La polizza vita che rende quanto il materasso
Il nome è "Conto pensione", ma dopo sette anni di versamenti il capitale maturato è meno dei soldi versati: colpa di spese e tasse. Solo grazie alle detrazioni fiscali si va quasi in pari. Un esempio di prodotto venduto per quello che non è
(pubblicato su repubblica.it e kataweb.it il 30 mag 2007)
Le nostre nonne i soldi per fonteggiare gli imprevisti e per la vecchiaia li custodivano sotto il materasso. Noi, che siamo incomparabilmente più evoluti dal punto di vista finanziario, li mettiamo a volte in una polizza vita. Ma attenzione: il risultato potrebbe essere lo stesso.
Chi si occupa di economia riceve spesso richieste di consigli da parte di amici e conoscenti. Il collega che si presenta con l’estratto conto della sua polizza vita vorrebbe sapere se gli conviene puntare su quel prodotto, aumentando i versamenti, o diversificare con qualche altra cosa.
La polizza è di una compagnia che fa parte di uno dei maggiori gruppi bancari e assicurativi europei (non italiano). Non ne faremo il nome, perché i prodotti in questo campo sono numerosissimi (e magari quella stessa compagnia ne ha di più convenienti) e anche perché non risulta che, mediamente, ci siano abissali differenze tra una compagnia e l’altra. Vale però la pena di fare due conti su questo estratto, a titolo di esempio, in modo che ognuno possa poi provare a fare un analogo test sulla polizza che ha sottoscritto.
La polizza è di durata ventennale, ossia 240 versamenti mensili da 100 euro l’uno (in realà, in questo caso il versamento avviene una volta l’anno in un’unica soluzione). E’ una Unit linked, ossia il denaro raccolto viene investito tramite un Fondo d’investimento, in questo caso obbligazionario. Sono stati effettuati finora 86 versamenti, ossia dalla tasca dell’assicurato sono usciti 8.600 euro (in effetti 8.679, aggiungendo altri costi): e questa è la prima cifra da tenere a mente.
Il rendiconto annuncia, proprio all’inizio della pagina, che nell’ultimo anno è stato ottenuto un rendimento del 2,77%, contro una performance del benchmark (ossia del parametro di riferimento, costituito da un indice o da un paniere di obbligazioni: in questi fogli non viene specificato) dell’1,71%. Quindi i gestori sono stati bravi, hanno battuto di oltre un punto il valore medio di mercato.
La soddisfazione però comincia a scemare quando si legge la tabellina in fondo alla pagina, che riporta i saldi, le tasse, le spese e il controvalore del capitale attualmente maturato. Andiamo subito a quest’ultima cifra: se la polizza scadesse oggi, ci spetterebbero 6.826,69 euro.
Non è un errore di battuta, avete letto bene: nei circa sette anni di vita della polizza gli 8.679 euro versati e – si suppone – gestiti al meglio da valenti professionisti, sono diventati 1.852 in meno.
Il perché lo si desume da un’altra riga della tabellina. Vi è indicato il versamento dell’anno, 1.240 euro; le imposte, 30,25 euro; i costi, 85,61 euro. L’importo netto che rimane, quello che sarà effettivamente investito e su cui si applica quel rendimento che nell’anno passato è stato del 2,77%, è 1.124,14 euro. Fra imposte e costi se ne sono andati 115,86 euro, il 9,34% del versamento; più precisamente, il 2,44% per le imposte e il 6,9% di costi. Insomma, per investire ho speso il 9,34% e poi ho guadagnato il 2,77: quindi ho il 6,57% in meno di quando ho cominciato. Mica male.
Se ci fermassimo qui, tutte le assicurazioni ci salterebbero addosso dicendo che le conclusioni sono sbagliate, sbagliatissime. Perché? Perché non abbiamo considerato il rispamio fiscale. Lo Stato, infatti, con una mano prende (quei 30 euro), ma con l’altra dà, concedendo una detrazione dei 19%, nella denuncia dei redditi, sulle polizze di tipo previdenziale fino a 1.291,14 euro di premio. Si potrebbe obiettare che questo poco c’entra con la gestione finanziaria, ma siccome c’entra con la convenienza o meno per il risparmiatore calcoliamo anche questo.
Su 1.200 euro l’anno la detrazione del 19% vale 228 euro, per sette anni fanno 1596. Ma abbiamo voluto essere anche più ottimisti e abbiamo ipotizzato che questi 228 euro siano stati investiti ogni anno ai tassi del mercato monetario (cioè quelli del mercato interbancario: cosa che a un privato difficilmente riesce). La tabellina che segue mostra come si arriva alla somma cumulata:
Anno |
Tasso |
Nuovo Flusso |
Ctv totale |
2000 |
4.2 |
228 |
|
2001 |
4.2 |
228 |
237.576 |
2002 |
3 |
228 |
485.13 |
2003 |
2 |
228 |
734.52 |
2004 |
2 |
228 |
981.774 |
2005 |
2.5 |
228 |
1233.97 |
2006 |
3 |
228 |
1498.519 |
2007 |
3 |
228 |
1752.41 |
(Nota: per il 2007, si è considerato il rendimento di 1498 euro per sei mesi)
Grazie al fisco, dunque, alla somma che ci ridarebbe oggi l’assicurazione possiamo aggiungere 1.752 euro e quindi in totale torniamo a 8.578, quasi da dove eravamo partiti. Il rendimento complessivo, calcolato in questo modo, è – 0,07%. Appena peggio del materasso. Se i 1.200 euro l’anno li avessimo investiti – teniamoci prudenti – al 2,5%, ora ne avremmo circa 9.400.
Preveniamo un’altra possibile obiezione. La polizza offre un’altra garanzia: in caso di morte pagherà un capitale di 97.800 euro, cosa che certo non avremmo investendo da soli quelle cifre. Ebbene, questa è l’unica giustificazione possibile per un impiego dei soldi in questo modo, e certamente ha la sua importanza: basta che si sia coscienti che si sta facendo un’assicurazione sulla vita, e non una pensione integrativa, obiettivo per cui esistono certamente strumenti più efficaci. Il nome della nostra polizza, però, è “Conto pensione”: sicuramente sarebbe meglio cambiarlo.
Tiriamo le somme. Polizze di questo genere non sono un buon investimento finanziario. Vanno bene se ci si vuole assicurare sulla vita, cosa che – giustamente – ha un costo. Ma allora bisogna valutare se non convenga pagare una polizza rischio-morte “secca” e per investire scegliere qualche altra cosa. Di sicuro, è bene avere qualche amico esperto in calcoli finanziari.