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 Europa Riduci

L’ultima speranza
contro la crisi infinita

Dopo che l’Italia ha contestato il metodo di calcolo degli obiettivi di bilancio – obiezione che la Commissione ha subito respinto – molti paesi hanno mostrato interesse per il problema, secondo quanto ha dichiarato il ministro Padoan. Un problema che lo stesso Draghi ha ripetutamente sollevato. Forse questa è l’unica via possibile contro il disastroso eccesso di austerità che sta uccidendo l’economia

(pubblicato su Repubblica.it il 6 dic 2014)

Forse qualcosa si muove nell’Europa pietrificata dall’ideologia dell’austerità e dei “conti in ordine”, tanto sbagliata che li disordina sempre di più. Quello che la politica fino a questo momento non ha avuto il coraggio – e forse la voglia – di fare potrebbe essere ottenuto grazie a un passaggio apparentemente tecnico, ma che avrebbe effetti ben maggiori del finto piano di rilancio di Jean-Claude Juncker. E se succederà bisognerà attribuirne un parte non piccola di merito a Mario Draghi, al quale chi scrive non ha mai risparmiato critiche, ma a cui bisogna riconoscere una capacità di manovra non comune nel destreggiarsi fra le sciagurate scelte politiche imposte all’Europa e quelle che probabilmente sono le sue convinzioni di economista.

Se abbiamo usato tanti condizionali e formule dubitative è perché nulla è scontato e alla fine sarà sempre sul piano politico che la questione verrà decisa in un modo o nell’altro. Però sembra che si stia facendo strada la convinzione che la situazione è davvero grave e continuando sulla strada seguita finora il rischio di esiti drammatici cresce enormemente. Draghi ha intensificato la frequenza dei suoi interventi pubblici, e aumentato la preoccupazione dei toni. E anche il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, nel suo intervento al convegno alla Sapienza per il centenario della nascita di Federico Caffè (su cui torneremo, perché si sono dette varie cose interessanti), ha parlato con più convinzione della necessità di investimenti pubblici, in un progressivo abbandono dell’insistenza sulle sole riforme strutturali che sarebbero state capaci di stimolare gli investimenti privati per far ripartire l’economia.

Ma torniamo a quella che potrebbe essere la leva per allentare la camicia di forza sui conti pubblici delle insensate regole europee. Che è, come si diceva, quello che potrebbe sembrare un aspetto puramente tecnico, ossia la metodologia di calcolo del Pil potenziale. Ma è un aspetto determinante, perché è in base a quella che la Commissione verifica il rispetto o meno dei vincoli di bilancio imposti dalle regole europee; ed è in base a quella che chiede agli Stati – come ha chiesto all’Italia – eventuali manovre aggiuntive, che significano altri tagli o altre tasse. A causa di quei conteggi il nostro paese ha dovuto aggiungere altri 3,5 miliardi a una manovra che era già di suo restrittiva, aggravando il peso sulla nostra economia stremata. Non solo: il giudizio definitivo è stato rinviato a marzo, il che significa che la Commissione potrebbe chiederci un ulteriore intervento, aggiungendo disastro a disastro.

Il fatto nuovo di quest’anno, come qualcuno ricorderà, è stato che nel Documento programmatico 2015 inviato alla Commissione l’Italia ha inserito un paragrafo in cui finalmente contesta la metodologia di calcolo. Forse il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha preso coraggio per il fatto che proprio Draghi, in un suo intervento a Jackson Hole, aveva ricordato che da uno studio della stessa Commissione era risultato che quel metodo è inaffidabile, cosa che la stessa Bce ha ribadito in un suo recente occasional paper. Draghi insomma, pur continuando a ripetere in ogni suo intervento che il consolidamento dei bilanci pubblici va perseguito secondo le regole stabilite, è intervenuto con decisione affermando che va ripensata la base su cui quei calcoli si fanno. Il Draghi “politico”, attento a valutare i rapporti di forza, sta bene attento a non contraddire la linea dominante; ma il Draghi economista non può non vedere che il metodo attuale impone un’austerità eccessiva e ingiustificata, e ha trovato il modo di metterla in discussione mettendo in evidenza il suo punto debole a livello tecnico. E di questo, come si diceva, gli va senz’altro reso merito.

Jyrki Katainen e Pier Carlo PadoanL’Italia, come Padoan stesso ha ricordato, è stata finora la sola a contestare quel metodo in un documento ufficiale. La risposta della Commissione, per bocca del vice presidente Jyrki Katainen, è stata coerente con la granitica ottusità dei falche dell’austerità: quella metodologia è stata approvata da tutti gli Stati, ha detto, quindi non c’è niente da protestare. Una risposta formale a una contestazione sostanziale, che, se l’Italia sapesse farsi valere un po’ meglio, sarebbe stata sufficiente a provocare una immediata richiesta di dimissioni o quanto meno una dichiarazione pubblica di sfiducia. Ma tant’è.

Date queste premesse, abbiamo chiesto al ministro Padoan, anch’egli presente al convegno, se la cosa fosse finita così o se l’Italia abbia intenzione di insistere nel far valere le sue ragioni. Padoan ha risposto ricordando come se si adottasse la metodologia di calcolo dell’Ocse per il Pil potenziale i nostri conti risulterebbero già ora ben oltre gli obiettivi, in surplus invece che in deficit. Ha poi sottolineato che l’Italia è stata il solo paese, finora, ad avanzare una contestazione ufficiale, ma che dopo quella mossa “molti paesi hanno manifestato il loro consenso”. E dunque, anche se una discussione in proposito non è ancora formalmente in agenda, cosa per cui “si seguono logiche particolari”, la questione non è stata abbandonata, “ci stiamo lavorando”.

Non c’è bisogno di sottolineare quanto sarebbe importante riuscire a far cambiare quel metodo di calcolo. Quella “flessibilità” sul bilancio che finora abbiamo chiesto invano ci spetterebbe di diritto, perché d’improvviso si scoprirebbe che i nostri conti sono andati ben oltre gli obiettivi del Fiscal compact, cosa che la nostra economia ha pagato duramente con tre anni consecutivi di recessione, e se il prossimo non sarà il quarto – cosa mai accaduta nella nostra storia, neanche in tempo di guerra – dovremo ringraziare solo il crollo del prezzo del petrolio e l’indebolimento dell’euro. Ma il successo non è scontato. L’attuale politica è dovuta in parte all’ottusità ideologica dei tedeschi e dei loro alleati, ma in parte a una scelta, quella di usare la crisi per imporre definitivamente il modello liberista, con la compressione della condizione dei lavoratori e la privatizzazione del welfare e di quello che resta nell’area pubblica. Non è detto dunque che il razionale diventi reale, la tecnica è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Ma questa è davvero l’ultima speranza di attenuare quella morsa sul bilancio che ci ha fatto entrare in un tunnel da cui altrimenti non riusciremo ad uscire.


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