Also sprach Angela Merkel
Chi pensa che l’ingresso dei socialdemocratici nel governo tedesco possa cambiare qualcosa farà bene a leggere il resoconto del primo discorso della cancelliera al Bundestag dopo la rielezione. Non solo una piena conferma della linea seguita finora, ma anche una riaffermazione che le regole europee devono essere ferree per tutti tranne che per la Germania
(pubblicato su Repubblica.it il 21 dic 2013)
Sulla stampa internazionale si parla di un cambiamento di rotta della Germania nella politica europea grazie all’accordo di governo con la Spd. E’ una ipotesi fondata? Si può provare a capirlo esaminando il primo discorso di Angela Merkel davanti al Bundestag, la Camera più importante del Parlamento tedesco, dopo la sua conferma per la terza volta al cancellierato, perché è stato una chiarissima sintesi dell’idea che la Germania ha dell’Europa.
Il mondo cambia rapidamente, ha detto la cancelliera, il Trattato di Lisbona non basta più, bisogna andare avanti. Avanti come? Rafforzando quello che abbiamo fatto finora. E’ vero che la crisi del debito dell’eurozona non è ancora stata vinta, ma “stiamo vedendo i primi successi”, come l’Irlanda che è uscita dalla procedura di aiuti, il che dimostra che la linea – “aiuti in cambio di riforme” – è quella giusta. La Germania – ha proseguito – vuole un più stretto coordinamento della politica economica e si impegnerà per spingere gli altri leader ad acconsentire ad accordi più stringenti con la Commissione europea per attuare ulteriori riforme. E sta anche premendo, ha aggiunto, per una modifica del Trattato di Lisbona per dare un maggior controllo europeo sulla politica. I nostri più stretti alleati, i francesi, si oppongono, e così altri paesi, ma l’unità europea rimane uno dei più importanti obiettivi della Grande coalizione: “La Germania è forte solo se l’Europa è forte”, ha detto, riferendosi però alla “forza” dei controlli dal centro.
Prima di dar conto della parte successiva del discorso è bene sottolineare alcuni passaggi. Neanche l’ombra di un dubbio viene espresso sulla correttezza delle politiche seguite finora, ossia l’austerità e la totale assenza di solidarietà economica. Ogni paese deve risolvere da solo i suoi guai, riducendo i salari e con feroci tagli ai bilanci pubblici; gli aiuti vengono dati, sotto pesanti condizioni, solo quando si arriva sull’orlo di una crisi sistemica. Nel discorso si parla genericamente di “rafforzare i controlli” sulle politiche nazionali, ma è solo un richiamo alla linea che i tedeschi vogliono far passare, e cioè che ogni paese stipuli un accordo bilaterale con la Commissione, concordando (si fa per dire) una serie di riforme per avere in cambio un sostegno, riguardo al quale nulla si precisa, per affrontare le difficoltà. Insomma, il meccanismo previsto per chi vuole chiedere l’aiuto del Fondo salva-Stati dovrebbe essere reso obbligatorio per tutti. Gli Stati, che già hanno rinunciato alla moneta e alla sovranità di bilancio, dovrebbero a questo punto rinunciare anche alle decisioni su quali riforme fare e come, ma solo seguire le prescrizioni della Commissione.
Quanto all’Irlanda, sarà pure uscita dalla procedura di aiuti – a prezzo di enormi sacrifici imposti ai suoi cittadini, la cui emigrazione è ripresa in massa – ma finora non è uscita dalla recessione: lo scorso trimestre il Pil ha segnato –0,6%, dopo il –0,2 del precedente.
La filosofia sottostante a questa visione è che esiste una e una sola politica economica “giusta”, che naturalmente è stata perfettamente individuata a Berlino e Bruxelles, e dunque non bisogna rischiare che qualche improvvido rito democratico, come la vittoria alle elezioni di un partito o una coalizione che non apprezza quella politica, possa far derogare qualcuno dalla linea stabilita. Gli altri paesi non ci stanno? Li “spingeremo” ad accettare, ha affermato la Merkel.
Ma il seguito del discorso è ancora più interessante. La signora Merkel si è infatti soffermata sull’indagine aperta dalla Commissione perché il governo tedesco ha deciso di concedere esenzioni per la bella somma di 5 miliardi a 2.000 imprese sul consumo di energia verde, in particolare a quelle che ne consumano di più come le acciaierie. L’esenzione potrebbe essere considerata un indebito aiuto di Stato e le imprese condannate a restituirla. “La Germania non tollererà un indebolimento delle sue industrie o la perdita di posti di lavoro”, ha tuonato la cancelliera. “Il ministro dell’Economia Sigmar Gabriel (che è anche presidente dei socialdemocratici, n.d.r.) lo dirà molto chiaramente alla Commissione: finché in Europa ci sono paesi che fanno pagare di meno l’energia alle loro industrie, non vedo come possiamo distorcere la concorrenza”.
E dunque, più potere alla Commissione, ma non si azzardi a sindacare quello che fa la Germania. Lo stesso atteggiamento tenuto poco più di un mese fa, quando la Commissione ha dovuto rilevare – perché la cosa è prevista negli accordi sulla sorveglianza macroeconomia – che la Germania ha “sforato” i limiti previsti per il surplus dei conti con l’estero. La reazione corale, tanto del governo che di tutta l’opinione pubblica tedesca, è stata: “Siamo bravi, e allora?”. E quando nel 2002 la Germania (quella volta in compagnia della Francia) sforò il tetto del 3% del deficit (cosa ripetutasi nel 2003 e 2005), ottenne, in clamorosa deroga alle regole valide per tutti, di non essere sottoposta alle sanzioni della procedura di infrazione. Insomma, le regole sono regole e bisogne renderle ancora più rigide, ma se è la Germania a infrangerle o sono sbagliate o sono state interpretate male.
Affidarsi a regole prefissate per guidare la politica economica è già un errore. Se è vero, come ha detto la stessa Merkel, che il mondo cambia rapidamente, non si può pensare che uno schema elaborato in certe condizioni dell’economia e delle teorie che la interpretano possa essere cristallizzato e seguito ciecamente, e la costruzione europea è appunto figlia di un determinato periodo storico, e quindi oggi del tutto inadeguata. Il Trattato di Maastricht è del 1991, un evo fa, e tutte le sue successive integrazioni sono state fatte in base alle teorie monetariste e neoclassiche, che si sono dimostrate tragicamente inadatte a fronteggiare la crisi. Solo la Germania e la Bundesbank continuano a non avere dubbi sulla necessità di perseverare su questa strada. Ma qui c’è anche di più: c’è la pretesa di essere così tanto i migliori da non poter mai essere messi in discussione. E questo è veramente troppo.