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 Politica economica Riduci

Il vincolo esterno
e le gambe dei cani

Il premier Enrico Letta afferma che i vincoli di bilancio fanno bene all’Italia, ma la nostra storia dice che i vincoli esterni, anche a causa dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, hanno portato più danni che benefici. E allora? Affidarci all’Europa? No: è guidata da leader altrettanto incapaci, se non di più


(pubblicato su Repubblica.it il 19 ott 2013)


“Vuol raddrizzare le gambe dei cani” si dice di qualcuno che tenta un’impresa impossibile, e dunque anche inutile e dannosa, perché produce fatiche che non danno risultati. Bene, è quello che si potrebbe dire di chi, negli anni, ha pensato di razionalizzare i comportamenti italiani attraverso il cosiddetto “vincolo esterno”. Con questo concetto si intende una decisione che dovrebbe orientare in un certo modo le scelte politiche e/o economiche, senza di che si subirebbe un danno, di solito rilevante.

Si può dire che una volta sola questo principio ha funzionato, con l’adesione alla Comunità europea che esponeva le nostre imprese alla concorrenza, senza più misure protezionistiche a difenderle (almeno in ambito europeo). Il risultato non era affatto scontato, ma l’esito fu eccezionale e quel periodo viene ricordato come gli anni del “miracolo economico”.

Non andò così, invece, per un’altra grande svolta di questo genere, attuata quando Carlo Azeglio Ciampi era governatore della Banca d’Italia e Beniamino Andreatta ministro del Tesoro: il cosiddetto “divorzio” fra le due istituzioni. Fino a quel momento (era il 1981) la Banca d’Italia era obbligata per legge a sottoscrivere tutti i titoli pubblici emessi dal Tesoro per finanziarsi che non fossero assorbiti dal mercato. I politici avevano fatto un pessimo uso di questa norma, utilizzata per aggirare l’articolo 81 della Costituzione, quello che stabilisce che ogni legge deve prevedere la copertura finanziaria per la sua attuazione. Ebbene, la norma era stata interpretata nel senso che la copertura poteva essere fatta a debito, cioè emettendo titoli, cioè – visto l’obbligo della Banca centrale di sottoscriverli – stampando moneta. Passi se si fosse fatto solo per gli investimenti, ma si finanziavano così anche le spese correnti.

La misura aveva dunque una sua valida motivazione: da allora in poi la spesa pubblica sarebbe stata sottoposta al giudizio dei mercati, che avrebbero potuto non comprare i nostri titoli se ritenevano che stessimo attuando una politica sbagliata, indebitandoci più di quanto avremmo potuto rimborsare. Tralasciamo il fatto che tutto ciò implica un giudizio di fiducia nella razionalità dei mercati, che per alcuni è un principio di fede, ma che invece è tutt’altro che scontata. Come che sia, fatto questo passo se ne sarebbero dovute trarre le conseguenze operative, ossia tenere sotto controllo l’inflazione e non far crescere troppo il debito, per evitare che la spesa per interessi assorbisse sempre più risorse (come invece è poi avvenuto). Anche perché i mercati non si rifiutano di colpo di sottoscrivere il debito, ma richiedono interessi via via più alti se aumenta la percezione della rischiosità dell’emittente. E l’Italia era un emittente relativamente rischioso anche perché ricorreva periodicamente alla svalutazione della lira, per mantenere una competitività che l’inflazione più alta rispetto ai nostri partner commerciali erodeva: bisognava dunque pagare anche il rischio di una perdita generata dal cambio.

Quando il tasso di interesse sul debito è superiore al tasso di crescita del Pil il debito si auto-alimenta. Ed è proprio quello che è successo, con le conseguenze che oggi paghiamo a caro prezzo.

Un’altra grande svolta nella logica del vincolo esterno è stata l’adesione all’euro. Un atto ancora più radicale, perché si rinunciava in un sol colpo sia alla sovranità monetaria, conferita a una Banca centrale indipendente (la Bce) che ha il divieto statutario di finanziare gli Stati, sia a quella fiscale, accettando i famosi parametri di Maastricht a deficit e debito e più tardi legandoci ulteriormente con il Fiscal compact e trattati collegati e con l’introduzione nella Costituzione (questa davvero una bestialità) dell’obbligo del pareggio di bilancio.

In questo modo ci vincolavamo a una rigidissima disciplina di finanza pubblica e accettavamo il fatto che tutti gli aggiustamenti necessari dovevano avvenire nell’economia reale, senza alcun sostegno dalle altre leve della politica economica, alle quali avevamo rinunciato. Tutto ciò in un contesto reso instabile e rischioso dalla finanziarizzaione sfrenata e sregolata dell’economia mondiale e reso più aspramente competitivo dal processo di globalizzazione.

Purtroppo quel decennio cruciale ha coinciso con il governo quasi continuo di Silvio Berlusconi, che non solo non ha fatto nulla per eliminare le nostre antiche carenze, ma le ha fortemente aggravate. Così quando è esplosa la crisi mondiale i nodi sono venuti al pettine.

Enrico Letta si inchina ad Angela MerkelCongedato il nefasto Berlusconi ci sono stati il governo “tecnico” di Monti e ora quello Letta delle “larghe intese”: la cosa che più è venuta in risalto è stata l’incapacità di entrambi di affrontare i nodi dei problemi italiani. Anche a causa della zavorra berlusconiana che continua a far danni, certo. Ma non basta cercare scuse nella fragilità politica e nella mancanza di compattezza delle maggioranze: sono state proprio le strategie – dalla scelta delle priorità, al rapporto con l’Europa, alla tecnica dei pochi provvedimenti presi – a rivelarsi drammaticamente inadeguate. Tanto che la tentazioni di qualche opinionista è di attivare un ennesimo vincolo esterno: quello che ci deriverebbe dal chiedere gli aiuti europei previsti per i paesi in difficoltà in cambio di una serie di impegni decisi a Bruxelles. Potrebbe essere una buona idea, di fronte alla palese inadeguatezza della nostra classe dirigente?

No, non lo sarebbe. Sarebbe una pessima idea. Perché la classe dirigente europea non è affatto migliore della nostra. La gestione della crisi è stata quanto di peggio ci si potesse aspettare, le idee di politica economica espresse a Berlino e Bruxelles – “casualmente” le stesse – oltre ad essere sbagliate sul piano economico generale esprimono soltanto un “leghismo all’europea”, in cui chi sta meglio difende con i denti quelli che sono diventati privilegi senza curarsi minimamente del disastro in cui hanno fatto precipitare i paesi in difficoltà, e senza considerare che questa situazione danneggerà anche loro.

Possibile che non abbiano capito quello che quasi tutto il resto del mondo sta ripetendo, ossia che le politiche di austerità in una situazione di depressione sono distruttive? In realtà forse l’hanno capito, ma giudicano più importante un altro fattore: i paesi periferici devono restare sotto la morsa della crisi perché solo così sarà possibile far inghiottire ai loro cittadini le famose “riforme di struttura”. Le quali, però, si riducono essenzialmente a una feroce compressione dei diritti dei lavoratori e a tagli alle pensioni e ai sistemi di welfare. Le riforme dei mercati dei beni, dove si annidano cospicue rendite presidiate da lobby potenti, sono ogni tanto citate di sfuggita, quasi per dovere, ma non è su quello che si insiste. Le riforme della finanza non sono all’anno zero, ma davvero poco di più, e incontrano ostacoli fortissimi anche da parte dei cosiddetti “primi della classe” (vedi per esempio la  difesa intransigente della Germania delle sue Casse di risparmio, che vuole a tutti costi sottratte alla vigilanza comune).

Così siamo tra due fuochi. A chi afferma che bisogna battersi con assai più durezza e decisione per cambiare la politica europea, e per pretendere una maggiore libertà di manovra sui nostri conti pubblici anche a costo di superare il mitico – e stupido – limite del 3% di deficit, sono alcuni degli stessi economisti di casa nostra ad anticipare le repliche che arriverebbero da Bruxelles: “Avete recuperato almeno in parte i 120 miliardi della vostra evasione fiscale e i 60 della corruzione? Avete reso più efficienti la giustizia e la pubblica amministrazione? Avete utilizzato al massimo possibile i fondi europei? No? Allora fatelo, e se dopo ce ne sarà ancora bisogno ne riparleremo”.

Non sono obiezioni insensate, ma si scontrano con la profonda inadeguatezza della nostra classe dirigente. E questo è uno dei fuochi. Ma l’altro è l’attuale politica europea: anche se da domani i nostri governi diventassero efficientissimi e iniziassero davvero a risolvere quei problemi, nel frattempo continuerebbe lo strangolamento della nostra economia, continuando ad allargare piaghe che non si rimargineranno. Le due strade non sono alternative e non possono avere tempi diversi: per sopravvivere è necessario batterle entrambe. Senza una politica europea più espansiva, ma da subito, potremmo anche fare miracoli, ma non basterebbero ad evitare un pesante deterioramento del nostro tessuto produttivo. Prima o poi usciremmo dalla crisi, certo, ma in quali condizioni?

E dunque, giudicare provvidenziale l’ennesimo vincolo esterno ha solo l’amaro sapore di una ammissione della nostra incapacità. Mentre invece dovremmo combattere ben più duramente contro una politica europea che sta facendo danni forse irreparabili.


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Nuovo messaggio 20/10/2013 19.18
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Stavolta ha toppato 

Scrive Manfredi Manfrin:

Mah. La "nostra storia" dice anche che la scelta di affidarsi al "podestà foresto" è stata il modo di superare insuperabili conflitti interni.

Bisognerebbe pensarci bene prima di dare dei "leghisti" ai paesi del nord Europa che difendono le politiche contenimento del debito pubblico. Si tratta perlopiù di paesi dove il welfare funziona; i diritti dei lavoratori sono comunque assicurati dalla legislazione, dalla presenza di forze politiche di governo o di opposizione laburiste molto forti, dai sindacati e dalla cultura sociale.

Clericetti, stavolta ha toppato al 100%! Questi toni, alla fine, hanno una sola ricezione, molto diversa dalle intenzioni dell'autore: quella qualunquista alla Be&Bo (indovina chi sono). Senza l'Euro e l'Europa avremmo un'inflazione al 30%, il potere di acquisto dei salari e delle pensioni sarebbe andato a farsi ..., il debito pubblico sarebbe un problema risolto perchè pagato con carta straccia.

E chi fosse stato in condizioni di farlo farlo, (industriali, finanza) si sarebbe salvato portando fuori i soldi, alla faccia dei bei discorsi di Krugman e di tutti quelli che continuano irresponsabilmente a parlare male dell'Europa.

Certo l'Europa ha tutti i limiti della specie umana, non uno di meno; ma alla mia età mio nonno aveva già fatto due guerre; io invece, grazie all'Europa, vado in vacanza coi low cost.

 
Nuovo messaggio 20/10/2013 19.22
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Re: Stavolta ha toppato 

Caro Manfrin, i paesi del nord difendono soprattutto le loro banche (ha visto la notizia sui verbali Fmi sul "salvataggio" della Grecia?)
Quanto a welfare e diritti, la Germania (dove comunque la situazione resta incomparabilmente migliore della nostra) da una decina d'anni li sta smantellando. Tutti criticano il nostro mercato del lavoro perché non è omogeneo, ma lì ormai più di un terzo degli occupati è a basso salario e diritti ridotti.
Senza l'euro avremmo un'inflazione al 30%? Forse, o forse no, visto che il calo dell'inflazione è stato su scala mondiale. Difficile dire se saremmo stati meglio, perché comunque avremmo avuto (come abbiamo avuto) un differenziale rispetto ai maggiori concorrenti.
Il fatto è che le idee camminano sulle gambe degli uomini, e gli uomini (e le donne) che abbiamo oggi al potere e abbiamo avuto dall'ultima parte del secolo scorso sono di levatura drammaticamente inferiore rispetto a quelli che li hanno preceduti, e che - pur tra mille stop and go - hanno costruito quell'Europa che ci permette di stare meglio di suo nonno. Purtroppo la storia non è in continuo e luminoso progresso, come crede qualcuno, e quello che si è conquistato si può anche perdere. Continuando su questa strada, come la signora Merkel è decisa a fare , anche l'Europa è a rischio.

 
Nuovo messaggio 20/10/2013 19.26
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Re: Stavolta ha toppato 

Risponde Manfrin:

Caro Clericetti, la differenza fra un'affermazione corretta o veritiera ed una distorta (quasi) completamente passa attraverso linee sottili, spesso tracciate sulla sabbia di un avverbio: i paesi del nord difendono "soprattutto" o "anche" le loro banche? Ma certo che anche la Germania ha sacche di inefficienza e di lottizzazione clientelare nel sistema bancario (il candidato socialdemocratico era presidente di una banca che, per aver mandato 300 milioni di euro a Lehmann prima del crack fu definita la più "stupida della Germania").

Ma ciò che io affermo non è un presunto "primato morale" dei paesi del nord. Ciò che io sostengo è che i paesi del nord, nel difendere i loro più o meno legittimi interessi, in realtà difendono, come sottoprodotto, quell'idea di Europa propria dei "padri fondatori", e che attaccarli con epiteti e critiche basate su pregiudizi significa fare il gioco di chi vuole tornare a prima del 1914. E sappiamo cos'è arrivato dopo. La pace fra le nazioni europee vale infinitamente di più di qualsiasi altra posta; l'Europa ha trascinato il mondo intero in guerra per due volte in meno di 30 anni con più di 100 milioni di morti. Questo oggi non accade più perchè c'è l'Unione Europea; questo è il "valore non negoziabile" da proteggere da attacchi verbali di dubbia ricezione e di dubbio gusto, direi.

La questione dei mini-jobs: vero. In questo senso la Germania si è americanizzata. Resta il fatto che i redditi pagati dai mini-jobs sono più alti di quelli dei nostri "precari" e "atipici" che invece vivono degli aiuti dei nonni e dei genitori, che invece in Germania aiutano molto, molto meno, per cultura, tradizione, esistenza di borse di studio, appartamenti a buon mercato per studenti, costo della vita più basso che in Italia (parlo da dirigente di una piccola multinazionale italo-tedesca che gira spesso per la Germania). Pare che la c.d. "economia dei servizi" non riesca a fare a meno di un buon numero di lavori dequalificati e sottopagati (tutti noi beviamo il caffè al bar e non saremmo disposti a pagare un laureato in chimica che ci spiega la formula dei 400 composti presenti nel caffè). E' un problema? Purtroppo si, serio per me, per lei e per tutti i ragazzi che hanno una laurea "vera" e vorrebbero un lavoro vero. Molto meno per i ragazzi che VOGLIONO fare i baristi e non vogliono studiare. E' un problema grave, ma non serio, per tutti i ragazzi che hanno una laurea FINTA, e però vorrebbero un lavoro ed uno stipendio vero; ma qui la colpa è di chi queste lauree le ha permesse.

Ricordo infine che un mio collega tedesco, a parità di costo per l'azienda, guadagna circa il 20% più di me. Qualcosa vorrà pur dire.

Il calo dell'inflazione su scala mondiale; vero. Però l'Italia importa materie prime, energia e food. Tutte cose il cui valore è GIUSTAMENTE cresciuto visto che non li rubiamo più ai PVS. Anche qui, cullarsi nel sogno delle svalutazioni competitive, va bene se si è nel proprio letto; ma quando si guida è meglio guardare la strada e non sognare. Cerchiamo di non fornire argomenti gratuiti a coloro che si trastullano con i bei tempi andati nei quali fatturavamo in marchi il cui valore cresceva ogni settimana (ero amministratore di un'azienda di cucine a quel tempo) e ci crogiolavamo nella epopea del mitico Nordest pensando che sarebbe durata all'infinito se solo Ciampi e Prodi non si fossero messi in mezzo. Col debito pubblico italiano non serve che l'inflazione vada al 30% (iperbole retorica di cui mi scuso); basta il 7/8 % e siamo fritti.

Sulle considerazioni di filosofia della storia, pur dall'alto della mia laurea in tale materia, non mi avventuro per decorsi termini di competenza.

 
Nuovo messaggio 20/10/2013 19.28
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Re: Stavolta ha toppato 

Le dirò: di getto avevo scritto "anche", poi rileggendo ho cambiato in "soprattutto". Naturalmente si tratta di una sorta di sineddoche, difendono le banche per evitare guai ben maggiori. Comprensibile, ma davvero i prestatori incauti hanno zero responsabilità rispetto ai debitori incauti?

Le mie critiche non sono basate su pregiudizi, ma sulla mia lettura della situazione. Badi che io non sono affatto anti-europeista (e anzi concordo con chi dice che senza un'Europa politica diventeremmo ben presto tutti irrilevanti). Io sono fortemente contrario all'impostazione che è stata data alle regole europee, e al fatto che questa impostazione non venga corretta, ma invece accentuata, provocando una situazione che - proprio questa - mette in serio pericolo la sopravvivenza dell'Unione.

Il cuneo: sono rimasto molto stupito quando ho visto che le ritenute previdenziali tedesche sono circa il 10% (giusto, più o meno, quella differenza del 20% sul netto di cui lei parla). Non ho approfondito la cosa, ma evidentemente c'è una forte fiscalizzazione (infatti a pressione fiscale siamo più o meno allo stesso livello). E' una scelta di politica economica: la potremmo fare anche noi, se magari non avessimo il doppio dell'evasione fiscale (i prelievi in busta paga sono soldi sicuri, le altre tasse un po' meno, direi).
Svalutazioni competitive: non piacciono neanche a me, sono (salvo eccezioni) il segno che le cose non hanno funzionato. Magari non solo e non sempre per colpa dei governi: anche qui, vogliamo affermare che l'imprenditoria italiana è fatta solo di vittime senza nessun colpevole?

Sta di fatto che senza quello strumento tutto il peso dell'aggiustamento ricade su quelli che certamente hanno meno colpe. Anche questo non sarebbe inevitabile, ma non è mai successo niente di diverso. Torno a dire (ed era anche il senso del pezzo): alla radice c'è un drammatico problema di classi dirigenti.

 
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