Il progresso corre in retromarcia
Tra avventure neocoloniali (Siria) e lavoro senza diritti (vicenda Foodora) sembra di guardare una pellicola che si riavvolge, mentre la direttrice del Fmi Lagarde chiede altre “riforme politicamente difficili”, cioè che peggiorino le condizioni delle persone: un tempo le riforme si facevano per migliorarle. E risuona il ritornello: “Non si può tornare indietro”. Più indietro di così?
(pubblicato su Repubblica.it il 13 apr 2018)
Da qualche tempo sembra di assistere a una pellicola che si riavvolge, come succedeva con i vecchi proiettori casalinghi per far tornare all’inizio la bobina dopo aver visto il film. Nell’800 si parlava di “diplomazia delle cannoniere”. Oggi la vecchia bobina è stata rimpiazzata dai dvd e i cannoni dai missili, ma siamo sempre lì. Dato che c’è aria di spartizione della Siria, Francia e Regno unito scalpitano per partecipare ai bombardamenti, dato che chi bombarda si sente poi in diritto di avanzare pretese (se non di un pezzo di Siria, di qualche altra “compensazione”). Il tutto, naturalmente, per punire il tiranno Assad delle sue malefatte, delle quali Macron “ha le prove”, forse della stessa qualità di quelle dell’intelligence inglese sulle armi di distruzione di massa dell’Iraq. Insomma, in fondo sono missili “umanitari”. La sola differenza con l’800 è l’ipocrisia, a cui allora si badava meno.
Sa di antico anche la sentenza del tribunale di Torino sui sei ciclisti di Foodora, definiti lavoratori indipendenti. Cacciati dall’azienda perché avevano osato protestare per chiedere qualche brandello di diritti, quelli che pensavamo che fossero un fatto acquisito per chi lavora. Ma questo è un lavoro “moderno”, quindi quelle regole non valgono. Così scopriamo che è diventata “moderna” la situazione di un secolo fa.
E non è mica finita. Il vispo direttore generale del Fmi Christine Lagarde, che è stata ministro con Sarkozy (almeno un personaggio esplicitamente di destra, non come i falsi progressisti che abitano nei partiti che furono di sinistra), ha ripetuto qualche giorno fa un ritornello già tante volte sentito: “Le riforme necessarie sono spesso politicamente difficili”. Cioè, sgradite ai cittadini, perché evidentemente tolgono loro qualche altra cosa. Chiunque oggi abbia meno di trent’anni al solo sentir pronunciare la parola “riforme” comincia a sudare freddo: che fregatura mi rifileranno stavolta? Non è sempre stato così: fino agli anni ’70 del secolo scorso “fare le riforme” significava migliorare la condizione dei cittadini, per lo meno della maggioranza di essi. Dovrebbe essere normale: la ricchezza del mondo cresce, scienze e tecnologie progrediscono, le condizioni di tutti dovrebbero migliorare. Se invece succede il contrario, non è colpa della malasorte, dipende dalle scelte politiche che sono state fatte.
Di queste politiche si sa quando è stato l‘inizio (fine anni ’70 del secolo scorso), la tendenza è stata battezzata con un nome ormai noto a tutti (neoliberismo), gli esiti sono sotto i nostri occhi. Nonostante lo scontento che cresce in tutto il mondo di più antica industrializzazione, tra chi detiene le leve del potere non c’è nessun segno di voler cambiare strada, come mostrano gli episodi qui ricordati e infiniti altri. Tutti dicono: “Non si può certo tornare indietro”. Bene. Ma allora, per cortesia, potreste indicarci una prospettiva che non comporti altre “riforme politicamente difficili”?