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Garantire il reddito? No, il lavoro
Si continua a parlare di “reddito di cittadinanza” o “reddito minimo garantito”. Ma, come già diceva Paolo Sylos Labini più di 30 anni fa, non è all’assistenzialismo che bisogna puntare, ma ad assicurare un lavoro a tutti. Evitando gli errori di esperienze simili, come i nostri “lavori socialmente utili” o i “mini-job” tedeschi

(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 12 nov 2013)

Correva l’anno 1981 e anche allora la disoccupazione era un problema grave. Qualche tempo prima, anche allora, era stata varata una legge per l’occupazione giovanile, e anche allora non aveva funzionato. Anche allora si parlava di salario minimo garantito. Ecco cosa ne pensava uno dei più autorevoli economisti dei nostri tempi, Paolo Sylos Labini: “L’Agenzia del lavoro deve avere, come obiettivo di fondo, quello di estendere e stabilizzare l’occupazione, non quello di gestire un salario minimo garantito, idea pericolosissima in Italia” (La Repubblica, 22.12.1981). Per i giovani Sylos pensava poi a un “esercito del lavoro”, un servizio civile in parziale sostituzione di quello militare (all’epoca obbligatorio), rielaborando un’idea già avanzata in passato da Ernesto Rossi.

Manifestazione per il reddito garantitoDa qualche anno si trascina il dibattito su reddito minimo garantito o reddito di cittadinanza, riproposto in questi giorni dall’iniziativa parlamentare del M5S (in proposito vedi questo articolo di Pierre Carniti). Ma, come ben disse allora Sylos, si dovrebbe piuttosto parlare di “lavoro garantito”, come indurrebbe a fare anche un fondamentale principio della nostra Carta costituzionale.

Prescindiamo qui dalle risorse necessarie. “Hai detto niente!”, si potrà obiettare. Certo, senza quelle non si concluderà mai nulla. Ma è anche importante mettersi d’accordo su come impiegarle, ove mai si riuscisse a reperirle. E dunque: l’assistenza è un compito nobile di uno Stato democratico che dia qualche valore alla solidarietà, ma andrebbe limitata ai casi di reale necessità. Dare soldi della collettività in cambio di niente, quando il destinatario potrebbe fornire un contributo e in molti casi lo preferirebbe anche, per non sentirsi oggetto della carità altrui, non sembra affatto un’idea razionale.

Di cose che bisognerebbe fare e che non si fanno – non sempre per mancanza di soldi – ce n’è a iosa, per tutte le qualifiche e per tutte le possibilità. Sono persone mediamente qualificate? Bene, della riforma del Catasto si parla ormai da almeno 35 anni, ogni volta obiettando – quando si inventa l’ennesimo balzello sulla casa – che non c’è tempo “perché richiede almeno 5 anni”. A parte che se si fosse cominciato allora se potevano esser fatte sette, e invece ancora non è alle viste, ecco un modo utile per far lavorare molte centinaia di persone. Sono giovani senza esperienza e senza un mestiere? Le nostre città fanno schifo, piene di graffiti sui muri e manifesti abusivi: mettiamoli a ripulirle, così forse diminuiranno anche i graffiti futuri, di cui più d’uno di loro è certo responsabile. Hanno capacità in qualche campo artigianale? I nostri edifici pubblici (e specialmente le scuole) hanno nella maggioranza dei casi un disperato bisogno di manutenzione. E così via, con la pulizia e il mantenimento di spiagge, parchi e giardini o – per chi è anziano o ha problemi fisici  - compiti di custode per tenere aperti oltre gli attuali orari musei, biblioteche o altri edifici pubblici. Anche l’assistenza agli anziani non autosufficienti, in Italia un settore completamente abbandonato, apre possibilità infinite. Un aiuto importante può essere anche far loro la spesa o andargli a comprare le medicine, cose che non richiedono né prestanza fisica né competenze particolari.

Come ognuno può capire si potrebbe continuare all’infinito. Ma funzionerebbe? In Italia è già stata fatta l’esperienza dei “lavori socialmente utili”, e si può tranquillamente affermare che è stata pressoché fallimentare. Non per l’idea in sé, però, ma per come è stata (dis)applicata. Considerati una sinecura, senza controlli, spesso solo una copertura per ricevere un assegno senza svolgere alcun compito. Certo, senza una robusta organizzazione non si farebbe altro che ripetere quella infelice vicenda. Se invece struttura e controlli ci fossero andrebbe in modo diverso, evitando anche che l’assegno pubblico diventi un incentivo a un lavoro nero svolto al posto di quello previsto. I “mini-job” tedeschi hanno come rovescio della medaglia che ormai stanno diventando, in molti casi, sostitutivi di lavoro regolare, cosa che ovviamente è da evitare. Ma chiedete a un tedesco coinvolto in quel programma quanto sia ferreo e occhiuto il controllo sulla sua vita, compresi i movimenti sul suo conto corrente: se ci arriva una somma extra, per qualsiasi motivo, un pari importo viene scalato dall’aiuto pubblico.

Insomma, come diceva Sylos, il problema dell’occupazione è drammatico e va affrontato. Ma basta parlare di “reddito di cittadinanza, discutiamo di “lavoro di cittadinanza”.


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