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 Economia Riduci

Straordinari, l'opera da tre soldi

Il provvedimento di detassazione varato dal governo è finanziato per ora con soli 400 milioni. Meglio così, perché non raggiungerebbe in ogni caso i due scopi dichiarati (aumentare le retribuzioni e favorire la competitività). Ma allora perché si fa, con il plauso di Confindustria? Perché alle imprese quelle ore costano meno delle ordinarie

(pubblicato su Repubblica.it il 22 mag 2008)

Se doveva essere il modo di rimediare al problema dei bassi salari, avrà probabilmente un'efficacia paragonabile a quella di un'aspirina per curare il cancro. E' davvero difficile pensare che il provvedimento sulla detassazione degli straordinari possa segnare una svolta dal punto di vista del reddito dei lavoratori.

Intanto, le risorse messe in campo sono decisamente modeste. Il governo ha dichiarato che il pacchetto salari-Ici avrà un costo di 2,6 miliardi. Ora, siccome l'abolizione dell'Ici sulla prima casa costa 2,2 miliardi, per i salari rimangono 400 milioni (il ministro Sacconi ha detto un miliardo, ma "spalmato su due anni"). Si era parlato, infatti, di un costo complessivo di 4 miliardi, che avrebbe comportato una disponibilità quattro volte e mezza più alta, ma, dovendo coprire il costo con tagli di spesa, per non peggiorare la situazione dei conti pubblici, evidentemente non si è riusciti a trovare i fondi sufficienti, e infatti il limite di reddito per fruire della  detassazione è stato ridotto all'ultimo momento da 35 a 30.000 euro.

D'altra parte, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti deve essersi reso conto che trovare la copertura togliendo soldi dal cosiddetto “decreto milleproroghe” era una mission impossible: in quel decreto ci sono sì spese di tipo pre-elettorale, ma è robetta. Il grosso è su capitoli praticamente intoccabili, come il finanziamento del protocollo sul welfare, i soldi ai Comuni per le accise sul gasolio, i fondi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Così, la portata del provvedimento si è drasticamente ridotta.

Si sarebbe tentati di osservare che non tutti i mali vengono per nuocere. Sull'efficacia di quella misura per raggiungere gli scopi dichiarati si possono avanzare molte e pesanti riserve. Quelle più generali le ha ricordate tra gli altri Massimo Giannini su Repubblica: il basso limite di reddito esclude una parte importante dei lavoratori; il regime fiscale più favorevole spingerà datori di lavoro e dipendenti a trasferire il più possibile di retribuzione alla parte agevolata del salario, generando un' elusione fiscale a spese della collettività; l'obiettivo di favorire l'aumento della produttività è contraddetto dalla limitazione del beneficio a solo una parte dei dipendenti e a più bassa qualifica. Si può aggiungere che si crea una disparità fra i lavoratori (la contrattazione integrativa riguarda solo il 10% delle aziende; fa gli straordinari solo il 45% dei dipendenti, e più gli uomini che le donne; gli statali sono esclusi); che è una misura cosiddetta “pro-ciclica”, cioè che funziona quamdo l'economia va bene e si sgonfia se è fiacca, perché in questo caso non servono certo gli straordinari; che può favorire la produttività pro-capite, ma non ha alcun effetto sulla produttività oraria, che è il problema dell'Italia; che fa aumentare il rischio degli incidenti sul lavoro; che non favorisce l'aumento dell'occupazione.

Ma allora, se ha tutti questi difetti, perché è stato deciso? E perché la Confindustria l'ha accolto in maniera così entusiastica?

Il fatto è che, dal punto di vista delle imprese, ha invece un pregio importante: non solo aumenta ulteriormente la flessibilità nell'impiego della manodopera, ma, soprattutto, ne riduce il costo. Forse non tutti lo sanno, ma un'ora di straordinario costa molto meno di un'ora di lavoro normale, e rende anche meno al lavoratore. Un interessante conteggio lo ha fatto il sindacalista Aldo Amoretti in un articolo sulla rivista on line Eguaglianza & Libertà. Prendendo ad esempio un “quarto livello” del commercio (addetto alle vendite), la retribuzione netta di un'ora di straordinario è di 5,60 euro, quella di un'ora ordinaria di 9,48; il costo per l'azienda è invece rispettivamente di 11,64 e 16,15 euro. Ciò vuol dire che su ognuna di quelle ore l'azienda risparmia il 28%, mentre il lavoratore prende il 41% in meno. Si può ben capire quale sarebbe il vantaggio per le imprese se si riuscisse ad ampliare il ricorso agli straordinari invece di dover fare nuove assunzioni.

Ma un'ulteriore riduzione del costo del lavoro può risolvere il problema della competitività italiana? Sarebbe davvero difficile sostenerlo. Già oggi il nostro costo del lavoro è agli ultimi posti in Europa (dati Ocse) e, come è ben noto, questo non ci ha aiutato ad essere competitivi. Ma una prova “al contrario” si può avere osservando la Germania, che ha il costo del lavoro forse più alto del mondo (e sindacati fortissimi, e rigidità contrattuali che non hanno nulla da invidiare all'Italia) eppure è anche il primo esportatore del mondo, e oggi è anche tornata ad essere la locomotiva della crescita europea. Il problema, dunque, non è lì. Sarà bene cercarlo meglio.

La conferma che è inutile viene dall'Istat


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