquistare titoli almeno doppia A è stato il corrispondente passo indietro. Ma come, tutti d’accordo che sono giudizi inattendibili, tutti d’accordo che bisogna smettere di utilizzarli, e poi? Come dicevano gli indiani per definire chi dice una cosa e ne fa un’altra, questa tecnocrazia mostra di avere la lingua biforcuta.


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