La Grecia, le riforme
e il giallo della tabella
Pubblicata dal rapporto Ocse Going for growth, poi scomparsa e poi riapparsa seminascosta una tabella da cui risulta che Atene ha fatto più riforme di tutti. Era “inopportuna” nella fase decisiva della trattiva europea? Un altro grafico mostra gli enormi tagli alla spesa greca e il diverso trattamento riservato alla Spagna, a conferma del carattere politico della linea imposta dai tedeschi
(pubblicato su Repubblica.it il 20 feb 2015)
Dall’inizio della crisi al 2014, chi ha fatto più riforme nell’Eurozona? Ma quei pigracci dei greci, guarda un po’. E chi è al secondo, terzo e quarto posto? Portogallo, Irlanda e Spagna. Precisamente il drappello dei Pigs (porci), come li chiamano gentilmente in Europa, mentre gli americani si sono inventati un acronimo meno spregiativo, Gipsi (gipsy sono gli zingari). Lo dice l’Ocse, in una tabella pubblicata nel rapporto annuale Going for growth. Ecco la tabella:
O meglio lo diceva. Perché la tabella è stata pubblicata nella prima versione del rapporto, rilasciata il 9 febbraio, a pagina 111, come precisava su Forbes Steve Keen. Anche un’altra nota commentatrice, Frances Coppola, aveva pubblicato la stessa tabella. Ma se andavate a cercarla ieri nel rapporto Ocse non la trovavate più, era stata tolta. Abbiamo scritto all’Ocse chiedendo spiegazioni: ancora non c’è stata risposta, ma oggi la tabella è riapparsa, a pagina 109. Non proprio uguale: con un titolo anodino, più piccola e molto meno evidente. E allora, siccome a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, come diceva Giulio Andreotti, ci viene da pensar male. Ci viene il sospetto, cioè, che quella tabella, utilizzata dai due commentatori citati per esprimere l’opinione che le mitiche “riforme strutturali” siano inutili per superare la crisi, se non addirittura dannose, sia stata considerata inopportuna, specie in questo momento cruciale della trattativa con la Grecia. E che quindi qualcuno abbia spiegato all’Ocse che era meglio toglierla di mezzo, suggerimento che è stato prontamente seguito. Poi però, rendendosi conto che c’era chi l’aveva già vista, riprodotta e commentata, all’Ocse devono aver pensato che la figuraccia sarebbe stata eccessiva e l’hanno rimessa, ma in tono minore.
Anche il titolo dev’essere stato considerato imbarazzante: “Il frutto delle riforme” (con il sottotitolo “La Grecia guida la classifica Ocse”). Se si considera l’attuale situazione della Grecia, non si può non concludere che quel frutto è immangiabile. Che è quello che sostengono Tsipras e Varoufakis, finora inutilmente, nel braccio di ferro con i partner europei; o, per dirla più chiaramente, con i tedeschi che continuano a bocciare ogni minima variazione del programma imposto dalla Troika.
Forse i greci, che sono con le spalle al muro e rischiano di non poter pagare stipendi e pensioni, finiranno per cedere sulla sostanza, ottenendo magari solo qualche piccola concessione formale che permetta al nuovo governo di non perdere completamente la faccia. Ma se andrà così non sarà una buona notizia né per la Grecia né per l’Europa, perché significherà che la politica reazionaria ed economicamente immotivata seguita finora non cambierà affatto. E di questo dovranno assumersi la responsabilità gli altri paesi europei, che hanno lasciato la piccola Grecia da sola rinunciando all’occasione di imporre la discussione di una svolta che sarebbe stata indispensabile per tutti.
Aggiungo in coda quest’altro articolo pubblicato poche ore prima
Grecia e Spagna, dov’è che se magna
“Franza o Spagna, basta che se magna”, recitava con rassegnato cinismo un proverbio nato quando l’Italia era un territorio dove si alternavano dominazioni straniere. Ci è venuto da parafrasarlo, ma con un significato diverso.
Alcuni paesi europei, e in particolare la Spagna, sono da tempo portati ad esempio dai fautori delle politiche di austerity per affermare che la cura funziona. Quest’anno la crescita spagnola dovrebbe essere tra le più alte dell’Eurozona, se non la più alta. E in Spagna, si dice, il governo conservatore di Mariano Rajoy ha seguito le indicazioni della Troika, al cui programma non ha potuto fare a meno di sottoporsi visto che aveva bisogno di aiuti per salvare le sue banche disastrate. Anche la Grecia, sotto la guida dell’altro conservatore Antonis Samaras, qualcosa ha fatto, anche se non abbastanza (sempre secondo i “si dice”): e infatti quest’anno torna alla crescita. Se Tsipras abbandona quel programma sprecherà gli sforzi fatti finora, proprio quando stanno dando i primi risultati. Queste le posizioni, ormai stranote, della Germania e delle istituzioni europee da essa egemonizzate.
Beh, non la raccontano giusta. Neanche sulla crescita greca, perché anche se il Pil è tornato al segno positivo c'è una forte deflazione, che fa dubitare molto della sua durata. Ma soprattutto mentono quando affermano che è stata somministrata la stessa cura a Grecia e Spagna. Si può dimostrarlo facilmente guardando un grafico (segnalatomi dall’amico Marco Antoniotti) che Paul Krugman ha pubblicato due giorni fa sul suo blog sul New York Times. Eccolo qua:
La fonte è la Commissione Europea, quindi è difficile mettere in dubbio questi dati. Che, per quanto riguarda la Grecia, sono davvero impressionanti: stiamo parlando di un taglio del 22% circa della spesa pubblica reale al netto degli interessi fra il 2007 e il 2014. Per avere un’idea facciamo la proporzione su quanto sarebbe un taglio del genere in Italia: ebbene, si tratterebbe di circa 180 miliardi!
Guardiamo la Spagna, invece. Lì la spesa non solo non è stata tagliata, ma è addirittura un po’ aumentata. Si può davvero dire che nei due paesi c’è stata la stessa austerità?
Ove ce ne fosse bisogno, giova ripetere che la spesa pubblica è reddito; che, in una fase difficile per l’economia, i privati fermano o riducono gli investimenti, e dunque in questi casi solo l’intervento della spesa pubblica può dare la spinta per rimettere in moto il meccanismo. E che comunque tagli di quella dimensione ucciderebbero qualsiasi economia, figuriamoci una fragile come quella greca.
Sicuramente qualcuno obietterà: ma la Grecia aveva un debito pubblico molto più alto della Spagna, quindi quella strada era obbligata. E sarebbe una di quelle obiezioni di senso comune che, purtroppo, in economia sono sbagliate. Se quello che conta è il rapporto tra debito e Pil, che è un indicatore (non l’unico) della capacità di onorare il debito, non ha senso guardare ad uno solo dei due termini. E infatti, come tutti ricorderanno, all’inizio della crisi il debito greco era a circa il 120% del Pil, mentre oggi, dopo tutti quegli enormi tagli, veleggia sopra il 175%, essendo crollato il denominatore (cioè il Pil) di un quarto.
Anche la Spagna, comunque, nonostante la benevolenza della Troika, non ha tanto da rallegrarsi. Il suo debito era sotto il 40%, oggi ha superato il 90: a dimostrazione che, in certo situazioni, non paga neanche un’austerità assai più blanda.
Possiamo meravigliarci che Tsipras e Varoufakis rifiutino di continuare come se niente fosse una cura che si è dimostrata deleteria? La meraviglia riserviamola piuttosto al fatto che tedeschi e tecnocrazie si rifiutino di prendere in considerazione un’alternativa.