La sostenibile leggerezza della crescita
Riemerge l’antica polemica sui rischi della crescita economica. Ma non ha molto senso, non solo perché ormai la maggior parte dei prodotti è del tutto immateriale, ma anche perché si è visto che, se si vuole, si può continuare a svilupparsi inquinando sempre meno
(6 feb 2007)
Per non rovinare il mondo bisogna smettere di crescere? I recenti annunci di catastrofi ecologiche (il cui rischio è purtroppo reale) hanno rilanciato un dibattito che, seppure in forme diverse, riemerge periodicamente. Un appello in questo senso lo abbiamo ascoltato domenica scorsa da una tribuna popolare e molto seguita, Chetempochefa su Rai3, da parte del climatologo Luca Mercalli, che ha anche ricordato una citazione secondo cui chi pensa che si possa crescere all’infinito o è uno stupido, o è un economista.
Ora, di gran parte degli economisti si può dire tutto il male possibile, però si dovrà concedere che nella loro materia sono un po’ più esperti dei climatologi, che, per quanto autorevoli nel loro campo, a volte in materie estranee se la cavano un po’ meno bene. Il fatto è che Mercalli quando parla di crescita ha in mente montagne d’acciaio e di cemento, fumi inquinanti, rifiuti tossici e altre piacevolezze del genere. Se la crescita fosse fatta solo di questo, avrebbe ragione. Ma non è così. Almeno, non solo. Non necessariamente.
Una decina d’anni fa il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, osservò che il Pil diventava sempre più “leggero”. Nel senso letterale del termine, cioè in termini di peso. Nell’ultimo secolo, disse Greenspan, il Pil mondiale (cioè quanto viene prodotto nel mondo in un anno) ha triplicato il suo valore in termini reali: ma il suo “peso fisico” è sempre lo stesso. A parte la curiosità di sapere come abbia fatto Greenspan a pesare il Pil di un secolo prima e poi quello attuale, l’osservazione è tutt’altro che peregrina. Il Pil pesa sempre meno, per due motivi: quello minore è che si usano materiali che un tempo non esistevano, per esempio la plastica; quello di gran lunga più importante è che ormai la maggior parte dei beni che compongono il Pil è del tutto immateriale, dalla finanza alle assicurazioni, dall’istruzione al software. Nelle economie avanzate, la quota sul Pil dell’industria manifatturiera è calata costantemente: negli Stati Uniti è ormai intorno al 20%, negli altri paesi avanzati è fra il 25 e il 30, in Italia è un po’ sopra il 30; unica eccezione la Germania, tuttora fra il 40 e il 45: non per nulla è il primo esportatore mondiale. (Nella foto: rilevamento satellitare dell'inquinamento)
Una prima osservazione, quindi, è che “crescita” è un termine un po’ troppo vago, se usato in quel senso. Innanzitutto bisogna vedere “che cosa” cresce. Poi, certo, bisogna anche vedere come ci si comporta. Gli Stati Uniti, con una popolazione equivalente a quella dell’Europa a 15, consumano circa un terzo in più di energia. I paesi di nuova industrializzazione, come la Cina e l’India, non vanno tanto per il sottile nel rispetto dell’ambiente: è di quest’anno la notizia che la Cina ha superato gli Stati Uniti come livello di emissioni nocive. Del resto, è proprio questa mancanza di vincoli, oltre al costo del lavoro irrisorio, ad aver spinto le aziende a delocalizzare le produzioni (specie le più rischiose dal punto di vista ecologico) verso quei paesi.
Qui, però, non siamo nel campo dell’inevitabile. Anche la produzione materiale si può fare inquinando sempre meno. Naturalmente questo ha un costo: ma, da un punto di vista generale, se c’è qualcuno che spende c’è qualcun altro che guadagna. E anche questa spesa e questi guadagni contribuiscono alla crescita del Pil. Ovviamente, l’imprenditore conciario o siderurgico non trae alcuna consolazione da questo fatto: per lui l’ideale è spendere il meno possibile per la produzione. Però le norme e i controlli possono obbligarlo ad essere più virtuoso.
Insomma, continuare a crescere e nello stesso tempo ridurre l’impatto ambientale è assolutamente possibile, a condizione che lo si voglia. Per fare un esempio che rientra nell’esperienza comune, gli elettrodometici casalinghi, dal frigo alla lavatrice, sono molto più sofisticati rispetto a quelli di vent’anni fa, ma consumano meno di un terzo dell’energia.
L’economia è quella strana cosa che deve crescere sempre, altrimenti si avvita e succedono disastri. E allora, prendersela genericamente con la crescita è un concetto rischioso, oltre che sbagliato. Le energie è meglio impiegarle perché la crescita ci sia, ma sempre più rispettosa dell’ambiente.