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 Economia Riduci

Gli errori del ’29 e il rischio di oggi

 

Gli sbagli più gravi che trasformarono la crisi di Borsa in depressione oggi non vengono ripetuti, tranne, finora, uno in Europa. Che potrebbe portare a incidere il Patto di stabilità sulla lapide della crescita

 

(pubblicato su Repubblica.it l’8 ott 2008)

 

Vi furono alcuni errori da parte delle autorità di governo e monetarie che contribuirono a trasformare nella crisi più devastante dell’economia moderna il crollo di Borsa del ’29 (originato anche allora, fatte le debite differenze, da un eccesso di deregolamentazione e di speculazione).

 

Un grave errore lo commise la Federal Reserve, che non fece il suo mestiere di garantire l’ordinato funzionamento del mercato e permise che la mancanza di liquidità strangolasse le banche e poi l’economia reale. I banchieri centrali di oggi hanno evidentemente ben presente questo fatto, visto che dall’inizio della crisi non fanno altro che inondare di liquidità i mercati; e la manovra coordinata con cui le pricipali banche centrali hanno oggi ridotto di mezzo punto il costo del denaro, un fatto senza precedenti, risponde alla stessa esigenza. Inoltre allora non si fece nulla per tamponare gli effetti dei fallimenti bancari, mentre oggi, come abbiamo visto, solo la Lehman è stata lasciata al suo destino.

 

La mancanza di liquidità fu provocata anche dal fatto che i risparmiatori spaventati corsero agli sportelli bancari per ritirare i loro soldi. I governanti di oggi puntano a scongiurare questo rischio introducendo – dove non esisteva – o rafforzando la garanzia di rimborso dei depositi. In Italia, dove già la cifra garantita era tra le più elevate nel confronto con gli altri paesi, il governo si appresta a rafforzare la rassicurazione dei risparmiatori estendendo l’ombrello statale al Fondo interbancario di tutela.

 

Un terzo fattore fu la forte ripresa del protezionismo, con l’imposizione di dazi e barriere, e di questo, oggi, non si scorge nessuna avvisaglia. Ma un quarto elemento su cui un gran numero di economisti è d’accordo è costituito dalla politica fiscale: il presidente Hoover continuò testardamente a perseguire l’equilibrio dei conti pubblici, senza preoccuparsi di sostenere l’economia perché altrimenti il deficit pubblico sarebbe aumentato.

 

Quest’ultimo fattore ci ricorda qualcosa. Ci ricorda quello che va sotto il nome di “Patto di stabilità e di crescita”, conseguente al Trattato di Maastricht. Fino ad oggi l’attenzione, quasi ossessiva, è stata posta solo sul primo dei due obiettivi, e non per caso. Questa scelta risponde alla concezione secondo cui il ruolo dello Stato nell’economia dev’essere il meno invadente che sia possibile, e se si raggiunge l’equilibrio dei conti pubblici – la stabilità – e si lascia fare al mercato, poi la crescita ne deriverà automaticamente.

 

Queste idee sono nate negli Stati Uniti e a partire dagli anni ’80 hanno via via preso forza e sono diventate Vangelo in tutto il mondo industrializzato. Fatto sta che gli Stati Uniti, forse ammoniti dall’esperienza e forse anche per il loro noto pragmatismo, nel 2000 avevano un rapporto debito/Pil intorno al 30%, mentre oggi, secondo le dichiarazioni del segretario al Tesoro Hank Paulson, è arrivato all’87%. Di fronte al rischio per l’economia, gli stessi inventori hanno mandato la teoria in soffitta.

 

L’Europa è oggi sull’orlo (e forse anche oltre) della recessione. C’è da chiedersi se il Consiglio europeo e la Commissione – e la Bce – vorranno continuare ad essere “più realisti del re” e a ripetere che quello che conta è l’equilibrio di bilancio o se si decideranno a lasciare in soffitta quelle regole, almeno in occasione di questa crisi drammatica, per tentare di dare ossigeno all’economia. Altrimenti, il rischio è che il Patto resti inciso sulla lapide della crescita.


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