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 Stato sociale

Cinque per mille, lo spreco ideologico
Sono quasi 40.000 i soggetti a cui può essere destinato il cinque per mille dell'imposta sul reddito: università e centri di ricerca, ma anche Guardia padana, amici del tamburello, circoli del golf. Si disperderanno (e sprecheranno) così, secondo le stime, almeno 270 milioni

(pubblicato su Eguaglianza & libertà il 27 mag 2006)

Non si sa se sia uno spreco più ideologico o più demagogico. Ma che con il cinque per mille (uno degli ultimi regali di Giulio Tremonti) si buttino via dei soldi, questo è sicuro.

Come tutti sanno da quest'anno, nella denuncia dei redditi, si può destinare un cinque per mille delle proprie imposte - oltre all'otto per mille che va prevalentemente alla Chiesa cattolica - al volontariato, alla ricerca, alle università o alle attività sociali del Comune di residenza. Detta così, e senza pensarci troppo, sembrerebbe una buona cosa: quelle finalità appaiono tutte rispettabili e socialmente utili, quindi meritevoli di sostegno. Nella realtà, non solo il provvedimento è fatto male, e quindi nell'elenco delle associazioni finanziabili rientrano persino circoli di golf e Guardia padana (distrazione? incapacità legislativa? o dobbiamo pensar male?), ma risponde a una logica che trova i suoi sostenitori in dua aree che dovrebbero essere culturalmente piuttosto diverse, ma che in quest'ambito marciano strettamente legate, e non da ora: sono i fautori dello "Stato minimo" e gli alfieri della sussidiarietà.

Cominciamo anzitutto con il sottolineare che questa del cinque per mille è una legge di spesa, visto che si prendono soldi delle tasse e si distribuiscono. Quanta spesa? Non si sa, perché questo dipende da quanti contibuenti eserciteranno la facoltà di indicare un destinatario di quei soldi. A differenza dell'otto per mille (quella quota del gettito Irpef viene comunque utilizzata nei modi previsti, infatti, anche se il contribuente non dà indicazioni), in questo caso c'è bisogno di una scelta esplicita. Le stime della relazione tecnica prevedono 270 milioni, ipotizzando la stessa percentuale di scelte dell'otto per mille (41% dei contribuenti); ma se invece tutti dessero l'indicazione, si arriverebbe a 660 milioni.

Ora, 660 milioni, ma anche solo 270, sono una bella cifra. Che cosa ci si può fare? Per esempio, Alessia Ripani su Kataweb ricorda che il finanziamento della tanto strombazzata legge per il "rientro dei cervelli", interrotta un anno prima del previsto perché non si sono trovati i fondi per rifinanziarla, è costata 54 milioni in sei anni, ossia 9 milioni all'anno. Con 270 milioni si sarebbe potuta rinnovare per altri trent'anni, con il massimo della cifra si arriverebbe quasi a coprire tutto il secolo.

Va bene, si dirà, ma sono comunque soldi che andranno alla ricerca, al volontariato, eccetera. Tanto per cominciare, non tutti: chi si è divertito a spulciare l'interminabile lista pubblicata sul sito dell'Agenzia delle entrate (vedi) ha trovato, fra l'altro, oltre ai suddetti circoli di golf e Guardia padana, le Donne padane, i club Juventus, l'associazione dei pazienti che usano la cura Di Bella, circoli di bridge, l'associazione sportiva del tamburello, i radioamatori di Lugo di Ravenna, gli Hare Krishna di Milano, i presepisti catanesi e piacentini, l'associazione del carnevale Valenzatico, il Rotary club, la Federazione italiana squash e quella dei giocatori di dama, chiese, oratori e parrocchie (moltissime, come le associazioni sportive), l'Accademia del peperoncino, l'Associazione amici dello Stato brasiliano e Spirito Santo, l'Associazione Falchi del sud e quella dei fungaioli siciliani, l'Associazione Pantagruel (che non dev'essere un gruppo dietetico), e così via. Chi vuole divertirsi, si accomodi: sono più di 28.000 soggetti, a cui si aggiungono gli 8.100 Comuni e gli enti scientifici e di ricerca. In totale, si arriva vicini ai 40.000.

E' probabile che gli amici del tamburello e quelli del peperoncino non racimoleranno abbastanza neanche per pagarsi un pranzo sociale. Ma il numero dei pretendenti è tale che la dispersione sarà comunque enorme, quattro soldi gettati a pioggia che però, messi tutti insieme, come abbiamo visto fanno una bella cifra. Da anni si continua a dire che non ci sono soldi per la ricerca, e poi li si butta via così.

Ma facciamo l'ipotesi - del tutto improbabile, purtroppo - che le scelte si concentrino solo su pochissimi soggetti, le università, per esempio. Che garanzie ci sono che, con la prossima manovra di aggiustamento dei conti pubblici (o con quella successiva) non ci sia la tentazione di tagliare stanziamenti proprio a quei soggetti, che "tanto hanno già avuto"?

Resta da dire perché  nasce questo piccolo mostro. Nasce in nome della "libertà di scelta" dei cittadini, che, secondo alcune singolari teorie, sarebbero più bravi dei politici e della pubblica amministrazione nello scegliere quali enti e quali attività vanno sostenuti con i soldi delle tasse. Su questo si incontrano un filone liberal-liberista, quello più estremista, secondo cui lo Stato dovrebbe occuparsi della sicurezza e della difesa e praticamente di nient'altro. In questo modo si potrebbero far pagare pochissime tasse, ma tutto andrebbe benissimo lo stesso, perché l'animo umano è generoso per natura, e i più ricchi, non essendo costretti a ingrassare l'erario, farebbero moltissima beneficienza. E siccome i privati sono più efficienti dello Stato, questi soldi sarebbero spesi meglio e senza sprechi e tutti vivrebbero felici. Sembra una favola, eppure c'è chi sostiene queste tesi come se fossero una cosa seria.

L'altro filone è quello dei tifosi del Terzo settore, anche loro convinti che nell'ambito delle attività socio-assistenziali lo Stato impersonale e burocratizzato debba lasciar fare le organizzazioni del "privato sociale", più attente ai bisogni reali e con una motivazione che la pubblica amministrazione non avrebbe. Queste organizzazioni vengono definite "senza fini di lucro", ma bisogna intendersi: non è che non vogliano guadagnare, quella che è esclusa è la remunerazione del capitale. Per il resto, anche loro puntano al profitto e chi ci lavora prende uno stipendio. Il fatto che la qualità dei loro servizi sia migliore di quella delle strutture pubbliche è considerato un assioma, una verità evidente che non si dimostra. Infatti è indimostrabile.

Queste idee, che negli ultimi anni si sono diffuse e contano su robusti gruppi di pressione, hanno costituito il terreno su cui seminare un provvedimento che, forse non per caso, è arrivato giusto a ridosso delle elezioni. Si tratta comunque di una norma non definitiva, che dovrà essere confermata nei prossimi anni, se si vuole mantenerla. Intanto c'è da sperare che quest'anno la scelta sia fatta da poche persone, in modo da rendere evidente il fallimento. Ma se anche i contribuenti mostrassero di gradirla, sarebbe bene che il nuovo governo studiasse modi più efficaci di impiegare i quattrini delle tasse.

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