La responsabilità
non vale un suicidio
Napolitano darà il primo incarico a Bersani e poi tenterà la via di un nuovo governo tecnico. Ma un secondo esperimento del genere sarebbe fatale per il Pd. Però, nulla si può fare senza il consenso dello schieramento che controlla la Camera. A quel punto starà al leader del centro sinistra farsi valere, dentro e fuori del partito
(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 1 mar 2013)
Il ruolo del presidente Giorgio Napolitano fu determinante un anno fa, quando si decise che l'Italia sarebbe stata guidata da un governo tecnico e Napolitano scelse Mario Monti per guidarlo. E sarà fondamentale ora, dopo queste elezioni da cui è uscita una composizione parlamentare che sembra rendere impossibile qualsiasi maggioranza stabile. Ma stavolta c'è un'altra persona il cui potere condizionante, se vorrà usarlo fino in fondo, non è meno decisivo.
Il primo passo del presidente appare obbligato. Dovrà conferire l'incarico di formare il nuovo governo al leader della coalizione che ha ottenuto la maggioranza alla Camera e che ha quella relativa al Senato, ossia Pier Luigi Bersani. Ma nei passaggi successivi, al momento assai incerti, Napolitano potrà esercitare una discrezionalità che sarà decisiva per i successivi sviluppi.
Bersani, visto il risultato del voto, ha fatto la sola cosa ragionevole che si potesse fare: ha offerto un accordo politico al Movimento 5 Stelle, mettendo sul piatto i temi su cui Beppe Grillo ha più battuto durante la campagna elettorale: costi della politica, anticorruzione, riforma elettorale, conflitto di interessi, lavoro. Grillo ha risposto con insulti, delineando la sua strategia: costringere gli altri partiti a formare un governo di grande coalizione, più o meno fantasiosamente definito, in modo da rimanere l'unica forza di opposizione e presentarsi alle prossime elezioni (inevitabilmente a breve termine) per raccoglierne il frutto: M5S è già - anche se per un solo decimale - il primo partito, qualche voto in più e sarebbe lui a dettare legge.
Prima di esplorare i possibile scenari è bene però fare un minimo di chiarezza su alcuni punti che appaiono piuttosto stravolti dalle interpretazioni correnti sui risultati elettorali. Che sono: ha vinto Grillo (e su questo non c'è dubbio); ha vinto anche Berlusconi (e questa è un'affermazione demenziale); il risultato del Pd è stato catastrofico (e questa è una distorsione della realtà); a sinistra del Pd c'è stato il disastro (e questo non è vero). Ora, i numeri si possono interpretare, certo, ma non si possono ignorare. E i numeri sono quelli che ha diffuso l'Istituto Cattaneo, questi:
Il Centro è quello di Monti, che somma i voti Udc e Fli e li aumenta; nella Destra sono tutti i gruppuscoli a destra del Pdl; nella sinistra, con una decisione un po' discutibile, il Cattaneo somma Sel, Rivoluzione civile e gli altri partitini comunisti.
Da questi numeri, comunque, emerge chiaramente che per Berlusconi c'è stata una débacle, altro che vittoria: il suo partito è quasi dimezzato, Lega e Destra perdono tra il 50 e 60%. Di fronte a questi dati, la perdita del Pd, che pure arriva quasi al 30%, sembra addirittura contenuta. E si vede anche che il partito di Bersani ha perso voti a sinistra (la quale ha avuto un successo inutile, ma non certo un ridimensionamento): altro che l'ipotetica vittoria con Renzi alla guida! Resta ancora da osservare che il centro-destra, mettendoci dentro anche Monti, è sotto il 40% per la prima volta nella storia della Repubblica. Tradotto in pratica: questi non hanno diritto di pretendere niente, le elezioni le hanno straperse loro.
Torniamo agli scenari. Napolitano dunque incarica Bersani, che si presenta in Parlamento, ottiene la fiducia della Camera (dove Pd-Sel hanno la maggioranza assoluta via "Porcellum") e poi va al Senato. Allo stato dei fatti, cioè alle dichiarazioni di Grillo, in Senato non arriva alla maggioranza. Certo, è sempre possibile che di fronte al tumulto della base (la richiesta di una giovane elettrice di votare la fiducia a Bersani ha raccolto in poche ore oltre 100.000 adesioni) ci sia un cambio di linea; come è possibile che i senatori grillini "disobbediscano" al capo; ma a queste ipotesi assegneremmo un percentuale di successo inferiore al 10. Grillo se ne infischia della "responsabilità", vuole stravincere. E dunque Bersani non ottiene la fiducia.
La palla torna dunque a Napolitano, e la soluzione a cui con ogni probabilità lavorerà è quella di un governo "largo", presieduto da una personalità autorevole e non direttamente coinvolta in un partito: insomma un Monti-bis, anche se non potrebbe guidarlo Monti, ormai bruciato per questo ruolo. C'è chi fantastica di un incarico a Draghi: si può scommettere 1000 a 1 che il presidente della Bce (una delle posizioni di potere più importanti del mondo) si guarderebbe bene dall'accettarlo. Circolano i nomi di Giuliano Amato e Fabrizio Saccomanni di Bankitalia, ma si può "inventare" anche qualcun altro.
A questo punto, però, c'è una cosa da cui non si può prescindere: l'assenso di Bersani. Fosse D'Alema il segretario, sarebbe già fatta: nella sua intervista al Corriere ha già prefigurato uno scenario del genere, sostenendo, contro ogni logica, che non si tratterebbe di un "governissimo" e arrivando ad offrire le presidenze delle Camere una ai grillini e una al Pdl (facciamo peccato, pensiamo male: chi sarebbe l'autorevole esponente del Pdl a cui andrebbe questa presidenza?).
Il segretario però è Bersani, che per fortuna a questa soluzione appare assai poco propenso. Certo, deve fronteggiare anche attacchi dall'interno del partito. Ma sei lui tiene duro, arriverebbero a sfiduciarlo formalmente? Se pure ne avessero le forze sarebbero pazzi a fare una mossa del genere.
Lo stesso vale per l'ipotesi di larghe intese: nulla si può fare senza che il Pd sia d'accordo. E perché mai dovrebbe esserlo? Per il famoso senso di responsabilità? A prescindere che il prezzo sarebbe il suicidio del partito, che alle prossime elezioni rischierebbe di sparire, sarebbe un sacrificio speso inutilmente. Su cosa mai potrebbe trovare l'accordo, un nuovo governo tecnico, dove non è riuscito a trovarlo il governo Monti con un'identica composizione della sua maggioranza?
Si dirà: ma se Bersani dice no si entra in stallo, non è possibile nessun governo. Non è così. Una ipotesi sarebbe un governo di minoranza. Come scrive su Repubblica il politologo Piero Ignazi si tratterebbe di una soluzione niente affatto inusuale nelle democrazie europee, anzi, largamente praticata. Certo, noi avremmo un handicap in più, e non da poco: a differenza di altri paesi anche un governo di minoranza, per potersi insediare, ha bisogno di un iniziale voto di fiducia. E allora?
E allora non resterebbe che un governo che, non avendo la fiducia parlamentare, porti il paese a nuove elezioni prima possibile. Ma questo "prima possibile" non sarebbe comunque vicinissimo. Le votazioni per il nuovo presidente della Repubblica, quello che potrebbe sciogliere le Camere mentre Napolitano non può più, inizieranno il 15 aprile. Anche ipotizzando tempi rapidissimi, con un accordo che si trovi velocemente (il che non sembra probabile) e nessuno che faccia mosse diversive per perdere tempo, passerebbero almeno altri 15 giorni prima che il nuovo inquilino del Quirinale sia insediato, e almeno un'altra settimana - sempre ipotizzando un passo di corsa - per le consultazioni. Se queste si concludessero senza nessun altro tentativo, servirebbero un altro paio di mesi per la convocazione delle elezioni, più i tempi tecnici che seguono prima dell'insediamento del nuovo Parlamento e della formazione di un governo. Insomma, ad andare alla velocità del lampo si tratta di almeno sei mesi. E chi dovrebbe guidare il paese in questo periodo, posto che nessuna maggioranza sarebbe possibile? La risposta dovrebbe essere ovvia: lo schieramento che ha la maggior forza parlamentare. Bersani, insomma.
Sarebbe un governo per gestire "l'ordinaria amministrazione": ma che cosa è ordinario in una situazione straordinaria come quella attuale? Inoltre in questo parlamento c'è una maggioranza, e anche piuttosto larga, su una serie di problemi, che sono poi essenzialmente quelli indicati da Bersani: costi della politica, corruzione, conflitto di interessi, eccetera. E chi può dire se gli accordi trovati sui singoli provvedimenti non convincano a quel punto i senatori grillini che la chance del governo di minoranza è da tentare, e che il voto di fiducia negato ora non possa arrivare magari in "zona Cesarini"?
E' comunque una strada da tentare, anche perché è l'unica che non conduca il Pd a morte sicura e il paese a una paralisi perniciosa.