La verginità perduta
di fraulein Buba
”La Bce non deve comprare titoli pubblici, sarebbe come stampare moneta”, tuona il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Ma dimentica che anche la sua banca l’ha fatto in passato, giustificandosi proprio con le stesse motivazioni espresse da Draghi a Londra
(pubblicato su Repubblica.it il 27 ago 2012)
Eh, sì. Anche lei. Anche la Bundesbank, che oggi impartisce all’Europa e alla stessa Bce lezioni di teutonica coerenza, anche lei ha peccato, ha infranto il suo sacro statuto e ha finanziato creando moneta il deficit pubblico tedesco. Lo ha fatto soltanto una volta, ma una volta è quella che basta a perdere la verginità per sempre. E lo ha fatto in una situazione che – scontate le debite differenze – somiglia moltissimo alla situazione dell’Europa di oggi.
A ricordarselo è stato un economista tedesco, Peter Bofinger, a cui ha fatto seguito una nota di Evelyn Herrmann di Bnp Paribas. Joseph Cotterill ne ha scritto sul Financial Times e l’economista della Sapienza Mario Nuti ne ha parlato in un suo intervento. Insomma, la storia si sta diffondendo e di certo il super-falco Jens Weidmann dovrà tenerne conto prima di sparare la sua prossima bordata contro qualsiasi ipotesi di intervento della Bce sul problema degli spread e dei debiti sovrani.
Il fatto è avvenuto nel 1975. La Germania era in una pessima situazione congiunturale, quella che si definisce “stagflazione”, ossia stagnazione della crescita (il Pil in quell’anno arretrò dello 0,9%) e inflazione (i tassi a lungo termine sul debito erano arrivati al 10,74% nella media dell’anno precedente e tendevano a salire ancora). Nell’estate del ’75 la domanda di titoli a lungo termine cadde, perché gli investitori temevano che l’inflazione futura sarebbe stata superiore ai rendimenti. E allora la Bundesbank, scrive Herrmann, “acquistò titoli, per un importo pari a circa l’1% del Pil, con maturity 6 anni e oltre” (bisogna considerare che la maturity è minore rispetto alla scadenza nominale dei titoli). La Herrmann sottolinea che così facendo la Bundesbank contravvenne al suo statuto, che le vieta la “monetizzazione del debito”, che è ciò che avviene se la Banca centrale compra titoli del suo paese. E infatti vi furono reazioni politiche negative.
Ma la Bundesbank giustificò la sua mossa, affidando la difesa al suo capo economista e membro del board: si trattava di Helmut Schlesinger, che in seguito sarebbe asceso alla presidenza della Banca. “Le nostre politiche di mercato aperto – affermò Schlesinger – non sono dirette a finanziare il deficit pubblico, ma solo a regolare il mercato monetario”. Chiosa la Herrmann: “In altre parole, la Bundesbank aveva bisogno di acquistare bond allo scopo di mantenere efficiente il canale di trasmissione della politica monetaria”.
Come, come? Ma questa frase ne ricorda un’altra molto più vicina nel tempo, di appena un mese fa. La soluzione del problema degli spread, e quindi di rendimenti troppo elevati sul debito sovrano di alcuni paesi dell'Eurozona, “rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria”. Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, nella sua famosa conferenza a Londra del 26 luglio, la stessa in cui ha affermato che la Bce avrebbe fatto “tutto il necessario” per risolvere la crisi dell’euro; “e, credetemi, sarà sufficiente”.
Stesso problema, dunque: si è creata una situazione che impedisce alla Banca centrale una corretta trasmissione della politica monetaria. E anche la soluzione appare simile: si tratta di acquistare titoli di Stato, in una quantità “sufficiente” a risolvere il problema. Un atto, dunque, che non ha a che fare con la mutualizzazione del debito o con la sua monetizzazione, come la stessa Bundesbank sostenne allora, ma con il compito primo e principale di qualsiasi Banca centrale, che è quello di rendere efficiente la sua politica monetaria.
Draghi, dunque, ha inquadrato il problema perfettamente, e Weidmann può dargli torto solo rinnegando la storia recente della sua stessa Banca centrale. Poi, però, il presidente della Bce ha preso altre due posizioni che sono politicamente abili, ma deleterie per la sbandierata indipendenza politica della Bce. La prima: gli interventi avverranno solo dopo una formale richiesta di aiuto da parte degli Stati interessati, a cui saranno poste delle condizioni. Ma questa è la procedura stabilita per gli interventi dei Fondi “salva-Stati” (Efsf e, quando ci sarà, Esm). Che c’entra con quello che la Banca centrale ritiene di dover fare? E se nessuno chiede aiuto la politica monetaria può continuare ad essere inefficace? Il fatto è che quella era la linea indicata dalla Cancelliera Merkel. Della quale si è detto che è poi intervenuta ad appoggiare Draghi: ci sarebbe mancato altro, visto che era stato Draghi ad accettare la sua linea!
La seconda posizione è quella che riguarda l’accesso del Fondo salva-Stati ai finanziamenti della Bce. Quasi tutti i commentatori affermano che, per renderlo possibile, va concessa al Fondo la licenza bancaria e Draghi aggiunge che senza di essa – che è competenza dei governi concedere – la Bce non può finanziarlo, richiamandosi a un parere legale espresso sulla base dell’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea del 2009. Ebbene, questo non è vero: come sottolinea Mario Nuti, il primo comma di quell’articolo sembrerebbe in effetti escludere organismi di quel tipo, ma il secondo comma recita: “Il paragrafo 1 può non essere applicato alle istituzioni di credito pubbliche che, nel contesto dell’offerta di riserve da parte della Banca centrale, potranno avere lo stesso trattamento degli istituti di credito privati”. La Bce dunque avrebbe tutto il potere, a norma di Trattato, per decidere in materia. Se non lo fa è perché aspetta che sul problema gli Stati si mettano d’accordo, cosa che finora non è avvenuta essenzialmente per l’opposizione tedesca. Una seconda, pesante concessione al “primato della politica”.
D’altronde, se Draghi siede su quella poltrona non è solo per le sue universalmente riconosciute capacità tecniche. Sarà forse il più autorevole tecnico oggi in circolazione nel mondo, ma questo non sarebbe bastato senza il consenso politico di chi conta di più in Europa, ossia dei tedeschi. E il realismo insegna che è abbastanza inutile aver ragione, se poi non si riesce a farla valere.
Certo, può arrivare un momento in cui si deve scegliere tra il fare qualcosa che appare ormai indispensabile e il mantenere una copertura politica a costo di rischiare il disastro. Speriamo che, quando arriverà quel momento, Draghi scelga bene.