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 Politica Riduci

Premier sulla scheda, 
un triplo errore
L’accordo che i segretari dei tre partiti che sostengono il governo hanno detto di aver raggiunto sulla riforma elettorale è un pastrocchio peggiore del sistema attuale, che sembra abbandonare il bipolarismo – il che non sarebbe un male – mantenendo però uno degli aspetti più sbagliati: l’indicazione del leader viola le prerogative di Quirinale e Parlamento. Ma forse è la solita finta
 
(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 28 mar 2012)
 
Dell’accordo sulla riforma della legge elettorale che sarebbe stato raggiunto fra i tre partiti dell’attuale maggioranza si hanno al momento solo indicazioni di massima, ma se si dovesse giudicare da ciò che è trapelato sarebbe difficile reprimere un senso di sconforto. L’impressione è che, di fronte ad opzioni assai diverse di ciascun partito, il compromesso sia stato raggiunto estraendo a sorte i paragrafi dall’una e dall’altra proposta per poi affastellarli quasi alla rinfusa, con il risultato che si può immaginare.
 
A quanto sembra si trattaerebbe di un abbandono quasi completo del bipolarismo – via le coalizioni pre-elettorali, via il premio di maggioranza alla coalizione – ma conservandone l’aspetto forse più sbagliato, ossia l’indicazione sulla scheda del candidato premier.
 
Questo è un triplo errore. Innanzitutto viola le prerogative del presidente della Repubblica, a cui la Costituzione affida il potere di nominare il presidente del Consiglio. Può darsi, però, che tra le modifiche costituzionali si voglia introdurre anche questa variazione. Ma – in secondo luogo – contraddice anche le prerogative del Parlamento. Può essere sfiduciato un capo del governo che ha avuto un’investitura popolare diretta? Quante volte abbiamo sentito Berlusconi ripeterlo come una litania? In effetti, se non cambiano anche altre norme, teoricamente sì, può essere sfiduciato (e anzi, pare che sia prevista una “sfiducia costruttiva”), ma nello stesso tempo si produrrebbe una lesione dell’esito del voto.
 
Terzo errore: a quanto è dato di capire, la maggioranza si formerebbe con un accordo tra partiti dopo le elezioni. Mettiamo che si formi una coalizione con tre partiti: quella maggioranza avrebbe tre leader designati dal voto popolare. Che si fa, si tira a sorte? Si prende quello del partito maggiore? E dev’essere comunque uno dei tre, escludendo una possibile convergenza su un’altra persona che magari rappresenterebbe meglio le linee programmatiche decise dalla trattativa? Ma questo appare in fondo il problema minore rispetto ai due precedenti. Neanche sarebbe valida l’obiezione che “così fan tutti”: l’indicazione del leader, che peraltro negli altri paesi è per lo più implicita, dato che è scontato che sarà premier il capo del partito vincitore, può avere senso in un sistema bipolare, non con uno proporzionale. E comunque innovazioni di questo tipo richiederebbero allora una revisione di tutti i meccanismi previsti dalla Costituzione, non solo di qualche dettaglio.
 
Tralasciamo ipotesi al di là del bene e del male, come quella di assegnare un “premietto” in seggi anche al secondo partito: cos’è un “premio di minoranza”? Verrebbe quasi da sospettare che Pd e Pdl siano d’accordo su questa singolare variante.
 
Gran parte delle prime dichiarazioni sono critiche soprattutto sul fatto che verrebbe sottratta agli elettori la scelta diretta della coalizione che formerà la maggioranza. Ma questo, veramente, sembra più un vantaggio che un difetto. Formare una coalizione prima delle elezioni comporta una maggiore vaghezza dei programmi, perché i partiti di una stessa coalizione non possono dire cose diverse sui punti qualificanti. Perché i compromessi del “prima” dovrebbero essere migliori di quelli del “dopo”? Probabilmente saranno meno trasparenti, per non rischiare di perdere fasce di elettorato. Abbiamo già fatto l’esperienza di quanto sia deleterio il “ma anche”.
 
Già un po’ meglio sarebbe allora il maggioritario a doppio turno, sempre dal punto di vista della chiarezza dei programmi. Ma qui siamo proprio su un’altra galassia.
 
Insomma, da quel che finora si è saputo questo accordo appare un pastrocchio micidiale, un po’ Prima Repubblica, un po’ Seconda, viatico verso una Terza che non sarebbe migliore delle altre due. A meno che, come tante volte è accaduto in passato, non sia l’ennesima finta, un ballon d’essai da dare in pasto, in vista delle prossime elezioni amministrative, a un’opinione pubblica che a stragrande maggioranza chiede cambiamenti ma col proposito di farlo naufragare, accusandosi poi a vicenda perché il progetto non è andato in portro. Sarebbe una strategia sciocca, che darebbe solo ulteriore alimento al “partito” dell’antipolitica.

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