Un pifferaio sommerso
da una valanga di ‘sì’
Il risultato dei referendum testimonia che Berlusconi è ormai completamente screditato, anche agli occhi del suo elettorato che, in una misura da un quarto a un terzo, ha bocciato due importanti decisioni politiche del governo e la legge ad personam sul legittimo impedimento. Il premier non lascerà mai il suo posto spontaneamente. Ma il “cambio di passo” vagheggiato dai leghisti è quanto mai improbabile
(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 13 giu 2011)
Una valanga di “sì” ai quattro referendum ha sommerso un Berlusconi ormai completamente screditato. Una nota della presidenza del Consiglio e le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza si affannano a negare il valore politico di questi voti, ma è come negare che piova mentre si è sotto un diluvio. I provvedimenti sul nucleare e sull’acqua erano stati approvati in Parlamento addirittura con il voto di fiducia: ora il risultato dei referendum urla che questa fiducia nel paese non c’è, perché da un quarto a un terzo degli elettori che alle politiche avevano votato Pdl e Lega hanno sconfessato le decisioni del governo. Ancora più clamoroso il risultato del quarto referendum, quello sul “legittimo impedimento”, che ha ottenuto lo stesso plebiscito degli altri: se le legge era ad personam, il voto è stato contra personam.
Inutile pensare che Berlusconi possa trarre le consguenze che dovrebbe da quanto è accaduto. Si è ben capito che mai abbandonerà di sua volontà quella poltrona che considera l’ultimo scudo alle conseguenze dei quattro processi a suo carico in corso a Milano. Uno scudo sempre più debole: si sa che la sua carta d’emergemza è la legge sulla “prescrizione breve”, ma dopo il risultato sul legittimo impedimento sembra davvero difficile che la Lega possa essere disposta a un ulteriore sacrificio – di fronte a un’opinione pubblica chiaramente stufa – per salvare per l’ennesima volta il premier. Se anche dovesse decidere di continuare a tenere in vita il governo, è davvero improbabile che si lasci convincere ad appoggiare un doppione (anzi, persino peggiore) di quello che gli elettori hanno rigettato.
Le dichiarazioni degli uomini di punta della Lega, da Maroni a Calderoli, parlano di un “cambio di passo”, di rilancio dell’attività di governo o elezioni. Ma, visto quello che si è concluso finora, quale credibilità può avere anche il programma più ambizioso? Anche perché le pressioni su Tremonti perché allarghi i cordoni della borsa sono, in questa fase dei mercati, insensate e pericolosissime. Oggi (lunedì) i prezzi dei titoli pubblici dei paesi più a rischio dell’Eurozona (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) sono crollati, facendo salire alle stelle i rendimenti: oltre il 17% per la Grecia, oltre il 10 per Irlanda e Portogallo. C’è stata tensione anche sui titoli italiani, il cui differenziale rispetto al Bund tedesco è salito fino a 188 punti per poi ritracciare a 180. Se i mercati avessero la sia pur minima percezione che il governo pensa di abbassare la guardia sui conti pubblici, l’attacco speculativo scatterebbe imediatamente anche contro di noi, con esiti sicuramente disastrosi e forse addirittura incontrollabili. Sarebbe l’ultimo regalo, forse fatale, della catastrofica stagione politica berlusconiana.
Bersani, Vendola e Fini (a cui – curiosamente – non si è unito Di Pietro) hanno chiesto le dimissioni del governo. Ma l’opposizione potrebbe intanto manovrare su un terreno che potrebbe essere comune a tutte le forze non governative e anche alla Lega: quello della riforma del sistema elettorale. Certo, se il Pd resta fermo sul bipolarismo non avrà l’appoggio di nessun altro dei partiti intermedi: che vantaggio ne avrebbero? Un altro tema da affrontare sarà quello della riforma del referendum, che non può essere essenzialmente una sfida a raggiungere un quorum calcolato in modo penalizzante, perché prende in considerazione anche la quota di astensionisti che, alle ultime politiche, ha sfiorato il 20%. Le soluzioni possono essere varie: per esempio aumentare il numero di firme necessarie a promuoverlo, ma abolendo lo sbarramento del quorum; oppure calcolare il quorum in base ai votanti delle ultime elezioni. Oppure ancora – e forse meglio ancora – trasformare il referendum da abrogativo in propositivo, il che eliminerebbe la rozzezza di uno strumento che deve modificare leggi complesse cancellandone singole frasi.
Ma questo, al momento, non sembra essere una priorità. La priorità è invece trasformare l’uno-due di amministrative e referendum nella fine effettiva dell’era berlusconiana. Non c’è bisogno di aspettare i libri di storia per poterla definire una dei periodi più tristi della storia della Repubblica.