Governo, la flex
senza security
Anche se in seguito c’è stata una parziale retromarcia, il ministro Elsa Fornero ha prefigurato una riforma del mercato del lavoro dove si dà via libera ai licenziamenti, si abolisce in gran parte quello che è al momento l’unico ammortizzatore sociale e per i nuovi si rinvia a un futuro indeterminato
(pubbl. su Repubblica.it il 24 gen 2012)
Altro che articolo 18. Il documento letto ai rappresentanti delle parti sociali dal ministro Elsa Fornero fa intuire che l’intenzione del governo sarebbe di agire ben più pesantemente sull’organizzazione del mercato del lavoro. Dopo tutti i discorsi sulla flexsecurity, la flessibilità anche nei licenziamenti ma compensata da una rete di sicurezza per chi perde il posto, l’esordio di ieri propone di realizzare subito la prima parte, mentre la seconda sarebbe rinviata a tempi indefiniti.
Il documento, dopo la riunione, è stato “degradato” ad appunto di lavoro del ministro, perché i sindacati non hanno gradito il metodo proposto, per la verità senza precedenti. Il documento è stato solo letto dal ministro, ma non consegnato alle parti sociali, perché, ha spiegato, l’intenzione è di avviare un dibattito per via telematica. Una procedura seguita in altri paesi europei, ma per l’Italia una novità assoluta. Ma non è stato tanto quello il problema sollevato dai sindacati, quanto il fatto di voler iniziare una trattativa sulla base di un documento già strutturato, che – osservano – dovrebbe essere piuttosto un punto di arrivo. “Per noi ha detto Susanna Camusso – si parte dall'agenda e non dai contenuti già predeterminati”.
Ma tra i contenuti enunciati dal ministro soprattutto uno ha provocato reazioni negative: la proposta di abolire la cassa integrazione straordinaria (Cigs). “Tutte le parti sociali hanno detto che questa cosa non è fattibile”, ha specificato Camusso calcando la voce sul “tutti”. E infatti anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha osservato che “Non si può toccare ora la cassa integrazione, perché il 2012 sarà un anno di forti ristrutturazioni”.
Per capire l’importanza di questo punto bisogna ricordare a che serve la Cigs. Le aziende che vogliono ridurre l’impiego di manodopera possono ricorrere alla cassa integrazione ordinaria se ritengono che le difficoltà siano superabili e limitate nel tempo, come una diminuzione degli ordini causata da un rallentamento dell’economia o la necessità di procedere a rstrutturazioni. Se invece ritengono di avere di fronte un problema strutturale – mutamento del mercato, perdita di competitività – ricorrono alla Cigs, che è in pratica un quasi-licenziamento. In altre parole, la Cig prefigura un ritorno in azienda in tempi definiti, mentre la Cigs – pur non recidendo del tutto il legame con il lavoratore – significa che questo rientro sarà molto difficile, ancora possibile se l’azienda riuscirà a superare i suoi problemi, ma non probabile.
La Cigs dura 18 mesi, durante i quali si percepisce l’80 % della retribuzione, ma con il limite massimo di 800 euro al mese. Finito questo periodo si entra “in mobilità”: le speranze di riprendere il lavoro precedente sono ormai svanite e c’è un altro periodo di tempo – in linea di massima un altro anno – per trovarne un altro, con un’indennità ancora più ridotta.
La Cigs serve all’azienda, perché dal momento in cui i lavoratori vengono presi in carico da questo istituto non ne sostiene più il costo; e serve ai dipendenti perché non restano disoccupati da un giorno all’altro. In Italia questo è praticamente l’unico ammortizzatore sociale, visto che l’indennità di disoccupazione è praticamente inesistente.
Nel documento letto dal ministro si parla di sostituire la Cigs con “indennità risarcitorie”: significa che ai licenziati verrebbe data una certa somma , presumibilmente alcuni mesi di stipendio. Un bel misero paracadute, tenuto conto delle difficoltà di trovare un nuovo lavoro e che le retribuzioni italiane sono per lo più basse.L’intenzione sarebbe poi di offrire un “sostegno al reddito” a chi ha perso il lavoro, cioè di garantirgi un sussidio di disoccupazione che gli permetta di sopravvivere: ma le risorse che sarebbero necessarie per finanziarlo al momento “non sono individuabili”. Quindi questa misura sarebbe inserita nella riforma ma prevedendo “un’applicazione dilazionata”. Detto in chiaro: intanto stabiliamo che si licenzia; per la sopravvivenza di chi perde il lavoro si vedrà.
Quali sarebbero state le conseguenze se queste nuove norme fossero state in vigore dall’inizio del 2011? Semplice: avremmo 340.000 disoccupati in più, considerando i 190.000 lavoratori in Cigs e i 150.000 che usufruiscono della cosiddetta “cassa in deroga”. Il numero complessivo sarebbe balzato da 2.142.000 a quasi due milioni e mezzo e il tasso di disoccupazione sarebbe aumentato di quasi il 16%, arrivando a sfiorare quasi il 10% (9,965) della forza lavoro, mentre adesso (dati di dicembre) si attesta all’8,6%.