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 Cronache

Mica scemi certi “estremisti”

Una delle polemiche ricorrenti della destra è che l’ala radicale della sinistra “dice no a tutto” per partito preso. Ma può succedere, guarda un po’, che persone qualificate, pur essendo lontanissime da quelle posizioni politiche, esprimano opinioni ben motivate che danno ragione a quelle tesi. Come sulla base Usa di Vicenza e sull’alta velocità in Val di Susa

(22 mar 2007)

Li chiamano “il partito del no”, li definiscono spesso, con un filo di disprezzo, “la piazza”, e già il fatto di indire una manifestazione per esternare il proprio dissenso li classifica ai loro occhi come ribelli per partito preso, che frenano qualsiasi iniziativa che cerchi di modernizzare il paese. Per gli esponenti del centro destra questo è ormai un ritornello, a cui non varrebbe nemmeno la pena di controbattere se non rafforzasse le convinzioni di chi è già orientato verso quella parte politica e non ha voglia di farsi un’opinione propria (informarsi costa fatica) sui problemi specifici.

 

Negli ultimi tempi questo ritornello lo abbiamo ascoltato in particolare su due problemi che hanno suscitato vaste reazioni popolari: l’alta velocità in Val di Susa (o “alta capacità”: quella che di solito si indica con Tav) e l’ampliamento della base militare Usa di Vicenza. Due iniziative che toccano corde a cui la destra è assai sensibile: i soldi (il progetto Tav ne costa una montagna) e l’alleanza con gli Stati Uniti, che, in questa concezione, non prevede che qualche volta si possa non essere d’accordo con quel che fanno gli Usa o che gli interessi dei due paesi possano a volte non coincidere.

 

E dunque. Chi si è detto contrario all’ampliamento della base Usa è stato subito tacciato di anti-americanismo. Ma non è certo sospettabile di un così orrendo crimine Sergio Romano, l’ex ambasciatore che oggi si occupa di storia e fa l’opinionista per il Corriere della Sera e vari altri media. Romano, tra l’altro, non è neanche di sinistra, neanche di centro sinistra, neanche vicino al centro sinistra. Si può supporre, quindi, che se esprime un’opinione in proposito non sia dettata da ragioni di schieramento.

 

Ebbeno, Romano è nettamente contrario all’ampliamento della base Usa. “Dovremmo chiederci – ha scritto per esempio sul Corriere del 15 marzo – se questa presenza possa sopperire alle nostre carenze e garantirci una maggiore sicurezza. A questa domanda ho cercato di rispondere osservando che gran parte della strategia americana sembra essere dominata dalla necessità della “guerra al terrorismo”. Abbiamo visto negli ultimi tempi come gli Stati Uniti concepiscano questa guerra. Hanno invaso l’Afghanistan come se l’operazione potesse esaurirsi nella eliminazione di un regime che aveva ospitato sul proprio territorio le milizie di Al Qaeda e hanno trascurato per molto tempo il problema della ricostruzione economica e civile del Paese. Con il risultato che il maggior problema oggi è la riconquista del territorio. Il caso iracheno è ancora più drammatico. Gli Stati Uniti hanno invaso il Paese con motivazioni infondate e con un contingente militare inadatto al controllo del territorio. E hanno suscitato una nuova guerra, molto più micidiale e sanguinosa. Se questo è l’uso che gli americani intendono fare dello loro basi dislocate nei cinque continenti, siamo davvero sicuri che la base di Vicenza possa garantire la nostra sicurezza?”

 

Quanto alla Tav, si potrebbero citare per esempio vari articoli critici apparsi su www.eguaglianzaeliberta.it, che però è una rivista dell’area di sinistra, anche se certo né estremista né radicale. Ma ai fini del nostro discorso preferiamo richiamarci a un articolo apparso su www.lavoce.info. La Voce è una rivista fondata da un gruppo di economisti, prevalentemente della Bocconi di Milano, caratterizzati, più che da un’appartenenza politica (vi scrivono persone di entrambi gli schieramenti; alcuni di costoro sono “organici”, altri no), da un orientamento liberista, anche se declinato in più di una sfumatura, da quella più intransigente a quella più “morbida”.

 

L’articolo (vedi) a cui ci riferiamo è di Francesco Ramella, un ingegnere che scrive di questi argomenti anche sul Sole 24 Ore e sulla Stampa (non su Liberazione e Il Manifesto). Ramella smonta coscienziosamente tutte le argomentazioni a favore della Tav: la necessità di aumentare la capacità di traffico su rotaia, l’impatto favorevole sull’inquinamento provocato dai Tir, l’insufficienza delle infrastrutture attuali, l’”isolamento” dalla grandi correnti commerciali che provocherebbe la sua mancata realizzazione, la sua profittabilità. In compenso, calcola che “la spesa per la Tav equivale a una una-tantum dell’ordine di 1.000 euro per una famiglia di quattro persone” (ai costi stimati attualmente, aggiungeremmo noi: ma l’esperienza insegna…). Chi volesse togliersi uno sfizio, potrebbe confrontare la sua analisi con quella di Adriano Serafino, uno dei leader degli “estremisti no-Tav” della Val di Susa (vedi qui).

 

Insomma, in Val di Susa come a Vicenza ci sono stati, certo, anche quei giovanotti (e a volte anche attempati) che non hanno molta dimestichezza con i ragionamenti e, effettivamente, sono “contro” a prescindere. Ma questo non dev’essere un alibi per rifiutare di analizzare i problemi per quello che realmente sono. Purtroppo, vincono quasi sempre la demagogia politica e la difesa di interessi travestiti da “modernizzazione” o “politica atlantica”.

 


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