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 Politica Riduci


Napolitano tra fantasia 

e forzatura  istituzionale

Di fronte all'impossibilità di una maggioranza parlamentare garantita Napolitano ha inventato una formula inusitata: resta il governo Monti mentre due gruppi di personalità, scelte da lui anche fuori dal Parlamento e di vari orientamenti politici, studiano le riforme più urgenti. Ma alla fine starà ai partiti, e prima di tutto al Pd, decidere se accettare o no gli eventuali compromessi

(pubblicato su Eguaglianza & Libertà il 30 mar 2013)
Giorgio NapolitanoLa mossa del presidente Giorgio Napolitano di chiedere a "due gruppi di personalità di diversi schieramenti" di elaborare proposte di riforme è un atto senza precedenti nella storia della Repubblica. Napolitano non ha spiegato che cosa esattamente si propone, ma ha sottolineato che "un governo c'è, è quello in carica, che non è stato sfiduciato dal Parlamento". Cerchiamo dunque di interpretare quale situazione il presidente stia creando.
Sappiamo quali fossero le sue intenzioni fin dall'inizio, da quando, cioè, il risultato elettorale ha mostrato un Parlamento diviso fra tre forze principali più l'irrilevante Scelta Civica di Monti. Delle tre, il M5S ha ripetuto fino alla nausea di escludere qualsiasi alleanza e comunque Napolitano ha sempre fatto fatica a nascondere di considerarlo non affidabile. Il presidente dunque non vedeva altra soluzione che un'alleanza fra gli altri due schieramenti.
Su questa strada, però, ha incontrato la ferma opposizione di Bersani. Il leader del Pd si è giustamente rifiutato di farsi coinvolgere in un abbraccio mortale con Berlusconi, che servirebbe solo a fornire l'ennesima occasione al Cavaliere per sfuggire ai suoi processi e bloccare le leggi indesiderate, dall'anti-corruzione a quella sul conflitto d'interessi a quelle di portata meno generale, ma non meno importanti per Berlusconi, come ad esempio la sistemazione delle frequenze dell'etere.
La prima mossa di Napolitano era obbligata: non poteva che conferire l'incarico al leader dello schieramento più votato e con la maggioranza assoluta dei voti in una Camera e quella relativa nell'altra. Poteva essere un incarico pieno: il governo Bersani avrebbe giurato e, se - com'è probabile, ma non certo - non avesse ottenuto la fiducia del Senato, sarebbe rimasto in carica per l'ordinaria amministrazione in attesa del nuovo presidente che sciogliesse il Parlamento per indire nuove elezioni. Nessuno può dire che cosa sarebbe potuto accadere nel periodo - almeno due mesi - prima del nuovo scioglimento: non si può escludere che la fiducia in un modo o nell'altro avrebbe potuto essere ottenuta.
Ma Napolitano non ha voluto seguire questa strada, che sarebbe stata costituzionalmente ineccepibile: l'incarico a Bersani è stato condizionato al poter disporre di una maggioranza certa. Grazie a Grillo questo non si è verificato. Il Pdl si è offerto in tutti modi, ma, naturalmente, in cambio delle contropartite che interessavano a Berlusconi e bene ha fatto Bersani a non accettarle.
Napolitano si è trovato dunque di fronte a una situazione di stallo: nessuna maggioranza politica possibile e con il "semestre bianco" che impedisce lo scioglimento delle Camere. E allora ha sfoderato questo colpo di "fantasia istituzionale". Resta il governo Monti "che non è stato sfiduciato". Escono dal cappello presidenziale questi due gruppi di esperti, "di diversi schieramenti", con il fumoso incarico di preparare riforme. Una formula inusitata: ciò che c'è di più urgente da fare, ossia alcune scelte politicamente decisive, affidate a persone di diretta designazione presidenziale, la maggior parte delle quali nemmeno elette in Parlamento. Solo il carattere informale di questi due gruppi separa la trovata da una pesante lesione della Costituzione. E se è vero che il governo Monti non è stato sfiduciato, è anche vero che non ha mai avuto la fiducia di questo Parlamento. Una situazione, insomma, veramente al limite.
Ovviamente, le riforme che i due gruppi prepareranno dovranno poi essere approvate da una maggioranza parlamentare. E dunque: o questi due gruppi sono l'effettivo governo che non si è riusciti a fare, ossia segnano, in modo non ufficiale, quell'accordo Pd-Pdl formalmente impossibile, e dunque quei compromessi che Bersani non ha voluto accettare saranno alla fine accettati; oppure il loro lavoro sarà altrettanto inutile di quello degli ultimi mesi del passato Parlamento, quando o sono passate soluzioni tanto al ribasso da essere inutili (come la legge anti-corruzione), o altrimenti l'accordo non si è raggiunto (come sulla riforma della legge elettorale). In altre parole: o si sta tentando di nascondere l'inciucio, o la pensata del presidente è una perdita di tempo in attesa del successore, ma che intanto lascia al governo Monti la gestione della transizione.
C'erano alternative? Sì, quella che Napolitano non ha voluto a nessun costo. Una volta verificato che, dopo Bersani, nessun altro sarebbe stato in grado di costituire una maggioranza, si sarebbe potuto - e forse dovuto - conferire un incarico pieno al leader del primo schieramento. Se non avesse ottenuto la fiducia, sarebbe rimasto lui in carica nel periodo di transizione.
Napolitano ha preferito forzare la teoria e la prassi istituzionale. Gli sviluppi dipenderanno prima di tutto dall'atteggiamento del Pd.
 

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