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 Europa Riduci

Ti rendo i tuoi soldi
solo se obbedisci

Angela Merkel ha deciso di fare una piccola concessione a Macron, acconsentendo all’istituzione di un fondo europeo per gli investimenti (ma piccolo, eh!) su cui il presidente francese insiste da tempo. Ma chi chiede quei soldi dev’essere in linea con le regole Ue: così l’Italia, che già dà all’Unione più di quanto riceva, non potrebbe accedervi. Un’altra follia franco-tedesca

(pubblicato su Repubblica.it il 17 nov 2018)

La fertile immaginazione di Merkel e Macron ha escogitato un altro furbissimo espediente per tenere in riga i paesi indisciplinati. La proposta è di istituire un fondo europeo per gli investimenti, cosa che il presidente francese chiede con insistenza da quando è stato eletto.

Fin qui sarebbe una buona cosa, anche se meno buona dell’altra che frotte di economisti chiedono da sempre, ossia che le spese per investimenti degli Stati membri non siano conteggiate ai fini dei parametri europei. Ma in questo secondo caso sarebbero i vari paesi a decidere per conto loro, mentre sugli impieghi del nuovo fondo si deciderebbe al livello europeo. La competenza in materia sarebbe conferita all’Eurogruppo, costituito dai ministri delle Finanze dei paesi euro. E qui c’è un primo appunto da fare. Come ha ben spiegato il docente di diritto comparato Alessandro Somma nel suo libro “L’Europa a due velocità” (ed. Imprimatur), l’Eurogruppo è una sorta di organismo fantasma, i cui membri, come specifica l’art. 136 del Trattato sul funzionamento della Ue, “si riuniscono a titolo informale”. L’ex ministro greco Yanis Varoufakis lo definì così in un’intervista: “Abbiamo un gruppo che non esiste e che ha il maggior potere di determinare le vite degli europei. Non risponde a nessuno, dato che non esiste legalmente: non si tengono minute, ed è  riservato. I cittadini non sapranno mai cosa vi si dice.  Sono quasi decisioni di vita e di morte, ed i membri non rispondono a nessuno”. Aggiunse poi che, nel caso che nascesse un dissenso, il ministro delle Finanze tedesco – all’epoca Wolfgang Schäuble – “interviene e rimette tutti in linea”.

Ma il meglio deve ancora venire, perché a questi fondi potrà accedere solo chi fa politiche “in sintonia” con gli obblighi europei ed è a posto con le regole fiscali su deficit e debito. Certo, non ci si può stupire: è da tempo che viene applicato questo principio, imposto dalla Germania: basta andare a rivedersi il discorso fatto da Angela Merkel al Bundestag all’inizio del suo secondo cancellierato. Allora – era il 2013 – il principio fu formulato come “aiuti in cambio di riforme” e riguardava essenzialmente i paesi in difficoltà, ma il concetto fu subito esteso alla famosa “flessibilità”; cioè a chi faceva le riforme – naturalmente quelle che piacciono alla Germania e alla tecnocrazia europea – si concedeva graziosamente un po’ più di spazio di bilancio. Senza il Jobs Act, per esempio, a Renzi non sarebbe stato concesso di impiegare soldi per distribuire mance.

Adesso si programma una ulteriore estensione di questa condizionalità. Vuoi i soldi del fondo per gli investimenti? Solo se sei stato bravo e disciplinato, altrimenti non te li diamo. Ora, c’è un piccolo dettaglio da considerare. Il principio “ti aiuto se fai come dico io” può anche essere accettabile se si applica a chi dalla Ue riceve più di quanto versi. Ma non è questo il caso dell’Italia, che al contrario versa all’Unione più di quanto riceva. In base a quale contorsione logica sono tenuto pagare anche per gli altri, ma se chiedo una parte dei miei soldi può venirmi negata? Allora sarebbe il caso di dire: grazie tante, fatelo pure per conto vostro, io ne resto fuori. Non sarebbe niente di eccezionale: la clausola dell’opting out è stata utilizzata da vari paesi e per accordi molto più importanti di questo, dalla partecipazione all’euro, al Fiscal compact, a Shengen. Figuriamoci se non si può usare per un fondo che – c’è da scommetterci – non sarà nemmeno dotato di grandi risorse. Con tanti auguri a chi deciderà di entrarci.


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