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 Politica economica Riduci

Il tedesco che incarna
l’Europa egoista

Hans-Werner Sinn, uno degli economisti tedeschi più importanti, in una polemica con Francesco Saraceno dice di sostenere che per superare la crisi occorre più inflazione nel suo paese, ma poi nei suoi scritti spiega che la Germania non è disposta ad accettarla. E si lamenta persino dei tassi Bce “troppo bassi” che danneggerebbero i suoi concittadini

(pubblicato su Repubblica.it il 19 dic 2014)

Forse non tutti in Italia sanno chi sia Hans-Werner Sinn, che invece in Germania è uno dei personaggi più noti. Stimato economista, presidente dell’Ifo, forse il più importante istituto di ricerca del paese, animatore del ricorso alla Corte costituzionale contro la linea della Bce, Sinn è sicuramente il più brillante rappresentante di quella visione teoricamente sbagliata e profondamente egoista che sta uccidendo l’Unione europea.

Sinn naturalmente rifiuta questo tipo di critiche, anzi, se qualcuno gliele muove si preoccupa di sostenere le sue ragioni. E’ accaduto, per esempio, quando Francesco Saraceno, un economista di cui abbiamo già parlato poco tempo fa, lo ha fatto sul suo blog. Sinn gli ha subito scritto, peraltro con molto garbo, precisando le sue posizioni e fornendo i link di un suo paper e di un libro dove ne parla per esteso. Vediamo le sue argomentazioni, perché ci aiutano a capire come far cambiare idea ai tedeschi sulla politica necessaria all’Europa sia un’impresa disperata.

“Lei ha dato di me un’immagine sbagliata”, scrive Sinn a Saraceno. “In molti miei scritti ho avvertito dei pericoli della deflazione nel Sud Europa, che aggraverebbe il peso per i debitori, e mi sono pronunciato per una moderata (in corsivo nel testo, n.d.r.) deflazione nel Sud Europa e una maggiore inflazione nel Nord Europa, Germania in particolare. In aggiunta, ho auspicato una “conferenza sul debito” per il Sud Europa e una unione monetaria con più “respiro” (“breathing” nell’originale), che permetta un’uscita temporanea a quei paesi per cui l’aggiustamento interno sarebbe troppo pesante”.

Nel paper da egli stesso segnalato, Sinn afferma che ciò che serve all’Europa è un boom della domanda nei paesi core, cioè quelli non in difficoltà, che farebbe salire prezzi e salari e aumentare le importazioni dai paesi del Sud, riequilibrando così i conti con l’estero:

Sembra un’ottima ricetta, e anche Saraceno, che insieme alla lettera pubblica un commento, si dice fin qui pienamente d’accordo. E dunque ha ragione Sinn, l’economista italiano aveva frainteso le sue posizioni? Non diciamolo troppo preso e andiamo avanti.

Il problema, nota Saraceno, sta nel modo in cui dovrebbe prodursi questo boom della domanda. Secondo Sinn a provocarlo sarebbero quei capitali che erano usciti dalla Germania per essere impiegati nei paesi del Sud, e che ora non possono che tornare a casa facendo impennare sia gli investimenti che i prezzi: solo questo, senza “inutili” aumenti dei salari o espansione della domanda pubblica.

C’è un solo piccolo dettaglio che non torna: questo non è ancora accaduto e non sta nemmeno accadendo. Con alcuni grafici Saraceno mostra come in Germania la domanda rispetto al Pil non sia cresciuta, e nemmeno gli investimenti privati e il capitale fisso lordo. Quanto ai conti con l’estero, dall’inizio della crisi ad oggi i paesi del Sud hanno risistemato le loro bilance (tranne la Grecia, ennesimo indicatore del “successo” della cura a cui è stata sottoposta), ma quelli del Nord, tranne la Finlandia, non hanno affatto ridotto il loro avanzo. Del riequilibrio ipotizzato da Sinn non si vede traccia, e tanto meno del boom di domanda che i capitali privati avrebbero dovuto generare.

Ma c’è di più. Perché, sottolinea Saraceno, l’aumento di inflazione (“in particolare in Germania”) di cui Sinn parla poi in realtà non è affatto disposto ad accettarlo. Scrive infatti nel suo paper che per ottenere un riallineamento dei prezzi con la Francia, senza che questa vada in deflazione, la Germania dovrebbe accettare un’inflazione del 4,1% per dieci anni e questo provocherebbe una perdita di ricchezza del 33% per i tedeschi (a causa del rincaro dei beni all’interno) o del 42% nel caso del 5,5% di inflazione che servirebbe per far riallineare la Spagna. E in ogni caso non si può chiedere ai tedeschi un tale aumento della loro inflazione, che non sarebbe mai accettato.

Saraceno ha buon gioco a replicare che una ipotetica maggiore inflazione nel futuro nei paesi core non sarebbe altro che un recupero di quella più bassa del passato, e che se qualcuno in Europa ha salari fuori linea questo qualcuno è proprio la Germania, rinviando al grafico qui sotto.

Il costo del lavoro in alcuni paesi europei

Ma nessuna ragionevole obiezione può convincere chi, in una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, riportata dall’Ansa il 5 dicembre scorso, affermava che i tassi bassi della Bce stanno costando molto cari ai tedeschi: dal 2008 la Germania avrebbe perso 300 miliardi di euro, dai 60 ai 70 miliardi all' anno. "I risparmiatori perdono molti soldi". "Noi siamo creditori del mondo e perdiamo attraverso i tassi bassi". E ha aggiunto che con la politica della Bce i tassi non possono più effettuare una selezione fra buoni e cattivi progetti di investimento, e il capitale risparmiato dai tedeschi diventa "scorta" per i paesi del Sud Europa, dove queste risorse vengono in parte bruciate. Una interpretazione della situazione davvero fantastica: la Germania ha provocato la deflazione, che a sua volta ha fatto sì che i tassi dovessero scendere a zero, e ora Sinn se ne lamenta. Non solo: continua ad alimentare la visione che divide l’eurozona in paesi virtuosi e paesi spreconi, e si lamenta perché i capitali vanno in parte a questi ultimi. Ma come, non dovevano accorrere in Germania per provocare il boom? Quando la realtà non coincide con le teorie sballate, si trova sempre qualcuno a cui attribuirne la colpa.

Attenzione, però. Sbaglierebbe chi a questo punto pensasse che Sinn in fondo non è da prendere sul serio, viso che non ci azzecca. Perché le idee di Sinn sono esattamente quelle in base alle quali è oggi decisa (da pochi) e imposta (a tutti gli altri) la politica europea. Secondo cui, appunto, la ripresa deve venire dagli investimenti privati, dagli animal spirits scatenati dalle famose riforme strutturali che riempirebbero di fiducia nel futuro gli investitori. E’ anche la logica del Piano Juncker: si continua a dire che è un piano da oltre 300 miliardi (peraltro in 3 anni, e per 28 paesi), e invece è un piano da 21 miliardi, dovendo arrivare il resto sempre da quei privati che finora si sono mostrati latitanti.

E dunque, Sinn ha ben poco da lamentarsi per le critiche di Saraceno. Noi, invece, da lamentarci abbiamo molto: questi qui continueranno a farci soffrire.


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