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 Politica Riduci

Un SI a disuguaglianza e liberismo
La riforma costituzionale, oltre ad essere pessima dal punto di vista dei contenuti, ha anche un forte significato politico. Approvarla significa approvare anche la mutazione genetica di quella (ex) sinistra che si è convertita all'ideologia di quelli che una volta erano gli avversari

(pubblicato su Repubblica.it il 3 dic 2016) 

Dice: bisogna giudicare la riforma nel merito, non si deve dare un voto politico. Ma perché, la riforma è politicamente neutrale? E non avrà conseguenze politiche? Le tecnicalità della riforma e i suoi significati politici, sia dal punto di vista del cambiamento della Costituzione che da quello degli effetti che avrà sui rapporti tra i protagonisti della politica, sono inscindibilmente legati, il risultato del voto incide su entrambe le cose.

E allora, dato per discusso l'aspetto tecnico, giudicato pessimo persino da chi dichiara che voterà a favore, come Romano Prodi ("E' una schifezza"), bisogna parlare anche dell'altra faccia del problema, e decidere anche in base a quello.

Un voto pro o contro Renzi? Di certo lui l'ha proposto così. Renzi è un giocatore d'azzardo, e all'inizio, per impressionare meglio, ha annunciato che metteva tutta la posta nel piatto: se non vinco me ne vado, mi ritiro dalla politica. Naturalmente era un bluff, e man mano che passava il tempo ha fatto marcia indietro.

Ma in realtà non si tratta di un voto pro o contro Renzi, ma pro o contro quello che Renzi rappresenta. Il filo rosso che porta fino all'attuale presidente del Consiglio viene da lontano, viene dalla caduta del Muro nel 1989 che trascinò con sé un altro bluff, quello dell'Eurocomunismo che si voleva originale e distante dal comunismo sovietico. Se fosse stato davvero così, la caduta del Muro non avrebbe dovuto provocare uno shock nel Pci di allora e una resa senza condizioni all'ideologia del fronte opposto. Il processo subì un'ulteriore accelerazione quando, nel 1997, Tony Blair salì al governo nel Regno unito promettendo una "Terza via": peccato che quella via non avesse niente di "terzo", perché era - ed è - assolutamente allineata al neoliberismo . Ma Blair diventò il fulgido esempio di uno slogan che è un vero e proprio imbroglio, quello della "sinistra che vince". Quando un partito conserva l'etichetta, ma cambia completamente il contenuto, magari vince, ma cosa c'entra più con la sinistra? Se un partito di sinistra, per vincere, deve sposare le idee e i programmi della destra, beh, allora: no grazie, non si vede il vantaggio, se non per quelli che in questo modo conquistano appetibili poltrone.

A Lisbona, nel 2000, alla riunione che definì una strategia per l'Europa, erano socialisti o socialdemocratici 13 capi di governo su 15. Questa Europa l'hanno fatta loro, costruendo le condizioni per il loro suicidio. I socialisti greci, che avevano il 45%, sono scomparsi; quelli spagnoli si sono dimezzati e oggi sono sull'orlo di una scissione che probabilmente ne segnerà la fine o comunque l'irrilevanza; scissioni hanno subito i socialdemocratici tedeschi, ridotti a fare da supporto al governo della Merkel, e quelli francesi, che alle prossime presidenziali dovranno scegliere se appoggiare l'ultraliberista Fillon o il Front National di Marine Le Pen; i laburisti britannici sono da anni fuori dal governo, e la recente svolta a sinistra di Corbyn è indebolita dal successo dei nazionalisti scozzesi, ancora più di sinistra, che hanno tolto ai laburisti una cinquantina di seggi. Fanno eccezione in Portogallo i socialisti di Antonio Costa, e non per caso, visto che governano con l'appoggio di sinistra radicale e verdi.

La finta sinistra può vincere, ma è una vittoria di Pirro. Dopo aver capito che governa come la destra,  che le disuguaglianza continuano ad aumentare, i diritti del lavoro vengono via via smantellati, il welfare ridotto e privatizzato, la disoccupazione diventa strumento di governo, gli elettori si rivolgono ai populisti reazionari: ogni Clinton finisce in Trump.

Ecco, Matteo Renzi è un degno epigono di Blair, di cui peraltro può vantare l'amicizia. Votare SI al referendum significa non solo appoggiare una riforma costituzionale sbagliata in punti fondamentali, ma anche accettare questa mutazione della sinistra, accettare che questa etichetta venga usata per coprire politiche neoliberiste che nulla hanno a che fare con i valori della socialdemocrazia riformista. D'altronde, basta guardare chi è favorevole alla riforma. Renzi nel suo volantino propagandistico ha riprodotto, tra i favorevoli al NO, facce di politici della Prima repubblica, per rafforzare il messaggio del "nuovo" contro il "vecchio". Ma - a parte che il "nuovo" è favorevole solo a una minoranza - tra le facce dei sostenitori del SI avrebbe dovuto mettere quelle di Wolfgang Schäuble e Angela Merkel, di Jean-Claude Juncker, dei capi di JP Morgan e delle altre banche d'affari che giudicano la Costituzione che abbiamo "troppo democratica".

 Se vince il SI Renzi probabilmente sarà tentato da un'altra mossa ad alto rischio: non cambiare la legge elettorale, o cambiarla ma senza modifiche sostanziali. Avrà avuto, in quel caso, una prova che può riuscire a vincere contro tutti gli altri e che quindi si può ripetere la sfida alle politiche. Ma potrebbe essere lo stesso abbaglio che gli ha fatto pensare, dopo il miracoloso risultato delle europee (ma ottenuto con meno voti in valore assoluto di quanti ne avesse presi alle precedenti politiche il Pd di Bersani), che quel 41% fosse acquisito, tanto da disegnare poi la legge elettorale sulla base di quell'esito. Sarebbe ancora una volta gioco d'azzardo: le politiche non sono come le europee, e tanto meno come il referendum. Potrebbe vincere e ottenere così un potere che nessun governo della repubblica ha mai avuto, ma anche perdere e consegnare quel potere ai 5Stelle.

Ci pensi chi ha deciso di votare SI per timore che un esito contrario sia un salto nel buio: i rischi sono molto maggiori se la riforma viene approvata. E verrebbe approvata, insieme, una politica che rende la nostra società sempre più disuguale ed egoista.


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