La pandemia dell'austerità
La Commissione Ue dice di temere che gli squilibri dell'Italia possano contagiare il resto d'Europa, ma poi stila una lista di "malati" che ormai è più lunga di quella dei sani. Non le viene il dubbio che la politica europea sia sbagliata? Nella lista manca la Germania, ma dovrebbe esserci: invece viene graziata da una regola piuttosto singolare
(pubblicato su Repubblica.it il 10 apr 2013)
Adesso avremo anche la fama di appestati, visto che la Commissione Ue scrive che la nostra crisi rischia di contagiare il resto d'Europa? Ma contagiare chi, visto che - sempre secondo la Commissione - la lista dei malati è ben più lunga di quella dei paesi "sani"? L'elenco di chi ha squilibri definiti "seri" comprende, oltre a noi, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Malta, Ungheria, Olanda, Finlandia, Svezia, Regno Unito. Già, anche l'Olanda, sempre pronta a rimbrottare gli spreconi mediterranei, anche la virtuosa Finlandia col braccino corto quando si tratta di finanziare strumenti comunitari anti-crisi. Per altri due, Spagna e Slovenia, gli squilibri sono definiti "eccessivi", cioè stanno anche peggio. E poi ci sono quelli che hanno già dovuto chiedere aiuti, Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro.
La Germania, naturalmente, non è nella lista: eppure dovrebbe esserci anche lei, seppure per motivi opposti. Quali? L'eccesso di avanzo della bilancia commerciale. Anche quello è uno squilibrio, e persino le regole Ue lo riconoscono. Solo che, con una acrobazia dialettica, stabiliscono che per questo parametro si debba applicare una "asimmetria intelligente". E dunque lo squilibrio diventa grave se il deficit delle partite correnti supera il 4% rispetto al Pil, ma se all'opposto il saldo è attivo, allora il limite viene opportunamente innalzato al 6% e la Germania, anche se per poco, non è arrivata a superarlo. Comunque almeno il principio è sancito: anche un avanzo può costituire uno squilibrio, e in quel caso il paese interessato dovrebbe prendere provvedimenti per ridurlo, ossia adottare una politica espansiva che faccia aumentare i consumi interni e quindi le importazioni. Proprio quello che da almeno un paio d'anni si chiede alla Germania, che però, essendo all'interno dell'"asimmetria intelligente", ha sempre risposto picche.
Tornando all'elenco dei "malati", il fatto che siano più dei "sani" qualche problema alle teste d'uovo della Commissione dovrebbe pur porlo: non sarà che, oltre ai vizi nazionali, che certo ci sono, la situazione è aggravata da una politica europea profondamente sbagliata? Ma una discussione del genere, evidentemente, non è all'ordine del giorno.
Se si evita di affrontare la questione di fondo anche le diagnosi ovviamente ne risentono. Prendiamo quella sull'Italia. Chi potrebbe contestare che sia opportuno rafforzare il sistema bancario, riformare la pubblica amministrazione, semplificare il sistema fiscale, aumentare la concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi? Nessuno, ovviamente. Qui siamo tra i peggiori "vizi" italiani e li conosciamo bene, anche se da decenni nessuno riesce a risolverli. Poi il rapporto aggiunge: "Siccome l'aumento stagnante della produttività non si è riflesso pienamente nelle dinamiche salariali, la competitività dei costi dell'Italia si è deteriorata, come dimostrato dall'incremento dei costi unitari del lavoro in rapporto agli altri paesi europei". Tradotto in chiaro: la produttività è ferma da tempo, mentre i salari sono aumentati, seppure di poco, tenendo a stento dietro all'inflazione (non tutti, come abbiamo visto dai recenti dati sugli stipendi pubblici). Male, dice la Ue, dovevano seguire la produttività, cioè diminuire in termini reali.
Questa osservazione, se si considera solo il parametro della competitività con gli altri paesi, è corretta. Ma non considera che la produttività risente anche del disastroso livello dell'attività economica. Quando l'economia si contrae pesantemente come in questi anni può accadere che le aziende non possano adeguare completamente la riduzione della manodopera al calo del fatturato. Non solo perché magari cercano di non licenziare per spirito di solidarietà, ma anche perché oltre un certi livello si compromette l'operatività dell'azienda. Per banalizzare: se ho una trattoria con un cuoco e tre camerieri e crolla il numero degli avventori, potrò magari mandar via due dei camerieri, ma se poi licenzio anche il cuoco semplicemente non sono più in grado di produrre. Così tengo il cuoco e riesco anche a sopravvivere, ma il valore aggiunto per addetto (cioè la produttività) cala lo stesso.
L'economia dell'Italia in questi anni, a parte i casi disperati tipo la Grecia, è andata peggio di tutti. Come mai? E' l'altra faccia della "virtù di bilancio": il drenaggio di risorse per arrivare al pareggio (strutturale) di bilancio nel 2013 ha soffocato la domanda interna, e con essa tutte le aziende che non esportano. Per la produzione industriale si è registrato oggi il 18° calo consecutivo, e il livello complessivo è inferiore di circa il 20% a quello raggiunto prima dell'inizio crisi. Ma la Commissione continua a chiederci di proseguire nel consolidamento dei conti pubblici, ignorando completamente questo dramma. Se ci aggiungessimo un ulteriore calo delle retribuzioni aggraveremmo ulteriormente le condizioni della domanda, già prostrata da aumenti di tasse e riduzione di spesa pubblica e certo non alimentata da tre milioni di disoccupati e due di cassintegrati.
La Ue se prende anche con il nostro export, l'unica cosa che tiene in questo disastro. E' vero, la bilancia commerciale è tornata in attivo solo grazie al crollo delle importazioni (la paralisi della domanda interna vale anche per quelle), ma l'export già da qualche mese ha superato i valori precedenti alla crisi. E questo, tra l'altro, dovrebbe far capire che se la produttività media è in effetti stagnante, evidentemente non è così per tutti i settori e le imprese, e ce n'è un buon numero perfettamente in grado di competere vittoriosamente sui mercati esteri.
Insomma, la Commissione persevera nel proporre la stessa ricetta: più concorrenza (e va bene), austerità e riduzioni salariali (e va malissimo). Intanto la lista dei "malati" si allunga. Tra poco non ci sarà più nessuno da contagiare.