Franceschini,
l’Attila della cultura
Un folto gruppo di intellettuali, docenti, ex soprintendenti ha diffuso un manifesto durissimo contro l’intera politica dei beni culturali. Si pensa solo alla “valorizzazione”, cioè a far soldi, trascurando del tutto la tutela. Continuando in questo modo il patrimonio artistico del paese finirà per essere distrutto
(pubblicato su Repubblica.it il 7 gen 2018)
E’ una potente cannonata quella che un nutrito gruppo di intellettuali e ambientalisti ha sparato contro il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. In un manifesto firmato da personalità tra le più autorevoli in questo campo si denuncia l’intera politica del ministro, accusato per di più di intimidazione nei confronti di soprintendenti e direttori, che “non possono assolutamente fare dichiarazioni, denunciare lo stato di confusione fra Soprintendenze, Poli Museali e Fondazioni di diritto privato, di depotenziamento strutturale, di esasperata burocratizzazione in cui versano gli organismi e gli uffici”. E infatti in calce al Manifesto le firme di soprintendenti ci sono, ma solo degli “ex”, che ovviamente non sono più soggetti a eventuali ritorsioni.
Tra i promotori ci sono esponenti di associazioni ambientaliste, ex – appunto – soprintendenti e alti dirigenti del settore, archeologi e altri docenti universitari, magistrati, urbanisti, storici dell’arte. Alcuni tra i nomi più noti al grande pubblico: il magistrato Gianfranco Amendola, gli ex soprintendenti per l’archeologia a Roma Adriano La Regina e a Napoli Giorgio Nebbia, il giornalista e scrittore Corrado Stajano, l’urbanista Vezio De Lucia, l’architetto Pier Luigi Cervellati, lo storico dell’arte Tomaso Montanari, l’economista Salvatore Bragantini e il giornalista e saggista Vittorio Emiliani. Il manifesto è stato pubblicato da vari siti (per esempio qui).
Che cosa si contesta a Franceschini? Praticamente tutto, ma soprattutto di aver concentrato tutta la sua azione sulla “valorizzazione” (cioè su come aumentare gli introiti da beni culturali). Si dirà: e che c’è di male a voler ricavare il più possibile dal nostro patrimonio artistico? Nulla, se non fosse per il fatto che è stata invece completamente abbandonata la tutela. In pratica, è come se con la propria auto si volessero fare più chilometri possibile, ma spendendo tutti i soldi per la benzina, anche quelli che servirebbero per fare i tagliandi e per cambiare l’olio. Si capisce bene che in questo modo l’auto farà una brutta fine.
Il ministro deve aver accusato il colpo, visto che, a due giorni dalla diffusione del manifesto, si è affrettato a presentare il rapporto dell’ufficio statistico del ministero sull’andamento delle visite ai musei: cifre record, hanno titolato tutti i giornali, superati i 50 milioni di visitatori e quasi 200 milioni di incassi. Accuse ingiuste, allora? No, semplicemente un tentativo di distogliere l’attenzione dal problema sollevato. Vedi quanti chilometri faccio fare all’auto?, dice Franceschini. Ma la critica era: così la stai distruggendo.
Che poi, il fatto che i visitatori dei musei siano aumentati non è così eccezionale, visto che il turismo sta andando a gonfie vele. “Il 2016 anno record per il turismo”, titolava l’Istat un suo rapporto. E l’anno appena finito, di cui si conoscono i dati del primo semestre, ha migliorato ancora: +4,6% gli arrivi e +6% i pernottamenti. E i turisti, che scelgono sempre più l’Italia che finora è rimasta immune dagli attacchi terroristici, che vuoi che facciano? Vanno nei musei e nei siti archeologici. Le statistiche di Franceschini prendono come base il 2013 per illustrare i successi. Come mai? E’ ancora lo studio sul turismo dell’Istat che ci aiuta a capirlo: “Dopo la crisi degli anni 2012 e 2013, si consolida la ripresa del settore che si era già manifestata negli anni immediatamente successivi”. Cioè, il 2013 era il momento peggiore degli ultimi anni e partire da più in basso possibile fa risaltare i progressi.
Il ministro ha parlato di ricavi, ma non di quanto si spende per la cultura, e non a caso: per questo capitolo l’Italia è terzultima in Europa, con lo 0,4% del Pil, davanti solo e Irlanda e Romania. Franceschini potrà replicare che negli ultimi anni è stata aumentata, ma questo è successo dopo i tagli feroci che hanno toccato il culmine con il governo Berlusconi nel 2011, quando si era arrivati a dimezzarla: oggi siamo tornati appena ai livelli del 2000, che, appunto, fanno una ben misera figura nel confronto europeo.
Ma non sono solo questi i problemi denunciati nel manifesto. Dove si dice che, per giunta, quei pochi soldi in più vengono spesi male, spesso per iniziative che puntano a maldestre spettacolarizzazioni che con la cultura non hanno nulla a che vedere. “Si organizzano gare di canottaggio nella vasca della Reggia di Caserta o si propagandano al suo interno prodotti tipici della zona e intanto la vasca risulta ingombra di rifiuti e l'intonaco cade a pezzi in una sala importante. Mentre, tanto per corroborare i vantati incrementi degli ingressi, si organizza al grande Museo Archeologico Nazionale di Napoli una mostra sul Napoli Calcio con magliette, ricordi e gadget di Maradona”.
Se questi – e tanti altri – sono episodi di una gestione che mostra di ignorare il valore del bene culturale in sé, ancora più preoccupanti sono le linee strutturali della politica degli ultimi anni, come “la sottomissione delle Soprintendenze, decisamente indebolite, ad un organo di governo locale come la Prefettura”. E qui dietro Franceschini si intravvede l’ombra di Matteo Renzi. Nel manifesto non ve n’è nessun accenno, per capirlo bisogna leggere il libro recentemente pubblicato da uno dei promotori, Vittorio Emiliani (Lo sfascio del Belpaese. Beni culturali e paesaggio da Berlusconi a Renzi – ed. Solfanelli), dove si parla dell’insofferenza – per usare un eufemismo – del segretario del Pd per le Soprintendenze. Nel libro, come annuncia il titolo, si ripercorre la storia di questi anni drammatici per il nostro patrimonio culturale e paesaggistico. La gestione di Sandro Bondi è stata così disastrosa che era difficile fare peggio, ma – secondo Emiliani – Franceschini è riuscito in questa ardua impresa. Vale la pena di leggere il libro per la puntigliosa descrizione, settore per settore, di tutti i danni perpetrati. Dal consumo di suolo all’indifferenza per la mancata elaborazione dei piani paesaggistici da parte delle Regioni (solo 3 su 20 sono in regola), dall’abbandono del patrimonio archivistico e delle biblioteche alle carenze di un personale con un’età media intorno ai 55 anni e dove i trentenni non arrivano al 2%.
Non stupisce, insomma, che tante personalità abbiano ritenuto necessario un intervento da tono così duro, e abbiano sentito il bisogno di richiamare al rispetto della Costituzione, che recita all’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.