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 Politica Riduci

Il leader della disperazione
Che Matteo Renzi vincesse la corsa per la segreteria Pd era praticamente certo, ma il come ha riservato una serie di sorprese. E tutto ciò che era imprevedibile prima compone ora un quadro per interpretare meglio l’accaduto

(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 15 dic 2013)

Che Matteo Renzi vincesse la corsa per la segreteria Pd era praticamente certo. Che Matteo Renzistravincesse invece nessuno se l’apettava. E sul fatto che anche stavolta i votanti sarebbero stati 3 milioni nessuno ci avrebbe scommesso un euro.

Tutte le “sorprese” del voto sono state scandagliate. Che Renzi abbia fatto il pieno di voti nelle regioni rosse, per esempio. O il risultato inaspettatamente debole di Gianni Cuperlo. O che abbiano votato Renzi quasi tutti quelli che, un anno prima – solo un anno prima! – gli avevano preferito Pier Luigi Bersani. Eppure, tutte queste cose così imprevedibili prima compongono un quadro che permette, ora, di mettere a posto tutte le tessere del mosaico.

Diciamo intanto che, anche se ovviamente non ci sono prove, si può ragionevolmente affermare che non ci sono state masse di votanti “inquinatori”, elettori di destra o qualunquisti con l’obiettivo di dare fastidio al Pd. No, con ogni probabilità quei tre milioni sono stati proprio “il popolo delle primarie”, più o meno gli stessi che avevano partecipato nelle precedenti occasioni. E già questo è da sottolineare: si era arrivati ad ipotizzare che i votanti potessero essere meno della metà.

Più o meno gli stessi che avevano votato per Veltroni, e poi il Pd aveva perso. Beh, succede. Però, certo, da allora il partitone già della sinistra era entrato in confusione, già allora si cominciava a non capire più che cosa volesse fare e dove volesse andare. Una confusione non diradata dalle vicende successive, tutt’altro. Finchè non si arriva a Bersani.

Bersani, non una novità ma nemmeno usurato, con le radici nella storia del vecchio partito ma anche innovatore con le storiche “lenzuolate”, uno che finalmente torna a dire “sinistra”. Quando si scontra con l’”uomo nuovo” Renzi, il pragmatico, il post-ideologico, il rottamatore, nonostante la indiscutibile maggiore abilità televisiva di quest’ultimo lo stra-batte, prende il doppio dei voti.

Siamo ancora col governo Monti, e Bersani fa il primo di molti errori. Non si differenzia abbastanza da quei “tecnici” che non sono altro che politici di area moderata (molto moderata). La pagherà con la “non vittoria”, oltre tre milioni di voti in meno al Pd e niente maggioranza al Senato. Dopo di che infila una serie incredibile di pastrocchi, dal tentativo mal condotto con i grillini all’incapacità di farsi valere con un Napolitano diventato più montiano di Monti e più decisionista che in un regime presidenziale, fino al capolavoro dei disastri con l’elezione del presidente. Non tutta colpa sua, per carità, è in buona e assai numerosa compagnia, ma rivela tutta l’inadeguatezza sua e di tutto il gruppo dirigente del Pd.

Così, mentre i cittadini alle elezioni hanno gridato che volevano una svolta, con l’astensione record e il trionfo di Grillo, si torna come prima, peggio di prima, anche grazie alla testarda determinazione di Napolitano. Peggio di prima perché se in precedenza le “larghe intese” derivavano da un Berlusconi quasi cacciato a pedate, adesso si fanno per “obbligo”, con un Berlusconi paradossalmente quasi trionfante che impone la sua agenda e fa ballare ogni giorno governo e maggioranza.

Il povero elettore del Pd non può non essersi chiesto: “Ma io li ho votati per avere questo?” Dapprima si sarà detto “la prossima volta voto Grillo anch’io”, poi, vedendo i Cinquestelle alla prova, ha deciso che non era un’opzione valida.

E’ in questa situazione che si arriva al voto per il nuovo segretario. I contendenti: un Renzi trionfante che tutti i sondaggi accreditano come vincitore certo delle prossime elezioni, che nessuno si aspetta molto lontane nel futuro; un Cuperlo fin’allora sconosciuto ai più, che suo malgrado finisce per apparire come il coniglio tirato fuori dal cappello dalla vecchia guardia, che, essendo ormai impresentabile, vuole imporre qualcuno che agisca poi in nome e per conto (e per giunta, per quanto colto e per bene, non certo un trascinatore di folle); un Civati che non ha l’appoggio di nessuno, né tra i big del partito, né da parte dei media, che quasi lo ignorano. Nel frattempo ogni giorno si legge sui giornale di uno o più nuovi scandali, che non sono certo soltanto appannaggio della destra.

Il povero elettore delle primarie deve aver fatto i seguenti ragionamenti: 1) Questi vanno spazzati via, e non solo perché altrimenti non vinceremo mai; 2) Cuperlo sarà anche bravo, ma è sostenuto da “quelli” e io non lo voto; 3) Civati, chi? (tranne che per i più informati), e poi comunque non ce la può fare; 4) Renzi è di destra? E chissenefrega. Intanto manderà ai giardinetti la vecchia classe dirigente, poi può pure vincere le prossime elezioni e, infine, sarà sempre meno di destra di Berlusconi e Casini. Proviamo anche questa, tanto peggio di così è davvero difficile. Ed ecco che si concretizza il trionfo.

Un trionfo che nasce dalla disperazione di quegli elettori che sarebbero di sinistra, ma non hanno trovato una sinistra da votare. Un fenomeno in fondo simile a quel voto di protesta che ogni volta va in cerca di qualcosa di nuovo sperando che sia meglio del vecchio, e ha votato i radicali, la Lega, ora i grillini e Renzi. Tentativi sempre frustrati dai risultati. Sta al sindaco di Firenze, ora, riuscire a non essere l’ennesima delusione.


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