Gli eversori in Parlamento
Sostenere che la maggioranza che sostiene il governo non rappresenta più la maggioranza del paese può far far parte della dialettica politica, ma pretendere, in base a questo, elezioni subito è una posizione eversiva
(pubblicato su Eguaglianza & libertà l'8 giugno 2007)
A preoccupare non è tanto la miserabile gazzarra a cui ci ha fatto assistere in Senato il centro destra durante il dibattito sul caso Visco. Ai cartelli agitati con su scritto “Ridateci la democrazia” mancava il seguito, che potremmo rendere con “…così possiamo farne strame”. Non è tanto ascoltare uno come il senatore Francesco D’Onofrio, che sta nei “moderati” del Ccd, il cui discorso era costituito soltanto da una sequela ininterrotta di insulti a Tommaso Padoa Schioppa. “Lei non conosce la Costituzione”, gli ha detto tra l’altro; lui, che era tra i “quattro di Lorenzago” che hanno preparato quella riforma istituzionale il cui regista, il dentista Roberto Calderoli, ha poi definito “una porcata”.
A preoccupare, si diceva, non sono tanto queste manifestazioni di maleducazione istituzionale (e spesso non solo istituzionale), ma è soprattutto la pervicacia con cui il centro destra, o almeno buona parte di esso con Silvio Berlusconi in testa, continua a rifiutare l’esito delle elezioni politiche dello scorso anno. Prima le accuse di brogli, cadute alla prima verifica (come quelle sui presunti scandali Telecom-Serbia e Mitrokin). Ora l’affermazione ossessivamente ripetuta che la maggioranza che sostiene in governo non rappresenta più la maggioranza del paese, e quindi il governo si deve dimettere e bisogna rifare subito le elezioni.
Ebbene, si tratta di una pretesa eversiva. In una democrazia quale sia la maggioranza si determina con regolari elezioni, non con i sondaggi di opinione. Forse il senatore D’Onofrio, che è tanto esperto di Costituzione, potrebbe spiegarlo a Berlusconi. Le elezioni ci sono state, lo scorso anno, e ne è emersa una maggioranza, che è quella che sostiene l’attuale governo. Una maggioranza di elettori ha determinato una maggioranza parlamentare. Fino alle prossime elezioni politiche quest’ultima è la sola maggioranza che conti, e non è cambiata né può cambiare, a meno di una dichiarazione esplicita di una sua parte di volersene tirar fuori. E dunque: proclamare che la maggioranza parlamentare non rappresenta più la maggioranza del paese può far parte delle dialettica politica; pretendere che in base a questa valutazione si debbano tenere di nuovo le elezioni, arrivando a minacciare lo sciopero fiscale, è eversivo.
Dato a Silvio quello che è di Silvio, bisogna dire che l’attuale maggioranza fa di tutto per apparire una sorta di armata Brancaleone allo sbando, che finisce per ricompattarsi solo nei momenti decisivi del voto al Senato dove il margine di dissenso “dimostrativo” è inesistente, e bastano due defezioni per far cadere il governo. Nella passata legislatura qualsiasi vergognosa decisione di Berlusconi, qualsiasi gioco di prestigio sui conti pubblici di Tremonti, venivano seguiti da ripetuti passaggi in tutti i telegiornali e le tribune televisive delle facce di Schifani, Vito, Bondi, che spiegavano quanto fosse opportuna quella decisione e liquidavano qualsiasi critica come un “attacco dei comunisti”. Oggi, qualsiasi provvedimento del governo o di qualcuno dei suoi esponenti è seguito da una raffica di passaggi televisivi di altri esponenti del governo o della maggioranza che spiegano perché non sono affatto d’accordo e minacciano di far cadere l’esecutivo. Non diciamo che sia da rimpiangere il “centralismo democratico”, ma possibile che non si trovi un sistema più decente per permettere sì il dibattito interno alla maggioranza, ma senza che dare continuamente l’impressione che il governo è lì lì per cadere e che, se regge, non è perché si vuole realizzare un programma comune, ma per non perdere le sudate poltrone?
Dietro questa impressione, poi, ce n’è un’altra. E cioè che alcuni settori ed esponenti della maggioranza pensino che per arrivare alla fine della legislatura sia necessario cambiare cavallo, cioè mettere qualcun altro al posto di Prodi. Date le attuali condizioni politiche, però, appare alta la probabilità che dopo Prodi non ci sarebbe un altro presidente di centro sinistra, ma solo un governo – che sia “di larghe intese” o addirittura un “governo del Presidente”, composto di tecnici – che avrebbe il compito di portare a termine la riforma elettorale, senza la quale Napolitano ha già detto chiaramente che non scioglierebbe le Camere, e poi indire nuove elezioni. Una pessima prospettiva, che forse alcuni non stanno valutando come dovrebbero.