CCCP: Competitività, Cuneo,
Contrattazione, Previdenza
Una discussione con l’economista del Cerm Nicola Salerno sui temi del welfare, dei salari e dell’industria. Non abbiamo risolto tutti i problemi dell’Italia, ma magari ci trovate qualche spunto interessante
(28 maggio 2009)
La lettura di un intervento di Nicola Salerno, economista del Cerm, mi ha spinto a inviargli un commento che ha generato uno scambio di mail sui problemi del welfare, della competitività, della previdenza e della contrattazione. Ritengo che possa essere di qualche interesse pubblicarlo perché si tratta di temi molto dibattuti nell’ambito dello schieramento progressista. Salerno, prendendo spunto da un più ampio documento del Cerm, osserva che i salari italiani, risultati in fondo all’ultima classifica Ocse, sono così bassi sia per il forte declino della produttività, sia per l’eccessivo peso del cuneo (la differenza tra il costo del lavoro per l’impresa e la retribuzione netta per il dipendente), determinato soprattutto da un livello anomalo dei contributi previdenziali che non permette di migliorare le altre prestazioni di welfare. Ne deriva “uno sprono alla riforma della contrattazione del lavoro, verso schemi più decentrati e flessibili, e a quella delle pensioni, verso un assetto multipilastro che permetta una migliore combinazione tra contribuzione obbligatoria e investimenti volontari di lungo termine, tra finanziamento a ripartizione e finanziamento a capitalizzazione”. Ecco la nostra discussione.
CARLO CLERICETTI: Scusa, Nicola, ma voi del Cerm avete proprio la fissa contro la previdenza pubblica e per il multipilastro. Ma se le pensioni già sono troppo basse così, vuoi pure ridurre i contributi? E l'altro pilastro mica è gratis: è una spesa che esce statisticamente dal cuneo, ma esce anche dalla busta paga. Ai fini del salario netto c'è un'assoluta indifferenza se pago per la pensione pubblica o per quella privata. Nella spesa sociale pesa così tanto la previdenza perché, come tu e Pammolli sapete benissimo, nelle altre spese siamo 2-3 punti di Pil sotto la media degli altri paesi comparabili.
A parte che, continuo a dire, c'è qualcosa che non mi quadra sulla misura della nostra produttività, visto il boom del nostro export extra-euro (quindi, pure penalizzato dal cambio!). Ma comunque la produttività è un problema che devono risolvere le imprese, investendo, innovando e riorganizzando, mica dipende dalla buona volontà dei lavoratori! Reprogramme your mind!
NICOLA SALERNO: Carlo, per carità di Patria!: non abbiamo assolutamente nulla contro la previdenza pubblica, ci mancherebbe! Il nostro è un punto welfarista almeno quanto il tuo. Sono un economista welfarista come te. Le pensioni sono basse per lo stesso motivo per cui lo sono le retribuzioni. Siamo un Paese che non cresce. E sarà sempre più così, se non mettiamo mano a riforme di struttura del welfare system; non per sminuirlo, ma per ammodernarlo, diversificandone le prestazioni a vantaggio di tutti e di tutte le fasce di età. Il tuo errore (a mio modo di vedere) è nel credere che un euro di contributo al primo pilastro valga, sia in senso contabile che per le conseguenze che ha sulla dinamica del sistema, un euro nel pilastro privato. Non è così; non vale questa equivalenza "ricardiana".
Ma non perché il privato è meglio del pubblico. Via, per cortesia, queste semplificazioni "ideologiche". Perché i due criteri di finanziamento - quello pay-as-you-go del pubblico e quello a capitalizzazione reale del privato - hanno entrambi difetti e pregi. Un eccesso di pay-as-you-go, all'interno di una società che invecchia come la nostra, ha conseguenze negative sulle scelte di lavoro, investimento e produttività, ovvero sulla crescita. Difetti e rischi ci sarebbero anche se il finanziamento fosse sbilanciato sulla capitalizzazione. Tu ragioni a parità della “torta”, e trascuri il vero problema: come farla crescere. Perché altrettanto impegno non metti nel sottolineare tutto quello che manca nel nostro welfare?
Iperprotettivi per la vecchiaia, non quella di tutti ma in particolare quella dei lavoratori insider (quelli full time regolari), restiamo ai margini dell'Europa per gli istituti a favore di famiglia, figli, disabilità/inabilità, conciliazione vita-lavoro, inclusione sociale, casa, assicurazione universale disoccupazione, promozione dell’occupabilità. Questi istituti, a carattere genuinamente redistributivo, dipendono crucialmente dal finanziamento pay-as-you-go (i.e. dal concorso di tutti); ma se il pay-as-you-go è monopolizzato dalle pensioni, rimangono ben poche risorse da dedicarvi. Perché, come ben sai, il pay-as-you-go ha soglie critiche di funzionamento, e oltre un certo livello non può spingersi senza generare effetti distorsivi.
Se le pensioni sono basse, la soluzione non è aumentare i contributi pensionistici a carico di retribuzioni già basse; ma favorire l’ingresso rapido nel mercato del lavoro, la continuità delle carriere, l’allungamento volontario delle carriere (siamo quasi ultimi anche in questo), la differenziazione delle retribuzioni per premiare il merito e la produttività. In quei paesi - pochi - in cui il cuneo è più elevato che in Italia, sono state create le condizioni per sostenerlo. E infatti, in questi paesi il costo del lavoro è più elevato e supportato da schemi di contrattazione che permettono una molto più ampia differenziazione (in Italia la contrattazione è ancora molto rigida e centralizzata); e in questi stessi paesi il welfare ha istituti molto più diversificati che in Italia e non è così “ostaggio” delle pensioni. C’è una questione di qualità dell’impiego delle risorse raccolte tramite il cuneo. Non puoi ignorare l’importanza della qualità della spesa.
Le pensioni sono un pessimo strumento di redistribuzione, sotto tutti i punti di vista. Io (noi in CERM) vogliamo un welfare in cui trovino spazio strumenti che redistribuiscano meglio e redistribuiscano di più, e soprattutto redistribuiscano a favore di tutti. Ma che spiegazione ti dai del fatto che solo in Italia si trovino avvinghiati: basso costo del lavoro, alto cuneo, alta quota del cuneo destinata al finanziamento delle pensioni? Aggiungo un’ultima cosa: ma come puoi credere che la nostra produttività vada bene? Siamo l’unico paese in cui da oltre 15 anni “non si muove una foglia”. L’unica forma di competitività che viene ricercata è quella di prezzo/costo, in un equilibrio perfettamente coerente con le basse retribuzioni e la bassa specializzazione del capitale umano. Siamo in pieno equilibrio di sottoccupazione e sottoproduttività.
Carlo, ma devo ricordarti io che ormai i nostri concorrenti più agguerriti sono i paesi manifatturieri newcomers? Che siamo di fronte a gravi problemi di specializzazione produttiva? Please, mostrami i dati su cui valuti l’andamento della produttività italiana. Quelli che uso io per la costruzione degli indicatori di produttività li trovi nei database di Eurostat ed Ocse. Il declino della nostra produttività totale dei fattori è segnalato persino in molti documenti di finanza pubblica del ministero del Tesoro. È indubbio che la classe imprenditoriale italiana abbia enormi responsabilità. Ma non puoi cavartela dicendo: ”Comunque la produttività è un problema che devono risolvere le imprese, investendo, innovando e riorganizzando, mica dipende dalla buona volontà dei lavoratori!”. Ho molta poca stima della nostra classe imprenditoriale, ma la responsabilità del declino è condivisa. Certo non del lavoratore Nicola o del lavoratore Carlo. Quando un paese accumula un deficit di riforme strutturali come in Italia - dalle regole di concorrenza sui mercati di beni e servizi, alle grandi utilities, ai modelli di contrattazione del costo del lavoro, alla struttura e funzionamento del welfare system - classe imprenditoriale, classe politica e Sindacati sono tutti “correi”. Reprogramme your mind, Carlo! E anche in fretta, perché c’è bisogno di pedalare tanto…
CC: Cominciamo dalla fine. I salari sono sempre stati bassi, ma si sono poi praticamente fermati con l'accordo del '93 (tranne nella pubblica amministrazione!) quando i sindacati si fecero carico di contribuire ad evitare il default dell'Italia. I nostri imprenditori sono così: gli dai una mano e si prendono tutto il braccio e se possibile anche le gambe. La flessibilità nell'impiego del lavoro - contrattata a livello locale - è altissima (turni, straordinari e quant'altro). La flessibilità in entrata dopo le leggi Treu e 30 (impropriamente detta Biagi) è pure troppa. La flessibilità in uscita è per circa metà degli occupati (quelli non coperti dall'art. 18) superiore a quella dei paesi comparabili, per l'altra metà non molto dissimile (cfr. Relazione Bankitalia 2006).
Sulla produttività lo so che i dati sono quelli, ma finora nessuno mi ha saputo spiegare in modo convincente come si conciliano con il boom dell'export (ne ho parlato con Padoa Schioppa, Biggeri e tutto lo stato maggiore dell'Istat, Fabrizio Onida e altri). Peraltro, secondo il rapporto della Fondazione Schuman che ti avevo segnalato (se ne parla in questo articolo), in termini assoluti non stiamo messi così male... Vuol dire che non c'è problema? Certamente no, ma non si risolve spaccando il sindacato, abolendo i contratti nazionali, detassando gli straordinari, eliminando le residue protezioni del lavoro: solo questo vuole la Confindustria e questo sta facendo il governo.
NS: Carlo, mi sembra soltanto un lato della medaglia. Non ho nessuna intenzione di prendere le difese degli imprenditori e di Confindustria. Non mi interessa, non mi spetta, non ritengo che vada fatta questa difesa. Ma che mi dici della contrattazione uniforme del lavoro in un paese spaccato in due per produttività e costo della vita? Le retribuzioni salirebbero, se fosse possibile discernere.
CC: Devo ancora dire delle pensioni. Con il passaggio al sistema contributivo la previdenza redistribuisce poco o nulla, ma non è quello il suo compito principale. La redistribuzione si fa con le tasse e con gli interventi di welfare. Se le pensioni si mangiano una quota così alta di spesa sociale forse non è che sono sovradimensionate loro, è che è sottodimensionato il resto. Quanto agli euro versati ai Fondi pensione, non riesco a vederne le esternalità positive. Come sai investono nella Borsa italiana meno del 2% dei loro asset, quindi quei soldi finanziano le economie degli altri. Né sarebbe proponibile un vincolo di portafoglio per i Fondi (per carità!).
Soluzioni? Non vorrei essere tacciato di "benaltrismo". Ma, oltre ad alcune delle riforme che indichi (il mercato dei servizi soffocato dalle lobby, per esempio; e quanta rendita parassitaria c'è nell'intermediazione, sia del denaro che delle merci?), c'è o no un problema di evasione fiscale abnorme? C'è o no il problema di una politica economica che non favorisce le imprese migliori? Riguardo alla tua ultima osservazione: vado a memoria, ma se ben ricordo gli importi dei salari di fatto corrispondono alle differenze di produttività.
NS: Carlo, dov'è il boom nell'export? E, soprattutto, boom nell'export di quali beni servizi? Nessuno vuole spaccare il sindacato; semmai svegliarlo, perché ho dubbi che stia facendo effettivamente gli interessi del lavoro. Non capisco che c'entrino le detassazioni degli straordinari, a suo tempo fortemente criticate da me e da CERM (in Italia si lavora già tanto, ma sono in pochi a lavorare). E non capisco neppure il riferimento alle protezioni del lavoro. Ma chi mai vuole indebolirle? Semmai estenderle a tutti, con assicurazioni universali contro la disoccupazione senza distinzioni di comparto/settore e categoria contrattuale. Spiegami, per cortesia, perché rendere più flessibile la contrattazione del costo del lavoro significa tout court andare contro il lavoro. O spiegami perché parlare di riforma delle pensioni per diversificare il welfare significa andare contro il welfare.
Ah, le pensioni non redistribuiscono. Ma devo ricordarti io quanto è lunga la transizione verso l'applicazione a regime del criterio di calcolo contributivo? Devo ricordarti io che nel 2005 non sono stati aggiornati i coefficienti "Dini", senza i quali la neutralità attuariale salta? Ma il problema non è solo di REDISTRIBUZIONE TRA GENERAZIONI CONVIVENTI, ma anche di REDISTRIBUZIONE NEL TEMPO (tra fasi diverse della vita di una stessa persona). L'eccesso di ripartizone (pur scevra da finalità redistributive) per finanziare le pensioni (i.e. per spostare redditi nel tempo) ha, quando la popolazione invecchia, effetti depressivi a catena. Non vale più quello che gli economisti chiamato il Teorema di Aaron, che invece postula l'ottimalità del finanziamento a ripartizione quando la popolazione è in fase di boom (tanti giovani e pochi anziani).
CC: Non intendevo accusare te e Cerm di essere antisindacali, mi riferivo alla politica del governo (e alle posizioni di alcuni che Veltroni ha pensato bene di reclutare nel Pd). Se rendere più flessibile la contrattazione del costo del lavoro significa abolire (di diritto o di fatto) il contratto nazionale, bisogna rendersi conto che questo significherebbe un pesante depotenziamento del sindacato, che in intere zone sparirebbe completamente. Di riforma delle pensioni non sono contrario a parlarne (fra l'altro, io sono favorevole all'aumento dell'età pensionabile), ma non per sottrarre risorse e non per valorizzare gli altri due pilastri: il secondo è inutile e il terzo è dannoso (a meno che non siano, come dovrebbero, complementari e facoltativi).
NS: Sulla tua ultima son d'accordo. Abbiamo uno scandaloso problema di evasione fiscale. E sono forti i favoritismi ad imprese che non meriterebbero. Se il Sindacato spingesse su questi due punti, prenderei la tessera domattina all'alba.
CC: A proposito dell'altra tua osservazione, le transizioni per i sistemi previdenziali sono per forza lunghe (ricordo che in Germania lo è ancor più che da noi). Il problema secondo me si risolve solo aumentando l'età pensionabile. Resta da vedere se poi c'è abbastanza lavoro...
NS: Su questo problema (aumentare l'età pensionabile in un paese con disoccupazione) credo siano state ancora molto poco sfruttate le virtù del pensionamento volontario e flessibile, con passaggio a part-time verticali e orizzontali o a contratti consulenziali o parasubordinati nell'ultima parte della carriera. Il tutto anche in regime di cumulo pensione - reddito da lavoro. Così si potrebbero liberare posizioni full-time regolari per i giovani. Ma, si intende, questo sarebbe percorribile solo se il pensionamento potesse avvenire liberamente all'interno di una finestra anagrafica, con assegni proporzionati alla vita attesa, perfetta totalizzazione/congiunzione delle contribuzioni, e piena cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro.
CC: Beh, anche questa è una delle cose su cui la pensiamo allo stesso modo. Riprenderemo il discorso.