Lo strabismo di Confindustria
Solo nelle ultime pagine "Italia 2015", il documento con le proposte per rilanciare la crescita, si occupa dell'organizzazione e del costo dei servizi. Eppure le tanto ricercate competitività e produttività dipendono per una parte importante da quello, come affermano studi Ocse e Bankitalia. Meglio prendersela con i lavoratori che con lobby potenti?
(pubblicato su Repubblica.it il 24 gen 2013)
Bisogna arrivare all'ultimo dei capitoli di "Italia 2015", il documento con le proposte di Confindustria per rilanciare la crescita, per trovare l'analisi e le ipotesi di soluzioni che riguardano un problema che certo non è di minor portata degli altri considerati, ossia quello dell'organizzazione e del costo dei servizi. Se l'ordine di esposizione corrisponde all'urgenza che si vuole comunicare rispetto alle misure da prendere, viene da pensare che o questo problema è sottovalutato, oppure viene considerato troppo delicato da un punto di vista politico per prenderlo davvero di petto.
Eppure ci sono varie considerazioni che consiglierebbero invece di mettere queste problematiche ai primi posti nella scala delle priorità. Vediamone alcune.
E' lo stesso documento a ricordare che, secondo uno studio dell'Ocse, " nel prossimo decennio un piano di liberalizzazioni orientate sul benchmark dei paesi più avanzati potrebbe, nel complesso, incrementare la produttività del 14%, di cui il 7,4% dalla liberalizzazione dei soli servizi professionali ed il 4,9% del commercio". Mentre secondo altri studi di Bankitalia " le liberalizzazioni, riducendo il mark-up (cioè i guadagni) sui prezzi dei servizi al livello medio dell’Area Euro, farebbero aumentare il Pil italiano del 10,8%. Per il solo settore del commercio e della grande distribuzione, se le regioni meno virtuose nel recepire il decreto Bersani adottassero gli standard delle regioni più virtuose la produttività aumenterebbe del 7,5%".
Che uno dei più gravi problemi italiani sia quello della produttività che è da anni stagnante è stato ormai ripetuto fino alla nausea. Ma il fatto è che "aumentare la produttività" viene normalmente inteso come "far lavorare più intensamente la manodopera", mentre questo è solo uno dei fattori e di sicuro tra i meno importanti. Di qui le guerre come quella di Pomigliano o quella sull'articolo 18: guerre di retroguardia che generano più svantaggi - aumentando la tensione sociale - dei modesti vantaggi che se ne possono ricavare. La produttività si aumenta soprattutto con investimenti e ricerca, che in Italia sono da anni drammaticamente al di sotto dei paesi competitori, per innovare prodotti e processi e ridurre i costi. E si aumenta intervenendo su quei settori dove è più bassa e dove si annidano posizioni di rendita, che sono, appunto, soprattutto quelli dei servizi professionali, del credito e delle assicurazioni.
Secondo gli ultimi dati l'inflazione italiana viaggia al 3%, contro una media dell'area euro del 2,2. E che cosa provoca questa differenza relativamente elevata, visto che il costo dell'energia è in discesa, le importazioni in forte calo e le retribuzioni aumentano meno dei prezzi? Per esclusione, non si può che attribuirla proprio a quei settori. Quando si sta in una moneta unica più inflazione vuol dire aumento dei costi relativi e quindi, ancora, perdita di competitività.
In una ricerca di qualche anno fa gli economisti Anna Simonazzi e Roberto Schiattarella avevano fatto un interessante e istruttivo confronto tra Italia e Germania sugli aumenti dei prezzi industriali e dei servizi. Il periodo preso in considerazione era di 15 anni (dal 1989 al 2004). I comparti presi in considerazione il settore finanziario, quello del commercio, quello degli "altri servizi" (all'interno del quale sono incluse le professioni), il settore dell'elettricità, gas ed acqua, ed infine il settore dei trasporti e delle telecomunicazioni. In quasi tutti i settori presi in considerazione i prezzi, con la sola eccezione del commercio, erano cresciuti rispetto a quelli dell'industria manifatturiera di più in Italia che in Germania. Alla fine del periodo l'industria italiana aveva accumulato uno svantaggio di cinque punti, ma la maggior parte di questo svantaggio era attribuibile proprio al fatto che aveva speso di più per i servizi rispetto ai concorrenti tedeschi. Dopo il 2004 ci può forse essere stato qualche miglioramento grazie alle ormai mitiche "lenzuolate" di Pier Luigi Bersani, ma quello era solo un inizio e in seguito sono stati fatti anche vari passi indietro, soprattutto per ciò che riguarda le professioni, lobby particolarmente forti perché da sempre sono molto numerosi i parlamentari che ne fanno parte.
E forse sta proprio in quest'ultimo fatto la spiegazione del perché la Confindustria abbia messo proprio alla fine le sue proposte sulla liberalizzazione dei servizi. Il problema è davvero importante e in Viale dell'Astronomia lo sanno bene, ma se proprio si deve prendere di petto qualcuno si corrono certo meno rischi con i lavoratori che con categorie ben rappresentate in Parlamento. Il governo Monti aveva fatto un tentativo, per la verità più timido di quanto Bersani aveva realizzato in passato, ma è stato stoppato dal Pdl. Anche gli ulteriori progressi su questa questione determinante sono dunque legati al risultato delle prossime elezioni.