Renzi e i conti senza Bruxelles
La Commissione Ue ha fatto capire chiaramente di non essere disposta a concederci nessun margine di manovra sui conti pubblici: al contrario, ci chiede ancora più rigore. Secondo la linea imposta da Angela Merkel, solo se accettassimo di farci dettare le riforme potremmo avere qualche aiuto (peraltro indeterminato). Accettando cioè di proseguire nella politica del disastro
(pubblicato su Repubblica.it il 9 mar 2014)
I segnali sono stati precisi e quasi brutali: l’Italia non pensi di poter chiedere “sforamenti” per i conti pubblici o deroghe al sentiero di austerità tracciato dagli accordi europei. Nel nostro paese finalmente ha cominciato a farsi strada la convinzione che gli appelli sempre più disperati degli economisti “non allineati” avevano visto giusto e che la politica chiesta dalla Germania per interposta Commissione ci sta trascinando nel baratro, ma Renzi e Padoan devono essere ben consapevoli che a Bruxelles troveranno un muro: nessuna eccezione sarà concessa, a meno che… Ma ricordiamo prima gli avvenimenti di questi giorni.
Il primo non ha avuto grande eco in Italia, perché apparentemente non ci coinvolgeva. Germania e Finlandia, i due alfieri del “rigore”, il 28 febbraio scorso hanno inviato alla Commissione Ue un documento in cui si accusava la Commissione stessa di aver cambiato il modo con cui valuta se gli Stati membri abbiano intrapreso “azioni efficaci” per rispettare le regole di bilancio, e questo indebolirebbe le regole approvate per rafforzare la sorveglianza. "Il metodo è in uso da oltre un anno ed è stato introdotto con una discussione approfondita con gli Stati membri", ha replicato Simon O'Connor, portavoce del commissario agli affari economici Olli Rehn. Anche la Germania quindi aveva approvato la metodologia per valutare quali siano i conti “strutturali”, cioè depurati dagli effetti del ciclo economico non imputabili alle azioni dei governi.
Ohibò, la Germania che se la prende con la Commissione, che è praticamente una sua dependance, perché sarebbe troppo di manica larga? Contestandole, per giunta, un metodo che aveva contribuito ad elaborare? E’ fin troppo chiaro che la mossa ha un significato indiretto. Proprio in quei giorni Renzi aveva cominciato a fare dichiarazioni sulla necessità di dare sostegno all’economia, trovando qualche sistema per escludere dai conteggi europei gli interventi ritenuti necessari. E allora, Angela parla a Olli perché Matteo intenda: altolà, non pensate che potremo approvare i vostri trucchi, di deviazioni dall’austerità non se ne parla.
Pochi giorni dopo la Commissione rende noti i suoi “esami approfonditi” sulla situazione dei paesi membri, quelle che giornalisticamente sono state definite “le pagelle”. E per l’Italia è una doccia fredda, anzi gelata: solo noi tra i grandi paesi riceviamo un giudizio di “squlibri eccessivi”, in compagnia di Croazia e Slovenia. Per noi un giudizio peggiorato, mentre la Spagna è nel gruppone (11 paesi, quasi tutti) di chi ha squilibri, ma non “eccessivi”. Eppure noi possiamo vantare di aver rispettato il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil, mentre la Spagna non solo ha chiuso il 2013 con un 6,8%, ma quest’anno peggiorerà a 7,2, come la Francia che salirà da 3,8 a 4. Ma, scrive la Commissione, “l'Italia deve contrastare un debito pubblico molto elevato e una competitività esterna debole. Entrambi gli aspetti sono ascrivibili in ultima analisi al protrarsi di una crescita deludente della produttività e richiedono un intervento urgente e risoluto per ridurre il rischio di effetti negativi per l'economia italiana e per la zona euro”.
Già, e perché il debito pubblico continua a peggiorare? In realtà il debito durante la crisi è aumentato molto poco, grazie – si fa per dire – ai tagli pesanti alla spesa dei tre governi precedenti. Fra il 2008 e il terzo trimestre 2013, secondo un’elaborazione della Edison su dati Eurostat, il nostro debito è salito del 25, 1%: un’inezia rispetto al 138,2 della Spagna, 107,7 del Regno Unito e 47,4 della Francia; e meglio anche della Germania, il cui debito pubblico è aumentato del 30,2%. Ma siccome si considera il rapporto con il Pil, e il nostro Pil è crollato più di tutti (tranne la povera Grecia), in base a quel rapporto noi siamo messi malissimo.
Dunque non è un problema di spesa eccessiva, ma di crescita, o per meglio dire di mancanza di crescita. Che manca proprio perché troppe risorse sono state sottratte all’economia per sacrificarle all’idolo del 3% di deficit e del “pareggio strutturale” di bilancio, che masochisticamente abbiamo pure inserito nella nostra Costituzione anche se non era un obbligo. Più nello specifico, la Commissione ci contesta anche il mancato rispetto di questo impegno: Saccomanni aveva previsto il pareggio strutturale nel 2015, mentre secondo gli uffici di Rehn saremo ancora in deficit dello 0,9%. Male, afferma la Commissione, bisogna correggere (ossia altri tagli). E ci prescrive una ricetta stupefacente: mantenere un elevato saldo primario (cioè un attivo fra entrate e spese al netto degli interessi sul debito) e anzi aumentarlo, e accelerare la crescita. Ma questo è un ossimoro, come dire asciugatevi buttandovi in acqua. Eppure la Commissione lo scrive senza alcun imbarazzo.
Un altro segnale che l’Europa è tutt’altro che disponibile alle nostre richieste è stata la precisazione che i fondi strutturali non possono essere impiegati per manovre come quelle sul cuneo fiscale o sull’Irap, arrivata non appena si è cominciato a ventilare questa possibilità. Insomma, se Renzi spera che le riforme che ha messo in cantiere siano sufficienti a farci concedere lo spazio per ridare un po’ d’ossigeno alla nostra economia, con ogni probabilità va incontro ad una cocente delusione: nulla fa pensare che questa linea possa essere accettata. Altrettante possibilità (cioè nessuna) avrebbe la proposta avanzata da Stefano Fassina, ex vice-ministro dell’Economia e oggi uno dei leader della minoranza Pd: non attuare ulteriori correzioni del deficit strutturale e aggiungere un ulteriore 0,5% di spesa pubblica. E comunque, anche se per assurdo la proposta passasse, gli effetti non sarebbero straordinari: lo 0,5% vuol dire 8 miliardi scarsi, ancora troppo poco per dare una spinta davvero decisiva. Se invece ci fosse concesso quello che è permesso alla Spagna – che non è nemmeno stata messa nel gruppo di chi ha “squilibri eccessivi” – e cioè un deficit del 7,2%, ben altra sarebbe la musica: si tratterebbe in questo caso di una settantina di miliardi, e quelli sì che avrebbero effetti sensibili. Dovrebbe ricordarselo chi parla di ripresa spagnola e la attribuisce essenzialmente a una riforma che ha fatto strame delle garanzie per i lavoratori.
Che cosa ci proporrà la signora Merkel per interposta Commissione? La risposta non è difficile: “aiuti in cambio di riforme”, la nuova linea che, su pressione della cancelliera tedesca, la Commissione ha deciso di adottare. Tradotto in chiaro, vuol dire che l’Italia dovrebbe concordare punto per punto le riforme con la Commissione (ossia, accettare tutto quello che chiederà e nel modo in cui lo chiederà) ed essere poi controllata strettamente sulla puntuale esecuzione. Viste le prove di lungimiranza in politica economica che ci sono state date, meglio buttarsi dalla finestra.