Si scrive Draghi,
si pronuncia Giavazzi
La parte sulla riforma fiscale del discordo in Senato è ripresa alla lettera da un editoriale dell’economista della Bocconi pubblicato sul Corriere a giugno 2020. Un programma può lecitamente avvalersi di contenuti elaborati da altri, ma la questione è che Giavazzi è un campione del neoliberismo: è questo l’orientamento del nuovo governo?
(pubblicato su Repubblica.it il 18 feb 2021)
Impariamo il termine “sinottico” quando ci parlano dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, così definiti perché, spiega il dizionario Treccani, “rivelano un notevole parallelismo e una stretta affinità e concordanza tanto da poter essere pubblicati a colonne affiancate”.
Lo stesso si potrebbe fare con la parte del discorso di Mario Draghi in Senato che parla di fisco e un articolo pubblicato il 30 giugno dello scorso anno sul Corriere della Sera da Francesco Giavazzi. Anzi, più che di affinità si dovrebbe parlare, per varie frasi, di “copia e incolla”, perché sono uguali alla lettera. Chi vuol togliersi la curiosità di controllare può ritrovare l’articolo sulla pagina personale di Giavazzi nel sito della Bocconi, o scaricare direttamente il pdf a questo link.
Ci si ritrova proprio tutto: il sistema fiscale che non si cambia una tassa alla volta ma con una riforma complessiva (ma questo, in effetti, lo direbbe chiunque abbia qualche cognizione della materia), il fatto che in questo modo si frena meglio l’intervento delle lobby, l’esempio della riforma danese. Giavazzi dice anche come è stata finanziata la riforma: “Queste misure venivano finanziate introducendo un tetto di 50.000 corone alle detrazioni per gli interessi (la misura più controversa), limitando le agevolazioni fiscali al risparmio previdenziale, aumentando l’imposizione sulle pensioni superiori a una data soglia e tagliando le agevolazioni fiscali di cui godevano alcune imprese”. Se davvero a Draghi piace la riforma danese potrebbe fare qualcosa di simile. Giavazzi scrive anche che l’aliquota più alta fu tagliata del 5,5%; in realtà da questa tabella risulta che l’aliquota marginale danese, che nel 1993 era del 68,7% e nel 2008 era scesa al 63, fu portata nel 2010 al 56,1. Sempre molto più alta della nostra, che è al 43%.
Se quello di Draghi fosse stato un saggio si potrebbe parlare di plagio. Ma era un discorso programmatico, in cui è lecito accogliere contributi di chi si ritiene esperto in una data materia. Per la verità Giavazzi è certo un economista eclettico, ma non è uno specialista di Scienza delle finanze, insegna Economia politica e Politica economica. Ma tra lui e Draghi c’è un antico sodalizio. Quando quest’ultimo era direttore generale del Tesoro lo chiamò a dirigere l’ufficio studi e a occuparsi della gestione del debito pubblico e delle privatizzazioni.
Come la pensi Giavazzi in economia non è certo un mistero, dato che è un prolifico editorialista del Corriere. Editoriali che firmava sempre insieme ad Alberto Alesina, l’inventore dell’”austerità espansiva”, fino a quando questi è scomparso prematuramente lo scorso anno. Questa tesi che i tagli alla spesa pubblica e alle tasse fanno crescere di più mandò in sollucchero tutte le destre del mondo, ma alla prova dei fatti si è rivelata una bufala e ormai a sostenerla sono rimasti in pochi. Peccato che, nel frattempo, chi l’ha applicata abbia massacrato la vita dei ceti meno abbienti, ma che ci vuoi fare, tutti possono sbagliare. E con Alesina aveva anche scritto un libro dal titolo “Il liberismo è di sinistra”, toccando così vette non si sa se comiche, di completa confusione mentale o di estrema mistificazione.
Ora, era già assai preoccupante l’accenno di Draghi alla riforma danese, ma se ha deciso di farsi consigliare da Giavazzi c’è da preoccuparsi ancor di più, perché significa che ci inoltreremo nel neoliberismo duro e puro, quello che ha permesso che milioni di persone delle economie sviluppate scivolassero nella povertà. Alla Bce Draghi ha fatto una politica originale, e per la verità – negli ultimi anni – ha fatto più di un appello ai politici perché si decidessero a usare la politica fiscale. Agiva però in un campo limitato. Ora, da presidente del Consiglio, non si dovrà occupare solo di macroeconomia, ma anche di pensioni, welfare, mercato del lavoro, rapporto tra pubblico e privato (e di tante altre cose). Se la pensa come Giavazzi, quel (non) tanto di progressismo che è rimasto nel Pd, nei 5S e in Leu dovrà mettergli le briglie. Altrimenti, a tenersi un governo di destra per non andare ad elezioni dove c’è la possibilità che vinca la destra, beh, non si vede il vantaggio.