I prelati del liberismo e i bachi del sistema
La rubrica di Hugo Dixon su Repubblica è un piccolo capolavoro di fede cieca. Ma la difesa che fa dei Fondi di private equity dovrebbe far riflettere i nostri responsabili della politica finanziaria sul ruolo di quegli “investitori istituzionali” tanto invocati e a cui viene in parte sacrificata la sicurezza delle pensioni
(20 mar 2007)
La rubrica “breakingviews” su Repubblica di ieri – curata da Hugo Dixon, ex responsabile dei commenti del Financial Times – faceva quasi tenerezza per i suoi atti di fede nel liberismo “senza se e senza ma”. Nella prima news analysis Mike Verdin, parlando del possibile intervento delle banche italiane per l’acquisto di Telecom Italia, osservava che “questa soluzione appagherebbe gli istinti protezionistici prevalenti in Italia”. Tra i maggiori operatori telefonici, infatti, la ex Omnitel è stata acquistata dall’inglese Vodafone, Wind che era dell’Enel ora è del gruppo egiziano Sawiris, Fastweb sta per essere acquisita (è in corso l’Opa) dalla Telecom svizzera, la H3G è cinese e Tele2 svedese. Accipicchia come siamo protezionisti!
La seconda analisi, di Simon Nixon, bacchetta i sindacati di tutto il mondo perché, riuniti a Parigi, se la sono presa con i Fondi di private equity, muovendo loro “le solite accuse: asset stripping (cioè spezzettare le aziende per venderle meglio, n.d.r.), indebitamento eccessivo, poche tasse”. Nixon dimentica di citare la strage di posti di lavoro. Ora, queste accuse saranno pure “le solite”, ma l’autore omette un dettaglio: sono pienamente giustificate.
Ma è sulla seconda parte del breve articolo che molti farebbero bene a meditare (soprattutto i responsabili della politica finanziaria). Se questo accade, osserva Nixon, è perché i gruppi quotati, le public company, sono meno capaci di questi Fondi di fare profitti e valorizzare adeguatamente le azioni. E come mai? Udite, udite: “La risposta è da ricercare negli azionisti del mercato pubblico (i famosi “investitori istituzionali”! n.d.r.), nella loro storica incapacità di esercitare un controllo effettivo, lasciando di fatto i vari Consigli di amministrazione liberi di gestire le aziende nell’interesse del management e del personale”.
Ora, in Italia da almeno trent’anni si piange sulla mancanza di investitori istituzionali affermando che sono indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle grandi imprese. Ma pare che dove il sistema è ben collaudato non ne siano tanto contenti. Nixon se la prende con “l’incapacità”, evidentemente generalizzata, e invoca “una nuova razza di investitori attivisti”, di cui fornisce ben due esempi. Insomma, è colpa degli uomini, mica del sistema. Il dubbio neanche lo sfiora.
Lasciamogli volentieri le sue certezze, visto che non ha responsabilità di governo in Italia. A chi invece le ha ci piacerebbe che i dubbi venissero. Perché non vorremmo che dopo essercela presa tanto con il capitalismo familiare – che di sicuro ha i suoi difetti, specialmente quello italiano – ci toccasse tra vent’anni risentire altrettanti pianti, ma stavolta sull’aria intonata ieri da Nixon. Tra l’altro, uno dei motivi “forti” per cui si sostiene la necessità dei Fondi pensione è proprio questo, l’avere finalmente gli investitori istituzionali ( lo ha affermato più volte, tra gli altri, il governatore Mario Draghi). Abbiamo imboccato una strada che non è affatto certo che giovi al sistema delle imprese, mentre è certissimo che espone le pensioni dei lavoratori ai rischi finanziari. Due piccioni con una fava?