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 Eutanasia

I crudeli pasdaran della vita
Dicono che non si può decidere della vita degli altri, ma in realtà lo fanno, impedendo che si eserciti il diritto a decidere della propria esistenza e condannando a sofferenze inutili

(26 set 2006)

“Nessuno può decidere della vita di qualcun altro”, dicono. E non si accorgono di dire una cosa contro la logica. Non stanno decidendo della vita di Piergiorgio Welby, coloro che dichiarano che non va nemmeno preso in considerazione il suo desiderio di smettere di soffrire? Stanno decidendo della sua vita, eccome: condannandolo a qualche scampolo di esistenza che lui – l’unico che dovrebbe aver titolo in proposito – non vorrebbe.

 

welbyW.jpgNon sono solo i cattolici italiano ad essere così ciechi e prepotenti, purtroppo. A parte quegli pseudo-laici di cui c’è grande abbondanza, non si può non ricordare la vicenda di Diane Pretty, l’inglese ammalata di sclerosi multipla che aveva chiesto che le fosse evitata una morte, che sarebbe giunta di lì a poco, per soffocamento. Le rispose di no l’Alta Corte britannica, e anche la Corte di giustizia europea rigettò il suo ricorso contro la sentenza inglese. Diane Pretty morì meno di due mesi dopo, di soffocamento.

 

Il cardinale Javier Lozano Barragàn, “ministro” vaticano della Sanità, ha affermato che “nessuno può sostituirsi a Dio” e quindi l’eutanasia è un delitto, ma che comunque la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico. Eppure, se si volesse stare al suo ragionamento, non si sostituiscono a Dio quel medici che tengono in vita i malati grazie a macchine sofisticate e chili di medicinali? Fosse stato solo per Dio, quelle persone sarebbero morte da un pezzo. E quale sarebbe l’”accanimento terapeutico”? Da dove si comincia ad essere “accaniti”? Quando non c’è più speranza di guarigione? Per Diane Pretty non c’era. Quando in ogni caso si ritiene di non poter prolungare la vita per un certo tempo? E quanto tempo? I due mesi di Diane Pretty erano abbastanza da giustificare la decisione di farla continuare a soffrire e di farla arrivare ad una fine che non si augurerebbe al peggior nemico?

 

Senza contare l’ulteriore – e crudele – ipocrisia che accompagna il concetto di “accanimento terapeutico”. Smettere di “accanirsi” significa, molte volte, staccare le macchine che prolungano artificialmente la vita. E basta. Così fu per Terri Schiavo, la ragazza (ormai donna) americana in coma da più di 15 anni, per la quale, un paio d’anni fa, un tribunale statunitensa dette ragione al marito che chiedeva di porre fine alla sua non-esistenza. Terri Schiavo non morì appena interrotte le cure, sopravvisse due settimane. Non sarebbe stato più umano un intervento attivo?

 

Quello di Terri Schiavo, comunque, è senza dubbio un caso più complesso rispetto a quelli della Pretty e, ora, di Welby. Lì si trattava di una persona incosciente, per la quale altri stavano decidendo. La Pretty invece era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, come Welby ora. In casi del genere, negare il diritto a decidere costituisce un inconcepibile esproprio della cosa che più appartiene ad un essere umano, la propria vita.

 

Quando invece si deve decidere per una persona non cosciente, la cosa è ovviamente molto più delicata. E’ necessaria una serie di garanzie, che evitino quello che piuttosto grossolanamente paventa il diessino Luciano Violante, cioè che si faccia una legge per far morire i malati poveri (o magari che non hanno nessuno che si curi di loro). Ma queste garanzie possono essere individuate e messe in atto, come del resto avviene in Olanda, dove non risulta che si faccia strage di ammalati gravi. E lo stesso deve valere per i neonati con gravi disabilità, dove, ovviamente, una parte importante nella decisione spetta ai genitori, ma affiancati da un gruppo di esperti (anche in questo caso, l’Olanda può essere di esempio).

 

In realtà, anche di altro si dovrebbe parlare. Si dovrebbe affrontare la questione del “diritto al suicidio”, anche se non si è malati terminali e non si soffre di patologie (fisiche) inguaribili. Per qualcuno il male è la sua stessa vita, e non si vede perché non dovrebbe essere rispettata una sua decisione in proposito. Tanto chi vuole uccidersi lo fa lo stesso, magari aprendo il gas e facendo saltare in aria tutto il palazzo, e facendosi così accompagnare nell’al di là da qualcun altro che di morire non aveva nessuna volglia. Può sembrare un paradosso, il “suicidio alla Asl”. E invece, potrebbe essere l’occasione per evitare tanti suicidi provocati da abbandono o da problemi altrimenti risolvibili. Come è successo per l’aborto: la Chiesa continua ancora a condannare le legge parlando di infanticidio, ma da quando è in vigore il numero di aborti è crollato verticalmente.

 


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