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 Finanza Riduci

Le "mani visibili" 
che fanno scendere l'euro

La ricetta contro la speculazione consiste in tagli pesanti ai bilanci e blocco dei salari. Ma questo provocherà deflazione e gli stessi speculatori prendono allora di mira la moneta europea, in un circolo vizioso alimentato dai soldi gratis distribuiti dalle banche centrali. Si vuole curare la crisi con le stesse idee che l’hanno generata

(pubblicato su Repubblica.it il 19 maggio 2010)

L'euro è crollato... a quasi il 50% in più del suo minimo contro il dollaro, che, come si ricorderà, aveva toccato 0,82 nel 2000-2001. All'inizio del 2005 era a 1,36, nel 2008 ha raggiunto il suo massimo a 1,60. Il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, si è detto preoccupato non tanto per la caduta del cambio, quanto per la rapidità con cui è avvenuta. Ma dovremmo ormai aver imparato che nella finanza informatizzata i movimenti violenti e rapidi sono più la norma che l'eccezione, e dunque non sembra che questa preoccupazione sia giustificata.

Niente da preoccuparsi, dunque? Naturalmente no. Da preoccuparsi c'è molto, anzi moltissimo, ma non tanto perché scende l'euro e crollano le Borse, che, anch'esse, sono ancora ben al di sopra dei minimi del 2008, minimi che non è affatto detto che rimarranno tali. C'è da preoccuparsi moltissimo perché i nodi stanno inevitabilmente venendo al pettine, ma ancora non si vede delinearsi una terapia adatta a risolverli.

Bisogna distinguere tra interventi di emergenza e terapie per il medio-lungo periodo. Per usare una metafora utilizzata da Giulio Tremonti, quando la casa brucia bisogna innanzitutto buttarci sopra acqua per spegnere l'incendio. Ma in che stato si troverà questa casa dopo che le fiamme sono state domate? Inoltre, per proseguire nella metafora, i governi di tutto il mondo di acqua sul fuoco ne hanno rovesciata a fiumi, ma le cause che hanno provocato l'incendio non sono ancora disinnescate, e infatti ogni tanto le fiamme riprendono a salire. Il fatto è che su queste cause non c'è ancora una diagnosi condivisa. Impossibile, dunque mettersi d'accordo sulle terapie.


Ma torniamo per il momento all'attuale brusca discesa dell'euro: anche qui c'è un problema di che cosa curare e come. La diagnosi delle istituzioni sovranazionali (Fondo monetario, Bce, Commissione europea), accettata a quanto pare dai governi dell'Unione, è che la speculazione è alimentata dai problemi dei bilanci pubblici, i cui deficit sono esplosi a causa degli interventi anti-crisi. Nel caso della Grecia si aggiunge quello occulto che c'era anche da prima. La cura considte dunque in manovre di rientro per quanto dolorose. Nel caso di quella imposta ad Atene, anche impossibili da sopportare per qualsiasi economia, tanto più se debole come quella greca (non sarà per caso che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che l'Unione europea ha bisogno di predisporre la possibilità di un'insolvenza pilotata). Queste manovre, ovviamente, sarebbero state fatte comunque, ma non subito e non in modo aggressivo, perché l'economia è appena convalescente e avrebbe bisogno di ulteriori sostegni invece che di frenate. Tutti gli economisti lo sanno, anche se a dirlo apertamente sono solo quelli meno allineati alle teorie dominanti degli ultimi anni.

Ma naturalmente lo sanno anche i mercati. E allora, da una parte picchiano sui titoli di Stato dei paesi più in difficoltà, provocando le decisioni sulle misure di rientro. Ma subito dopo si mettono a picchiare anche sull'euro, perché queste misure soffocheranno la ripresa europea o la manterranno comunque a livelli estremamente bassi. L'aspetto paradossale è che per farlo utilizzano i fiumi di denaro gratis immessi nel sistema mondiale dalle banche centrali per scongiurare la paralisi dell'economia e per salvare gran parte dei protagonisti di quegli stessi mercati.

Ma perché lo fanno? Possibile che non capiscano che in questo modo c'è il rischio concreto che la  crisi si avviti su se stessa, precipitando il mondo in una stagnazione come quella degli anni '30? Lo capiscono benissimo, ma non gliene importa niente. Quello che conta è guadagnare qui ed ora, principio che vale per i gruppi finanziari ma ancora di più per i loro manager dai bonus miliardari. Dopo di me il diluvio? Non importa, basta che sia "dopo". Con tanti saluti alla "mano invisibile" così cara ai liberisti che farebbe sì che, seguendo i propri interesse personali, si faccia anche il meglio per l'economia.

Eppure la "mano invisibile" conta ancora numerosi sostenltori, di là e di qua dell'Atlantico. Anche quando, più che invisibile, è "mano libera" per qualsiasi nefandezza della finanza. Di là non si riesce a mettere in pratica la proposta di Paul Volcker, ossia la separazione tra l'attività delle banche di prestiti all'economia e investimenti per conto dei clienti e l'attività di investimenti in proprio sui mercati finanziari. Il signor Volcker non è uno qualsiasi, è stato presidente della Federal Reserve per quasi dieci anni, nominato da Jimmy Carter, ma rinnovato da Ronald Reagan anche in seguito a un plebiscito degli operatori per la sua riconferma. Non proprio un comunista, insomma. Di qua ci tocca combattere con gli inglesi che continuano a opporsi a qualsiasi regolamentazione dei Fondi speculativi, visto che la City è ormai la loro industria più importante e non vogliono perdere affari.

Ma non sono solo i finanzieri americani e inglesi il problema. C'è uno stuolo di economisti tuttora convinti che "il mercato non sbaglia mai" e che più si lascia libero e maggiore è l'efficienza dell'economia. Dunque, non esistono "eccessi speculativi" e ogni movimento della finanza non è che un segnale di qualcosa che non va nella regolazione delle economie. La colpa è sempre della politica, insomma e qualsiasi tentativo di imporre controlli avrebbe solo l'effetto  -  secondo queste tesi  -  di soffocare i segnali di problemi provocati dalle azioni degli Stati.

Angela Merkel ha sollecitato l'Europa a introdurre una tassa sui mercati finanziari, che sia o meno un prelievo sulle transazioni. Bisogna fare in modo che le banche non possano più "estorcere" risorse allo Stato, ha detto parlando al Parlamento tedesco, aggiungendo che, in assenza di un'intesa in sede G20 sulla tassazione dei mercati finanziari a giugno, l'Europa agirà da sola. Il discorso della Merkel profuma un po' di populismo, ma una tassa sulle transazioni finanziarie sarebbe comunque uno strumento utile, tanto che persino il Fondo Monetario si sta orientando su una proposta simile, anche se diversa dalla "Tobin tax" che secondo altri sarebbe preferibile.

Risolverebbe tutti i problemi? Certamente no. Non solo servono tutta una serie di altre misure (e istituzioni) di regolamentazione e di controllo, ma non intaccherebbe quella che secondo molti economisti progressisti, a cominciare dal premio Nobel Joseph Stiglitz, è la causa prima e lontana che ha fatto evolvere le economie avanzate verso questa crisi, ossia il problema della distribuzione del reddito. A partire dall'inizio degli anni '80 del secolo scorso si è assistito in tutto il mondo a una polarizzazione della ricchezza. La crescita del benessere, più o meno in tutti i paesi anche se in misure diverse, è andata in prevalenza a vantaggio di un numero relativamente ristretto di persone, lasciando al palo, o quasi, quella che una volta era la "classe media". Questo ha condizionato tutto il modello di sviluppo e di produzione, orientandoli a soddisfare prima di tutto i bisogni di questi "ricchi sempre più ricchi". Di qui una serie di squilibri a catena, che hanno fatto man mano maturare ciò che ora stiamo vivendo e che sembrano destinati addirittura ad aggravarsi se le cure si limiteranno a quelle che stiamo vedendo mettere in atto, basate su tagli ai salari e alla spese sociali. Più che per il ribasso dell'euro, è di questi problemi che ci si dovrebbe preoccupare.


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