Stime ipotetiche, sacrifici veri
Renzi vuole spendere 100 miliardi, la Commissione Ue vuole tagli per 24. La recente bocciatura dei conti dell’Italia è dovuta essenzialmente alla diversità di stime su variabili come andamento del Pil, inflazione, spesa per interessi. Chi ha ragione? Nessuno può saperlo, visto che tutte le stime degli ultimi anni erano clamorosamente sbagliate. Ma su quella base vorrebbero imporci altri tagli e tasse
(pubblicato su Repubblica.it il 17 mar 14)
Cento miliardi da spendere o 24 da tagliare? L’esito di questa paradossale alternativa dipenderà esclusivamente da una trattativa politica, quella che si prospetta come la vera e più difficile partita che il governo Renzi sta per affrontare. Una partita da cui dipende se la nostra economia continuerà ad essere strozzata dalla “stupida austerità” o potrà avere un po’ d’ossigeno, forse non tutto quello che sarebbe necessario, ma almeno il minimo per non continuare a precipitare.
Cento miliardi, malcontati, sono quelli che servono per i provvedimenti annunciati da Renzi, compreso il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione per cui il presidente del Consiglio ha stabilito una data precisa: entro il 21 settembre. Ventiquattro (un punto e mezzo di Pil) sono invece i tagli aggiuntivi che dovremmo fare, secondo la Commissione Ue, per rispettare l’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio entro il 2015. “Strutturale”, come si ricorderà, vuol dire che si apporta una correzione per tener conto del ciclo economico, in base alla differenza tra il Pil potenziale e quello realizzato. E già qui c’è un primo ragionevole dubbio, perché il calcolo del Pil potenziale è tutt’altro che certo e anzi è oggetto di accese discussioni tra economisti.
Ciò nonostante questo è un elemento importante nell’esame che la Commissione fa dei piani di bilancio dei vari paesi, quell’esame i cui risultati, resi noti nei giorni scorsi, dicono che non siamo in linea con gli impegni per il raggiungimento del pareggio e la riduzione del debito, e dunque non solo ci negano quello 0,3% di “flessibilità” per investimenti concesso a chi è in regola (non sarebbe comunque granché: 4,5-5 miliardi), ma ci chiedono ulteriori tagli per raggiungere quegli obiettivi.
Ora, ricordiamo solo di sfuggita che ci sono ormai molti studi che concludono che la “cura” dei tagli peggiora la malattia, cioè fa crescere ancora di più il debito in rapporto al Pil, com’è in effetti accaduto – in Italia come negli altri paesi – grazie alle ricette imposte da Berlino e Bruxelles. La Commissione semplicemente li ignora, come il commissario Olli Rehn aveva ignorato le clamorose smentite alle tesi di Reinhart e Rogoff secondo cui un debito oltre il 90% del Pil frenerebbe la crescita. Dimentichiamo per un attimo questo fatto (che pure è essenziale) per capire in base a che cosa la Commissione boccia i conti presentati dall’ex ministro dell’Economia Saccomanni, secondo i quali invece saremmo in linea con le prescrizioni europee.
Innanzitutto le stime della Commissione sono “a politiche invariate”, cioè non tengono conto dei vari provvedimenti programmati per raggiungere i risultati desiderati. Per esempio, non viene considerato nessun introito da privatizzazioni, e dunque nessuna riduzione della spesa per interessi derivante da quegli introiti (in quanto ridurrebbero il debito). Nei nostri documenti di bilancio, invece, si ipotizza un calo degli interessi dello 0,7% del Pil (circa 11 miliardi) nel triennio 2015-2017. Ma questo si può capire: in passato è già accaduto più volte che si programmassero incassi da privatizzazioni che poi non si è riusciti a realizzare.
Ci sono però altre differenze che incidono sulla divergenza dei risultati. Secondo la Commissione il Pil crescerà mezzo punto in meno, sia quest’anno che il prossimo, rispetto a quanto previsto da Saccomanni; e anche l’inflazione sarebbe più bassa di quanto da noi stimato, generando una differenza negativa di mezzo punto anche per il Pil nominale.
Non c’è bisogno di addentrarci ulteriormente nelle “tecnicalità” in questione. Possiamo trarre una conclusione. Le contestazioni che la Commissione ci muove partono da una base discutibile (il calcolo del Pil potenziale) e si sviluppano sulla base di stime che non concordano con quelle contenute nei nostri documenti di finanza pubblica. Tutto questo potrebbe costituire un interessante materiale di discussioni tra economisti, e se si limitasse a questo non ci sarebbero problemi. Il problema invece c’è, perché sulla base di quei calcoli e quelle stime si chiedono all’Italia ulteriori tagli al bilancio o altri inasprimenti di tasse.
Ora, se anche la Commissione avesse ragione quella che ci prescrive è la solita medicina, sbagliata e controproducente, che finora non ha fatto altro che aggravare la crisi. Ma ha ragione? In realtà non lo sappiamo, e non lo sanno neanche loro. Ci vuole un bel coraggio a imporre altri sacrifici quando tutte le stime degli ultimi anni sull’andamento dell’economia si sono rivelate clamorosamente sbagliate. Addirittura, hanno sempre fatto registrare sensibili scostamenti rispetto a quanto poi è avvenuto persino le stime fatte a novembre per gli anni in corso (quindi quando manca solo un mese alla fine dell’anno). E qui dovremmo fidarci di stime che guardano a due, tre anni avanti? Non scherziamo.
Per questo si diceva che la partita, nonostante il “travestimento” da problema tecnico, è tutta e solo politica. Quello che è in gioco è se bisogna perseverare con la politica economica di austerità, quella che è palesemente e platealmente sbagliata, o se finalmente si comincerà a prendere una direzione diversa. Le premesse non sono incoraggianti I risultati delle prossime elezioni europee potranno avere un peso nei successivi sviluppi.