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 Politica economica Riduci

A chi piace l’Italia commissariata?
All’inizio di agosto tutte le forze produttive del paese sembravano decise a premere per una immediata svolta politica, ma dopo il diktat Merkel-Sarkozy-Bce i toni sembrano essersi smorzati. Ma se Confindustria e i centristi pensano che un governo commissariato sia utile per far passare le misure liberiste promesse e mai realizzate fanno un calcolo miope e forse suicida
 
(pubblicato su Repubblica.it il 10 agosto 2011)
 
Entro pochi giorni verranno resi noti gli interventi che il governo, sotto la pressione europea (per usare un eufemismo), si è impegnato a varare in cambio del sostegno sul mercato ai corsi dei nostri titoli pubblici. Ricapitoliamo in breve come si è arrivati a questa situazione e quali possono essere le conseguenze.
 
Mentre la situazione economica precipitava e il governo mostrava chiaramente di non rendersene conto le forze produttive del paese – associazioni imprenditoriali e di categoria e sindacati – mettevano da parte le pur aspre divisioni e assumevano l’iniziativa senza precedenti di chiedere con forza una “svolta”. Questo accadeva il 27 luglio. Il 1° agosto il giornale di proprietà della Confindustria pubblicava, a firma del suo direttore Roberto Napoletano, un duro editoriale che chiedeva di fatto al ministro dell’Economia Giulio Tremonti di farsi da parte. Il giorno dopo Francesco Giavazzi, noto economista e figura rappresentativa dell’establishment, sul Corriere della Sera consigliava in pratica a Berlusconi di affidare ad un team della Banca d’Italia la gestione della politica economica.

 

Nonostante la sollevazione di tutte le forze rappresentative del paese il governo persisteva nel suo immobilismo e Berlusconi non trovava di meglio che spiegare che i mercati sbagliano (il che è verissimo, ma assai poco risolutivo), senza perdere l’occasione per invitare, durante la conferenza stampa ufficiale, ad investire nelle sue aziende. Purtroppo per lui, e anche per noi, i suoi discorsi e il suo comportamento risultavano del tutto indigesti non solo alle forze sociali, non solo ai mercati, ma anche alla tecnostruttura europea (e segnatamente alla Bce) e ai leader tedeschi, il cui rappresentante nel Consiglio direttivo della Banca centrale si opponeva – in pieno accordo, naturalmente, con la Cancelliera Angela Merkel – a qualsiasi intervento di sostegno sul mercato per i titoli pubblici italiani. Questo scatenava una nuova enorme ondata di vendite, che a questo punto sarebbe ingenuo attribuire ai biechi speculatori: semplicemente, di fronte a una completa crisi di credibilità della guida del paese, chi aveva in portafoglio i nostri titoli se ne disfaceva temendo il peggio.

Quel che è accaduto dopo è cronaca recentissima. Berlusconi ha dovuto accettare il diktat della Bce e della coppia Merkel-Sarkozy. Il governo, come tutti i commentatori hanno constatato, è stato “commissariato” dai leader “forti” dell’Europa e dalla Banca centrale.
 
Da parte della Confindustria, come del resto, sul versante più squisitamente politico, dei centristi di Pier Ferdinando Casini, si è notato un mutamento di toni, con l’apprezzamento per il nuovo attivismo – per quanto forzato – del governo. Pochi giorni fa sembrava che si fosse sul punto di tentare una spallata che mettesse fine a questa infausta legislatura, mentre ora l’atmosfera appare cambiata, tanto da far pensare che per gli imprenditori, e non solo per loro, possa essere desiderabile la prosecuzione fino alla scadenza del 2013 con un governo eterodiretto che vara quelle riforme liberiste che aveva promesso fin dal lontano 1994 e non ha mai attuato. Ma adesso “ce le chiede l’Europa”, pena il fallimento dell’Italia, quindi bisognerà farle.
 
Se davvero fosse questo il calcolo bisognerebbe dire che come minimo è miope e forse addirittura suicida. Frau Merkel e monsieur Sarkozy si preoccupano sicuramente dei conti pubblici dell’Italia, visto che possono destabilizzare l’intera Eurozona, ma è lecito dubitare che abbiano altrettanto a cuore il nostro futuro di potenza economica. Nella ricetta dettata a Berlusconi, per esempio, compare una norma per introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione. Una norma che di per sé sarebbe niente più che un buon proposito: la Germania ce l’ha da tempo, ma questo non le ha impedito di sfondare allegramente non solo il pareggio, ma anche il mitico 3% di deficit/Pil previsto dal Trattato di Maastricht. Non risulta che i governanti che si sono macchiati di questa colpa siano stati messi in prigione, e nemmeno si sono dimessi. Ma mentre è un po’ difficile rimbrottare la potente Germania, una volta che l’Italia avrà adottato il provvedimento ci penseranno i suoi “tutori” a farglielo rispettare, e giudicheranno loro se e quando si può fare un’eccezione.
 
Un’altra voce della lista è quella delle privatizzazioni: ma posto che sia una buona idea – e in molti casi non lo è di sicuro – in che tempi bisognerebbe attuarle? In tempi brevi, come dicono le notizie che sono filtrate sui contenuti della lettera di Trichet e Draghi? Con questo clima di mercato? Sai che cuccagna, per i compratori, che, con ogni probabilità, non parlerebbero italiano, ma forse tedesco e francese. Attualmente le quotazioni di grandi gruppi come Eni ed Enel esprimono un valore addirittura inferiore a quello del loro patrimonio, nel caso dell’Enel poco più della metà. Quanto alle municipalizzate, secondo i due economisti Roberto Perotti e Luigi Zingales vendendole tutte (!) si incassebbero circa 30 miliardi, ma altri ritengono ottimistica questa valutazione e stimano un ricavo di circa la metà. Sarebbe una svendita di un enorme patrimonio per togliere una goccia dal mare del debito pubblico.
 
Tralasciamo i provvedimenti sul mercato del lavoro, che servirebbero a smantellare le residue protezioni che ancora resistono, con l’obiettivo di sbilanciare definitivamente i rapporti di forza a vantaggio della parte datoriale e con la conseguenza di un progressivo deperimento dei sindacati e della prosecuzione del declino dei salari. Insomma, l’applicazione della ricetta liberista alla quale la tecnostruttura europea continua costantemente a richiamarsi ma che, per molti aspetti, la signora Merkel si guarda bene dall’adottare in casa sua.
 
Soprattutto, i passi di questo processo, alcuni dei quali sarà comunque giocoforza accettare vista la situazione, sarebbero guidati da un leader la cui gestione si è dimostrata disastrosa sotto tutti i punti di vista, la cui totale assenza di credibilità renderà impraticabile ogni trattativa su quali misure prendere, come e in che tempi: dovrà eseguire e basta. Davvero una situazione del genere può convenire a qualcuno?
 
Qualcuno ha detto (e tra questi Romano Prodi) che durante una tempesta non si può cambiare il timoniere. Ma se il timoniere è manifestamente incapace, è assai maggiore il rischio che si corre lasciandolo alla guida. E’ bene ribadirlo: se ci fosse un nuovo governo guidato da una personalità accreditata a livello internazionale, ci sarebbe la possibilità di contrattare sui provvedimenti che ci sono richiesti in cambio dell’aiuto sui mercati, evitando di prendere decisioni che in prospettiva potrebbero danneggiarci. La parte più difficile della gestione della crisi arriva ora. Senza un cambio il nostro declino si trasformerebbe in precipizio.

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