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 Politica Riduci

L’arroganza del banchiere
anti-euro

Ogni tanto Renzi ne fa una giusta: per la prima volta un premier italiano reagisce alle dichiarazioni derisorie verso l’Italia di un tecnocrate. Anzi, avrebbe dovuto farlo in modo più formale. Il presidente della Bundesbank oltretutto è un anti-europeista e la Merkel lo usa come spauracchio. La partita vera però è su chi sarà il Commissario agli Affari economici: su quello, più che sulla nomina della Mogherini, si dovrebbe riuscire a incidere

(pubblicato su Repubblica.it il 4 lug 2014)

Non sono un fan di Matteo Renzi, ma questo non significa che quando fa qualcosa di buono non gli si debba riconoscere. Sarà per la sua spavalderia un po’ guascona, ma fatto sta che è la prima volta che un premier italiano reagisce quando personalità di altri paesi europei si permettono di prendere a schiaffi l’Italia, magari anche in modo derisorio, come ha fatto il presidente della Bundesbank Jens Weidmann.

Il signor Weidmann è descritto come un “falco” dell’austerità, ma forse è anche qualcosa di più e di diverso: è un vero nemico dell’Unione europea e dell’euro e punta abbastanza scopertamente alla sua rottura. Nessun altro significato si può dare alla sua testimonianza, davanti alla Corte costituzionale tedesca, nel ricorso contro la famosa svolta di Mario Draghi nell’atteggiamento della Bce che mise fine, nel luglio 2012, alla speculazione sui debiti pubblici che mirava appunto alla deflagrazione dell’euro, il famoso “whatever it takes” (tutto il necessario).

Jens Weidmann, presidente BundesbankE’ altrettanto noto che bastò quella frase a fermare la speculazione, senza bisogno di impegnare un solo euro in interventi sul mercato. Un successo, dunque, clamoroso e completo. Questo si era già potuto verificare quando, qualche tempo dopo, Weidmann fu chiamato a dire la sua davanti alla Corte. Eppure il suo intervento fu durissimo, con un attacco frontale alla Bce che – secondo lui – era andata oltre il suo mandato. Se la Corte tedesca gli avesse dato retta si sarebbe scatenata immediatamente un’altra ondata speculativa che, anche se fosse stata rintuzzata, ci avrebbe comunque danneggiato in termini di risalita dello spread e quindi maggiore spesa per interessi. Per fortuna qualcuno deve aver spiegato ai giudici quali potevano essere le conseguenze della loro decisione, conseguenze che avrebbero danneggiato anche la Germania, che dall’euro ha tutto da guadagnare. Un “qualcuno” certo molto vicino ad Angela Merkel, che, essendo un animale politico di razza, ha ben chiara la situazione e i suoi vantaggi, e quindi tira la corda ma stando attenta a non farla spezzare (finché non sbaglierà i conti…).

Perché Weidmann si comporta così? Forse rimpiange una Bundesbank regina delle banche centrali europee e non, come ora, solo uno dei componenti del sistema europeo delle banche centrali guidato dalla Bce. Forse è semplicemente d’accordo con il partito anti-euro tedesco, che non è nato per iniziativa di populisti incolti, ma di autorevoli intellettuali come l’economista Hans-Werner Sinn, che è uno dei suoi leader. Persone convinte che la Germania starebbe meglio da sola (o meglio, con solo i suoi satelliti) anche mettendo in conto l’inevitabile rivalutazione che il ritorno al marco comportarebbe. Una linea che l’astuta Merkel non condivide, e si è visto in chi ha più fiducia la maggioranza dei tedeschi.

Molti hanno interpretato le due linee come un teatrino “poliziotto cattivo-poliziotto buono”, come si vede nei film. Probabilmente è vero da parte della Merkel, a cui le sparate di Weidmann permettono ogni tanto di far la figura di quella più conciliante: anche questo fa parte della sua abilità politica. Altrettanto probabilmente, invece, Weidmann non recita: punta proprio alla rottura.

Renzi dunque ha fatto benissimo a richiamarlo all’ordine, invitando la Bundesbank a fare ciò che prevede il suo statuto senza entrare nel dibattito politico, e provocando la precisazione del governo tedesco che la banca centrale “è un organismo indipendente”, il che equivale a una doverosa presa di distanza. Anzi, sarebbe stato opportuno un intervento più formale da parte del governo italiano. Prendiamone nota per il futuro, se dovesse accadere ancora che chi prenderà il posto di nullità politiche come Josè Manuel Barroso o Olli Rehn si dovesse permettere espressioni men che rispettose verso l’Italia. Negli ultimi anni i tecnocrati, cani da guardia della disastrosa politica economica dominante, si sono montati la testa e hanno preso gusto a distribuire voti e pagelle ai paesi sovrani molto al di là dei loro compiti istituzionali.

Il sussulto d’orgoglio di Renzi, dunque, è stato quanto mai opportuno. Ma la partita vera è ancora aperta, ed è quella delle nomine alla Commissione. A quanto pare Renzi punta ad ottenere per il ministro Federica Mogherini il ruolo di Alto rappresentante per la politica estera, e non è escluso che ci riesca, se dobbiamo prendere come un segnale positivo il benevolo articolo che oggi le dedica Der Spiegel. Ma sotto il titolo magniloquente c’è ben poca sostanza, mentre il posto che conta è quello di Commissario agli Affari economici, che i Popolari vorrebbero trasformare addirittura in un “supercommissario” affidandogli anche la presidenza dell’Eurogruppo. L’Italia non può aspirare a metterci uno dei nostri, ma è importante che almeno non sia una personaggio schierato sulla linea dell’austerità, come accadrebbe con la conferma del finlandese Jyrki Katainen (che ha sostituito a fine giugno Olli Rehn che si era dimesso per diventare deputato europeo) che le indiscrezioni danno in pole position. E’ da quel nome che si vedrà se davvero il nostro paese ha riacquistato un po’ di potere contrattuale.


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