Mattarella inventa
il “governo segnaposto”
A differenza del suo predecessore il presidente si guarda bene dal prevaricare le forze politiche, che invita a scegliere tra varie opzioni. In mancanza di un accordo politico varerà un governo “neutrale”, suggerendo che potrebbe anche approvare i documenti di bilancio. Ma se non si limitasse a gestire le elezioni la neutralità sarebbe impossibile
(pubblicato su Repubblica.it il 7 mag 2018)
Se qualcuno non aveva ancora chiara la differenza tra l’attuale presidente della Repubblica e il liberal-stalinista Napolitano, il discorso di Sergio Mattarella al termine dell’ennesimo giro di consultazioni senza esito dovrebbe essere servito a fargliela capire. Napolitano ha complottato contro il governo in carica, ha forzato le dimissioni di Berlusconi senza mandarlo davanti al Parlamento, ha praticamente imposto come presidente del Consiglio Mario Monti, che aveva poco prima provveduto a nominare senatore a vita. I leader politici di allora si sono dimostrati incapaci di resistere a questo comportamento che travalicava – e di molto – i poteri di un presidente della Repubblica, salvando così la forma della procedura istituzionale.
Radicalmente diverso il comportamento di Mattarella, che affida alle forze politiche rappresentate in Parlamento – com’è giusto che sia – la scelta tra varie opzioni: riprovare a formare una maggioranza; elezioni subito, appena i tempi tecnici lo consentano; elezioni in autunno, per evitare di farle d’estate con il rischio di un aumento dell’astensionismo; oppure elezioni all’inizio del nuovo anno.
Per arrivare ad una di queste scadenze elettorali – e se ulteriori tentativi di formare una maggioranza politica resteranno senza esito, com’è a questo punto probabile – il presidente prefigura una sorta di “governo segnaposto”, formato da personalità che si impegnino a non presentarsi poi alle elezioni, per marcarne il carattere “neutrale” rispetto ai vari schieramenti politici. E’ qualcosa di diverso da un “governo tecnico”, perché dovrebbe solo gestire le elezioni, cosa inopportuna con l’attuale esecutivo espresso da una maggioranza che l’esito del 4 marzo ha dissolto. Simile ai “governi balneari” di antica memoria, che si facevano per dar tempo alle forze politiche di raggiungere un qualche accordo: ma quelli erano comunque formati da politici.
Ma può essere un governo “neutrale”? Sì, a patto che non faccia praticamente niente. Nella gestione ordinaria in attesa di elezioni molto vicine – e sempre che non accada qualcosa che richieda di prendere decisioni con urgenza – è possibile. Ma Mattarella ha anche ricordato che, se si decidesse per elezioni in autunno, anche se il risultato consentisse la formazione rapida di un governo, il che è tutto da vedere, potrebbe mancare il tempo per evitare che scatti la clausola di salvaguardia che farebbe aumentare l’Iva. Di qui anche l’ipotesi (non l’imposizione: “Decidano le forze politiche”) che il governo “neutrale” operi fino a dicembre.
Ma, ecco, se si trattasse di decidere come evitare l’aumento Iva, cosa su cui tutti i partiti sembrano d’accordo, bisognerebbe trovare i 12,4 miliardi che servono allo scopo. Dove si trovano? Si può tagliare la spesa altrove, per esempio. Riduciamo i fondi per la sanità o l’istruzione? O li togliamo a qualche provvidenza per le imprese? O eliminiamo gli 80 euro (che costano una decina di miliardi, quindi neanche basterebbero)? Oppure si possono aumentare le tasse: a chi? Alziamo un pochino tutte le aliquote (ma allora sarebbe quasi uguale all’aumento Iva)? Alziamo solo quella per i redditi più alti? Facciamo una mini-patrimoniale? O, infine, lasciamo semplicemente aumentare il deficit, sfidando i fulmini della Commissione europea? Ecco qui che la supposta “neutralità” è andata a farsi benedire, perché ognuna di queste ipotesi presuppone una scelta politica.
C’è però un’altra variabile da considerare. Le elezioni all’inizio di luglio presuppongono che si voti con la stessa legge elettorale. Gli attuali sondaggi non mostrano rilevanti spostamenti nelle intenzioni di voto, non tali, comunque, da far ritenere che stavolta ne uscirebbe una maggioranza politica. L’ipotesi del leader leghista di aggiungere solo un premio di maggioranza difficilmente reggerebbe a un vaglio di costituzionalità, perché il premio si aggiungerebbe a quel terzo di eletti già con criterio maggioritario. Avrebbe senso votare di nuovo per ritrovarsi in una situazione analoga all’attuale, o con la spada di Damocle di una legge elettorale che potrebbe essere bocciata dalla Corte per la terza volta? La risposta ovviamente è no, ma di cose insensate ne abbiamo già viste tante. Probabilmente ne vedremo ancora.