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 Economia Riduci

Lo Stato non paga, 
non ispeziona e non riscuote

Secondo i dati dello stesso ministero dopo il 2007 il numero delle ispezioni nelle aziende è crollato e così i contributi recuperati, che del resto non superano mai il 20% dell’accertato. Così da un lato non si pagano i fornitori, dall’altro non si recupera l’evasione. Nelle aziende ispezionate i lavoratori irregolari sono in media il 40%

(pubblicato su L’Espresso n.18 del 3 maggio 2012)


Crollo delle ispezioni nelle aziende, meno contributi recuperati. E’ questo da alcuni anni il trend di questa importante attività, che fa capo al ministero del Lavoro e serve a verificare che nelle aziende sia tutto in regola, non ci siano lavoratori in nero, vengano pagati i contributi previdenziali e assicurativi. Un’attività fondamentale in un paese come l’Italia, dove l’economia sommersa raggiunge livelli record in Europa. Secondo le ultime stime dell’Istat vale circa il 17% del Pil, ma probabilmente, sotto i colpi della crisi, dopo l’ultima misurazione sarà ancora aumentata.

Per rendersi conto di quanto sia importante basta ricordare che nelle aziende controllate nel 2011 ben il 40% dei lavoratori è risultato irregolare o del tutto in nero, e questo dato mostra una sostanziale costanza nel tempo. E di fronte a questo fenomeno il ministero cosa ha fatto? Ha ridotto il numero delle ispezioni, che dalle 343.000 del 2007 sono crollate alle 244.000 del 2011, mentre le somme riscosse in seguito a questi accertamenti sono scese, nello stesso periodo, da 1,855 a 1.225 miliardi di euro. A dirlo è lo stesso ministero, che ogni anno pubblica un “Rapporto sull’attività di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale”.

Evidentemente, però, non sono in molti a leggere questi rapporti, visto che finora nessuno aveva fatto rilevare che cosa stava accadendo. Se n’è accorto Ferruccio Pelos, ex sindacalista e dirigente di cooperative e attualmente consulente di economia aziendale, cooperativa e del Terzo settore, che sta scrivendo un saggio sul mercato del lavoro e dunque si è studiato tra l’altro questi rapporti. Colpito da quanto ha scoperto, ha scritto una “lettera aperta” al ministro del Lavoro, pubblicata sul sito www.eguaglianzaeliberta.it, per chiedere come mai stia accadendo una cosa del genere.

Come mai, chiede Pelos, questa riduzione dell’attività ispettiva? E come mai nei rapporti si dice che le somme riscosse sono circa il 20% rispetto all’evasione accertata? E perché i rapporti parlano di “circa 2 milioni di aziende esistenti, censite presso gli istituti previdenziali”, mentre dai dati Istat - Archivio statistico delle imprese attive, anno 2010 - risultano presenti in Italia 4.470.748 imprese?

Anche L’Espresso ha rivolto al ministero queste domande, ma le risposte sono state piuttosto insoddisfacenti. “Il numero di 2 milioni di aziende citate dal rapporto è evidentemente riferito alle aziende con dipendenti. Resta fuori tutto il "mondo" degli autonomi, delle partite iva e comunque degli imprenditori senza dipendenti e dei datori di lavoro non imprenditori”, dice Paolo Pennesi, direttore generale per le attività ispettive. “Per quanto riguarda la differenza tra accertato e riscosso la domanda dovrebbe essere rivolta a Equitalia, che si occupa di gestire la fase dell'esecuzione. Ma bisogna considerare che molte volte, nonostante la correttezza degli accertamenti, non è possibile incassare effettivamente le somme accertate per le ragioni più diverse, che vanno dal fallimento dell'impresa al fatto che si tratta delle cosiddette “aziende fantasma” (aziende cinesi o gestite da extracomunitari molto spesso irrintracciabili)”. Non si capisce però perché i rapporti non parlino di questi controlli sulle micro-aziende, che comunque occupano quasi il 15% della forza lavoro e dove è sicuramente più elevato il tasso di irregolarità. E stupisce che il ministero appaia passivo sulla performance di Equitalia, che riesce a riscuotere una percentuale così bassa dell’accertato.

Quanto all’Inps, dove il crollo delle ispezioni è stato particolarmente accentuato (dalle 114.360 del 2007 alle 21.201 del 2011, con importi recuperati scesi da 1,5 miliardi di € a 981 milioni), l’istituto ammette che ci sono stati problemi in questa attività, sia per le novità normative introdotte dal “Collegato lavoro” del 2010, sia per l’andata in pensione di circa 300 ispettori su 1.300, che non sono stati rimpiazzati subito, ma solo l’anno scorso, sia per il blocco del turn-over e sia per le lungaggini del concorso nazionale. “Le nostre riscossioni totali sono comunque sempre aumentate – fa sapere l’Istituto – passando tra il 2007 e il 2011 da 2,7 a 8,6 miliardi di €”. Si tratta ovviamente di un dato sull’attività complessiva dell’Istituto, oltre quella delle ispezioni.

Così, da un lato lo Stato non paga i suoi fornitori, come testimonia l’enorme mole di crediti vantati dalle imprese su cui non esiste nemmeno un dato certo (si oscilla da una settantina a oltre 100 miliardi). Dall’altro chiude un occhio sulle irregolarità e sui mancati versamenti, e anche quando accerta l’evasione riesce a recuperarne solo un quinto. Una “compensazione” perversa, che probabilmente avvantaggia di più le aziende meno in regola e meno efficienti. Il ministro Fornero assicura però che tutto ciò riguarda il passato. “Fin dall’inizio del mio incarico ho sempre richiamato l’attenzione sul fatto che anche in una fase di grave crisi come questa i controlli devono essere scrupolosi ed efficaci. L’approccio degli ispettori dev’essere di dialogo, ma fermo nell’attuazione e verifica delle norme, specie quelle sulla sicurezza del lavoro, che sono anche nell’interesse delle imprese”. Vedremo nel prossimo rapporto quali effetti avrà avuto questo annunciato cambiamento di linea.


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