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 Politica economica Riduci

Euro o no: non è questo il punto
Entrambe le posizioni hanno dalla loro argomenti forti. Ma tornare alla lira, anche ipotizzando che non provochi disastri, non risolverebbe nulla senza un cambiamento della politica economica, così come la moneta unica non sarebbe più un problema se l’Europa cambiasse linea. E’ allora quello l’obiettivo su cui concentrare gli sforzi

(pubblicato su Repubblica.it il 10 ago 2014)

E’ ormai molto tempo che le posizioni anti-euro e pro-euro si fronteggiano, spesso trasversali ai partiti e alle scuole economiche. Entrambe hanno argomenti forti. I migliori della prima possono essere considerati la situazione oggettivamente insostenibile nella quale ci ha messo la politica europea e il fatto che, riacquistando la sovranità monetaria, l’Italia potrebbe di nuovo disporre di un fondamentale strumento di politica economica. Il migliore della seconda che l’uscita dalla moneta unica sarebbe un salto nel buio, perché troppe variabili di quanto potrebbe accadere sono al di fuori del nostro controllo: potrebbe andare bene, dunque, ma anche essere un disastro incontrollabile, e chi negasse questa seconda possibilità darebbe prova quantomeno di una visione superficiale.

Ma siamo sicuri che sia la moneta unica il fattore decisivo? Proviamo quella che gli economisti chiamano “analisi controfattuale”, e che in modo più popolare potremmo definire “metodo delle sliding doors”, perché, come nel film con questo titolo, passare o no da quella porta può cambiare il corso delle nostre vite.

Immaginiamo di trovarci domani mattina fuori dall’euro. Non sarà però cambiato il governo, né la maggioranza che lo sostiene, per la quale, giova ricordarlo, sono determinanti i parlamentari dell’Ncd di Alfano e quelli di Scelta civica, defunta nelle urne ma ancora presente in Parlamento; senza dire di Forza Italia, il cui appoggio appare in questa fase anche più importante. Il governatore Visco farebbe una politica alla Fed o alla BoJ? Pare difficile. Il governo cambierebbe la sua politica sul lavoro? Poco credibile. Il ministro dell'Economia rinuncerebbe al consolidamento del bilancio? Non è probabile. Quella massa di speculatori ignoranti di macroeconomia che comunemente chiamiamo "mercato" valuterebbero che con la lira siamo meno rischiosi? Poco verosimile.

Immaginiamo ora un altro scenario. I prossimi dati tedeschi su Pil e inflazione sono inaspettatamente negativi: la crescita della Germania si è arrestata nonostante i record dell’export, i prezzi continuano a rallentare tanto che la deflazione è ormai una realtà. Persino la Bundesbank (che, nella sorpresa generale, si è già pronunciata per un aumento dei salari del 3%: e questo è vero, non immaginario) è spaventata dalle prospettive. L’Europa decide di cambiare politica. Viene adottata una delle tante proposte per risolvere il problema dei debiti pubblici; viene varato un piano straordinario di investimenti finanziati dagli eurobond; la Bce adotta tutte le possibili misure non convenzionali per combattere la deflazione e riportare l’inflazione anche un po’ oltre il fatidico 2%.

Questo scenario è forse più inverosimile del primo (ossia di un’uscita dall’euro senza grandi scosse). Ma delineare l’uno e l’altro serve ad arrivare ad una constatazione. Nel primo caso l’uscita dall’euro ci aiuterebbe ben poco. Nel secondo caso rimanere nell’euro non sarebbe più un problema.

E dunque: la questione centrale non è stare dentro o fuori dall’euro, ma le politiche economiche che si fanno. Ma potrebbe, l’Italia, restando nell’euro, fare una politica economica diversa da quella attuale? Sì che potrebbe. Infischiandosene delle regole europee, naturalmente (come hanno fatto Germania e Francia quando ne hanno avuto bisogno). Non pretendendo di avere, in questa fase di recessione, un avanzo primario, che significa sottrarre ulteriori risorse all’economia; correggendo di nuovo l’articolo 81 della Costituzione, in modo che preveda il pareggio solo fra uscite e entrate correnti; ripristinando gli investimenti pubblici, arrivati a forza di tagli a un minimo storico. Andando avanti con le riforme strutturali (evasione fiscale, corruzione, pubblica amministrazione, giustizia, protezione sociale, lavoro, ecc.) ma in modo assai diverso da come oggi si prefigurano.

Si potrà obiettare che questo è uno scenario almeno altrettanto improbabile dei due precedenti. Magari è vero, ma è comunque meglio combattere per l’obiettivo giusto – una diversa politica economica – piuttosto che dividersi su uno – euro o non euro – che alla fine non sarebbe determinante.


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