Previsione e rassicurazione
Tutti i grandi centri che formulano previsioni affermano che nel 2010 ci sarà la ripresa. Ma che credibilità ha una previsione a un anno, visto che gli stessi soggetti continuano a correggere in peggio le stime da un mese all'altro? Il fatto è che a cercare di rimediare alla crisi sono gli stessi che hanno contribuito a provocarla
(pubblicato su Repubblica.it il 10 mar 2009)
Nei giorni scorsi prima la Banca Mondiale, poi il Fondo monetario, ci hanno avvertito che nel 2009 la crescita del mondo sarà negativa, per la prima volta dal dopoguerra. Tutti continuano a ripetere che questa crisi “è la peggiore dopo quella degli anni ‘30”, dove “dopo”, evidentemente, va ormai inteso solo in senso cronologico e non più come misura di intensità: se dopo il ’29 i governi avessero messo in campo le risorse e le politiche varate oggi – proprio in base all’esperienza degli errori di allora – probabilmente quella crisi non sarebbe stata così drammatica.
Tutti o quasi questi “previsori”, però, si affrettano ad aggiungere che la crisi è sì terribile, ma finirà presto, perché la ripresa inizierà alla fine di quest’anno o al più tardi nel 2010 (il primo ad avanzare qualche dubbio è il documento dell’Ecofin diffuso il 10 marzo). Ultimo ad affermarlo il presidente della Bce Jean Claude Trichet, ieri, che parlando alla riunione dei governatori del G10 riuniti a Basilea ha sostenuto che già si vedono “alcuni elementi espansivi dell’economia mondiale” e che quindi è prevedibile “una progressiva ripresa nel 2010”.
Dove abbia rintracciato Trichet questi “elementi espansivi” non è ben chiaro, visto che ormai da molti mesi almeno una volta a settimana viene diffusa qualche previsione, di autorevoli centri pubblici o privati, che invariabilmente peggiora tutte le stime precedenti.
E’ dunque lecito chiedersi quale credibilità abbia una previsione sull’anno prossimo quando ognuno degli studi pubblicati da qualche tempo non fa altro che smentire – peggiorandoli – i risultati della previsione fatta il mese precedente. Ed è anche lecito sospettare che l’invariabile conclusione (“ma nel 2010 ci sarà la ripresa”) non appartenga più alla categoria delle previsioni, bensì a quella delle rassicurazioni. Nei mercati, si sa, è molto importante il ruolo delle aspettative, perché tutti gli operatori economici cercano di agire anticipando quello che ritengono che stia per accadere. Se sono operatori finanziari venderanno ancora se prevedono che il ribasso continui, se sono imprenditori eviteranno di investire e di assumere (e anzi cercheranno di ridurre i dipendenti) se pensano che la domanda non crescerà o addirittura diminuirà. Naturalmente, in questo modo, contribuiscono a far effettivamente verificare ciò che sono convinti che accadrà: il classico caso, da tempo noto, della “profezia che si auto-avvera”.
Autorità monetarie, enti sovranazionali e centri di ricerca cercano dunque anche loro di sfruttare questo meccanismo. Se si riesce a convincere i mercati che nel 2010 ci sarà la ripresa, ad un certo punto i fund manager ricominceranno a comprare, gli imprenditori ad investire e il circolo da vizioso diventerà virtuoso, perché i primi segnali di ripresa alimenterebbero la convinzione che il peggio è passato rafforzando i comportamenti pro-crescita.
Ma allora, è tutta questione di fiducia? Basta che gli operatori si convincano che la crisi sta passando e la crisi passerà davvero?
Magari le cose fossero così semplici. La crisi non è nata perché si è diffusa un’ondata di pessimismo: è stata generata da una serie di pesanti squilibri accumulati dalle economie mondiali, quella americana prima di tutte. Squilibri tra produzione di ricchezza e livello di consumo (i famosi “deficit gemelli”, del bilancio pubblico e dei conti con l’estero), squilibri tra attività reali e attività finanziarie, squilibri tra prezzi delle attività e rendimenti plausibili, e soprattutto squilibri – non ancora riconosciuti come causa primaria dalla maggior parte delle analisi correnti – nella distribuzione del reddito.
Si può essere ottimisti quanto si vuole, ma finché questi squilibri non saranno corretti – e per correggerli bisogna innanzitutto riconoscerli come tali – la crisi non “guarirà”. Ed è assai dubbio che sia di aiuto il fatto che autorevoli “previsori” continuino a dire che la ripresa in fondo è vicina, senza spiegare perché mai questa ripresa ci dovrebbe essere. Ma il fatto è che la maggior parte di questi previsori ha favorito, o quantomeno non ha contrastato, le teorie e i comportamenti di cui questa crisi è il risultato. Forse è questo il vero problema.