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 Finanza

La prima volta di un governatore

La Banca d’Italia si era sempre preoccupata dei bilanci delle banche e per nulla dei costi caricati sui clienti. Ora Mario Draghi ha lanciato quasi un ultimatum: o li diminuite, o interverrò io. Non è una svolta “populista”, ma una corretta interpretazione del mercato, di cui fa parte sia chi vende servizi che ci li compra

(16 feb 2007 - pubblicato su Eguaglianza & Libertà)

E’ la prima volta che un governatore della Banca d’Italia si occupa di “quisquilie” come il costo dei servizi bancari per i clienti. Mario Draghi lo ha fatto il 3 febbraio scorso in un’occasione tradizionalmente importante come il convegno annuale degli operatori bancari e finanziari, lanciando insistentemente tre parole d’ordine: più efficienza, più concorrenza, prezzi più bassi.

 

DraghiGr.jpgIn passato i governatori quando spronavano all’efficienza avevano in mente una sola cosa, i bilanci delle banche. Stavolta Draghi ha detto: “I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela”. Una frase – finalmente – molto netta, che suona anche come un ultimatum: sbrigatevi a farlo o interverrà la Banca d’Italia. Lo notava anche, su CorrierEconomia del 12 Febbraio, Marcello Messori: “Per trasferire i frutti dei progressi anche ai risparmiatori, è sufficiente invocare un aumento della concorrenza oppure è necessario combinare una più aperta struttura di mercato con nuove norme, efficaci regole per la loro applicazione e interventi di regolamentazione? La novità più significativa dell’analisi del governatore consiste nell’aver privilegiato questa seconda alternativa”.

 

Non è un passo da poco per un uomo come Draghi, che certo non può essere sospettato di essere tiepido nei confronti del libero mercato. Da direttore generale del Tesoro ha contribuito a privatizzare (quasi) tutto il privatizzabile e appena lasciata via XX Settembre è stato subito cooptato nel top management di uno dei più importanti gruppi finanziari del mondo. Ma qui non c’entrano i “lacci e lacciuoli”. Ci sono solo tre categorie di persone, ormai, che non si sono accorte che nel sistema bancario italiano le condizioni teoriche della concorrenza – che ci sarebbero – non bastano: quelli che non se ne intendono, i liberisti “ideologici” e i professori della voce.info. Da tempo era evidente che c’era bisogno di un intervento (vedi per esempio Un “price cap” per le banche).

 

Del resto pochi giorni fa l’Antitrust ha presentato i risultati di una sua accurata indagine in materia, in cui si conferma che i nostri conti correnti sono di gran lunga i più cari d’Europa (cosa che ha ripetuto anche Draghi, sulla base di un’altra indagine Bankitalia) e che il sistema è “penalizzante per il correntista e poco trasparente”. C’è anche un rilievo specifico sui conti “a pacchetto”, i più cari (anche di questo si parlava nell’articolo citato).

 

Quella di Draghi non è una svolta “populista”. Il governatore non fa altro che cominciare ad applicare una ricetta spesso enunciata da un suo autorevole predecessore, Guido Carli: sì ai profitti, ma guerra alle rendite. E quella di cui le banche si appropriano a danno dei clienti è appunto una rendita, un surplus che deriva dall’essere il contraente più forte, che danneggia il mercato perché, senza produrre valore, drena risorse che sarebbero altrimenti destinate ad altri consumi o investimenti con un maggior vantaggio per tutta l’economia.

 

Nel suo discorso Draghi ha affrontato anche un altro problema importante, quello dell’”indipendenza delle società di gestione del risparmio dai gruppi bancari e assicurativi che le controllano e ne distribuiscono i prodotti”, dato che l’attuale assetto, tra l’altro, “accresce i rischi di conflitti d’interesse; rappresenta un limite allo sviluppo del settore e alla tutela del risparmiatore. (…) Come in altri campi, l’iniziativa del mercato è preferibile a quella del legislatore; in sua assenza sarà inevitabile l’intervento normativo o regolamentare”. Non c’è che da rallegrarsi di questo tono deciso: si tratta di un altro problema che era evidente (vedi per esempio Tre domande al governatore), ma che finora nessuno si era curato di affrontare.

 

C’è solo un punto poco convincente nel discorso: la magnificazione degli effetti positivi dei Fondi pensione sul sistema finanziario (p. 11 della relazione), che resta, a nostro avviso, tutt’altro che scontata, come si osservava nell’articolo appena citato: era questa una delle tre domande e neanche questa volta il governatore ha fornito una risposta, limitandosi ad affermazioni che, validissime per ciò che riguarda Stati Uniti o Regno Unito, per l’Italia invece sono assai dubbie. Il prossimo futuro chiarirà quale sia la tesi più fondata.

 

Nel complesso, comunque, quello di Draghi è stato un discorso forte che sancisce la svolta avvenuto con il cambio della guardia a via Nazionale. Il governatore non è più, come intendeva il ruolo Antonio Fazio, “il capo supremo del sistema bancario italiano”; è invece il guardiano della stabilità ma anche del mercato, del quale fanno parte sia le banche che i loro clienti.

 


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