Anche i Draghi sbagliano
Il direttore dell’istituto Max Planck e un economista di Siena contestano la ricostruzione fatta dal presidente Bce nel suo discorso del 5 dicembre. Non risulta che la fine dei riallineamenti della lira abbia spinto le imprese verso l’aumento della produttività, anzi il contrario. E il deprezzamento sul marco era provocato essenzialmente dalle rivalutazioni di quest’ultimo
(pubblicato su Repubblica.it il 20 dic 2018)
“Mario, quali dati stai guardando?” Lucio Baccaro, direttore dell’autorevole centro di ricerche tedesco Max Planck, è rimasto un po’ sconcertato dalla lettura del discorso che il presidente della Bce ha tenuto il 15 dicembre alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che gli ha conferito la laurea honoris causa.
Il passaggio che ha colpito Baccaro è questo: “La flessibilità dei tassi di cambio avrebbe indebolito il mercato unico in due modi. In primo luogo avrebbe ridotto l’incentivo delle imprese residenti nel paese che svalutava ad accrescere la produttività, perché avrebbero potuto – sia pur temporaneamente – elevare la competitività senza aumentare il prodotto per addetto. L’Europa sperimentò ripetutamente come questa via fosse tutt’altro che efficace. Dal varo dello SME nel 1979 alla crisi del 1992 la lira venne svalutata 7 volte rispetto al DM (marco tedesco), perdendo cumulativamente circa la metà del suo valore rispetto a questa valuta. Eppure, la crescita media annua della produttività in Italia fu inferiore a quella dei futuri paesi dell’area dell’euro a 12 nello stesso periodo”.
I dati, però, non sembrano andare d’accordo con queste affermazioni. Ecco un grafico sulla produttività (Pil reale per ora lavorata)dell’Italia a confronto con quella europea, di fonte Ocse. Le due linee rosse segnano l’ingresso e l’uscita dallo Sme (1979 e 1992).
La produttività italiana, osserva Baccaro, è stata più o meno in linea con quella degli altri paesi fino alla metà degli anni ’90 – cioè tutto il periodo dello Sme – e solo dopo si è fermata, mentre quella degli altri ha continuato a crescere. Non sembra che i riallineamenti avessero disincentivato le imprese italiane ad aumentarla: piuttosto appare che la loro fine abbia avuto un pessimo effetto.
Fin qui Baccaro, ma non è tutto. L’economista Massimo D’Antoni nota che per di più Draghi si sbaglia sui riallineamenti: “La verità è che ci sono stati 7 riallineamenti del marco e solo 5 della lira, e solo in un caso si trattava di una svalutazione "pura". Chiamarle tutte svalutazioni della lira rivela un atteggiamento di parte. Si noti che la svalutazione totale della lira sul marco è stata un effetto tanto della rivalutazione tedesca quanto delle svalutazioni italiane”.
Draghi, insomma, fa il suo mestiere di difensore della moneta unica, e questo fa certamente parte del suo ruolo. Ma forzare le interpretazioni per sostenere la propria tesi è già criticabile quando lo fa un politico: un tecnico, anzi, il tecnico più importante che ci sia in Europa, non dovrebbe proprio farlo. Sulla laurea ad honorem niente da dire. Ma la lode, stavolta, non se l’è meritata.