Un Cincinnato per il Pd
Nei momenti di grave crisi Roma eleggeva un dittatore con pieni poteri. Lo stesso dovrebbe fare il Pd, con una persona che dia il tempo di emergere a una nuova classe dirigente e poi si faccia da parte. Una figura che richiami l'identità storica della sinistra riformista e sia esterna alla gestione del partito negli ultimi anni. Come Sergio Cofferati
(20 feb 2009)
Nei momenti di grave crisi Roma eleggeva un dittatore con pieni poteri. Famoso, perché a tutti noi ne hanno parlato a scuola, fu Lucio Quinzio Cincinnato. Raccontano gli storici che i senatori andarono a cercarlo nel suo piccolo terreno nei pressi della città e lo trovarono che stava zappando la terra. Come tutti ricorderanno Cincinnato accettò, svolse rapidamente e bene il suo compito, si concesse un trionfo e poi si dimise ben prima della scadenza e tornò al suo podere.
Quell’agglomerato senza identità – o forse con troppe identità diverse – che si è chiamato Partito Democratico vive oggi una crisi che non ha nulla da invidiare (fatte naturalmente le debite differenze) a quelle più gravi dell’antica Roma. Segretario dimissionario, linea politica incerta, consensi a picco, gruppi di potere l’un contro l’altro armato, nessun leader riconosciuto, nessun ancoraggio storico, nessuna riconoscibile strategia per il futuro. L’attuale classe dirigente, della quale fanno parte tutti coloro che si metteranno in lizza per la guida del partito, ha un’immagine perdente ed è screditata di fronte non solo alla base dei militanti, ma anche al più vasto bacino elettorale.
Ci vorrebbe una svolta, ma chi dovrebbe attuarla? Quelle stesse persone che, con più o meno responsabilità, hanno contribuito a far precipitare il partito in questo abisso. Serve un dittatore, uno non coinvolto nel disastro che prenda in mano il partito, gli ricostruisca un’immagine forte e lo traghetti verso altri lidi, dando il tempo di emergere a una nuova classe dirigente non usurata e coesa attorno a un progetto riconoscibile. Poi se ne vada, appena è possibile, prima possibile e lasci i nuovi a lanciare la sfida alla destra. Serve un Cincinnato.
E il Cincinnato c’è. E’ un signore che ha dimostrato di possedere il carisma del leader, che non è compromesso con passate gestioni di questo partito né di quelli che lo hanno preceduto, che non è un barricadiero né per formazione né per cultura ma allo stesso tempo ha mostrato di saper combattere duramente – e vincere – quando è stato necessario farlo. E’ un signore che da qualche tempo si è ritirato a coltivare il suo piccolo podere. E’ Sergio Cofferati.
Perché Cofferati? La statistica gli sarebbe avversa. Nessun leader sindacale, passato alla politica, è mai risultato un grande capo-partito. Non lo sono stati Benvenuto e Del Turco per il Psi, D’Antoni nelle sue varie peregrinazioni, Marini per i Popolari. Non incapaci, per carità. Ma neanche memorabili. Perché dunque Cofferati?
Alcuni motivi li abbiamo già ricordati. Un altro, a nostro parere fondamentale, è che in questo momento appare la figura più adatta per ricostruire il rapporto del Pd con il “suo” popolo, il popolo della sinistra (sì, proprio quella parola: non soltanto “riformista”!). E’ l’uomo che ha guidato la Cgil, la più importante organizzazione dei lavoratori del paese, un sindacato che ha una tradizione di grande responsabilità nel farsi carico, pur difendendo i lavoratori, dei problemi generali del paese; l’uomo, dunque, adatto a far riemergere quelle radici che sono state nascoste e dimenticate come prova il fatto che siano state arruolate persone come Massimo Calearo e Pietro Ichino: persone rispettabilissime, ma le cui posizioni non hanno nulla a che vedere con un partito che voglia – lo vorrà il Pd? – continuare a definirsi “di sinistra”, per quanto moderna e riformista possa essere.
Cofferati non è “giovane” e non è “una faccia nuova”. Ma il leader del Pd non lo deve essere, in questo momento. Dev’essere una figura che permetta prima di tutto al partito di ritrovarsi, quindi deve avere una storia, deve essere “nella” storia della sinistra riformista.
E gli ex “margheritini”? Accetterebbero una soluzione genere? Forse no. O, più probabilmente, non tutti. Ma qui bisogna scegliere. Si è visto che il partito “nuovista”, “riformista” senz’altra qualificazione, grande coalizione all’americana, non funziona. Quello che serve è un partito di sinistra riformista – dove i due termini siano indissolubilmente legati e abbiano lo stesso peso – capace presentare un progetto e di gridare che il neoliberismo, il “pensiero unico” degli ultimi trent’anni, ha mostrato il suo fallimento, e che il muro di Wall Street è crollato come il muro di Berlino. E, anche, che non accolga chi si sente più legato dalle parole di un papa reazionario che dal servizio ad uno Stato laico e tollerante.
Le intelligenze e le competenze per dar vita a questo nuovo progetto non mancano: basta ascoltarle, cosa che finora non è stata fatto inseguendo la chimera dell’ennesima “terza via”. Cofferati dovrebbe essere quello che le mette al lavoro e permette che emerga una nuova classe dirigente più coesa e che guardi al futuro senza dimenticare i valori del passato. Poi, se riesce nell’impresa, gli si fa un bel trionfo e gli si permette di tornare a coltivare il suo podere.