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 Ricordo Riduci

De Cecco e il suo
sguardo sul mondo

Il 17 settembre l'Università di Siena ha voluto ricordare Marcello De Cecco, che là aveva insegnato per molti anni, nel giorno della sua nascita. Tra i numerosi interventi di coloro che l'hanno conosciuto e apprezzato, quello del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che ha coordinato la sessione "De Cecco e l'euro". Pubblico qui il mio intervento. La giornata si è conclusa con la decisione unanime di istituire un premio intitolato all'economista

Siamo qui per ricordare che Marcello De Cecco è stato un grande economista. Ma non bisogna dimenticare che è stato anche un grande editorialista. Marcello aveva la capacità, che non è di molti, di riversare le sue conoscenze, la sua grande cultura e il suo sguardo acuto sul mondo in articoli di giornale, cioè in uno spazio ristretto, esiguo rispetto alla normale produzione di uno studioso, senza per questo perdere in profondità e in efficacia. In quegli spazi ristretti, in cui commentava il susseguirsi degli eventi di attualità, non mancava mai, però, un qualche riferimento storico. Il fatto della settimana, o del giorno, veniva sempre inquadrato in una prospettiva di lungo periodo, a volte di lunghissimo periodo. Al contrario di tanti economisti che mostrano di pensare che il cuore della loro disciplina sia la matematica, e che solo i loro complessi modelli le conferiscano un valore scientifico, De Cecco la praticava come una scienza sociale, e la conoscenza della storia era la premessa indispensabile per poter interpretare la realtà.

Se si considera la capacità di fare previsioni corrette come una prova della validità di un metodo, allora bisogna ammettere che il metodo di De Cecco era decisamente valido. Se si rileggono i suoi articoli si trovano numerose testimonianze di questa capacità di estrapolare le tendenze che stavano disegnando il futuro. Per esempio gli allarmi sul declino dell'Italia, quando ancora quel termine non si usava e quel concetto era assente dal dibattito pubblico. Oppure sul fatto che si sarebbe andati verso un progressivo smantellamento delle protezioni del lavoro e dei sistemi di welfare, prima che si manifestassero segnali in questo senso. Dopo la caduta del Muro, scrisse De Cecco, i sistemi capitalistici non devono più confrontarsi con una possibile alternativa, e dunque si preoccuperanno molto meno del consenso sociale dei cittadini. Si potrebbero fare vari altri esempi, ma ne ricordo ancora solo uno relativamente recente: la previsione che il prossimo grande problema per l'Italia sarebbe venuto dall'enorme aumento delle sofferenze bancarie. Un altro tema che, all'epoca in cui lui ne scrisse, nella primavera del 2013, era del tutto assente almeno dall'attenzione dei mezzi di comunicazione di massa.

Il programma della giornataCome nascevano questi articoli? La premessa era che De Cecco si informava a tappeto. Per esempio, che un economista leggesse una pubblicazione della Banca dei Regolamenti internazionali di Basilea, opera del suo ex capo ufficio studi Steven Cecchetti, è abbastanza normale. Che fosse in grado di citare un discorso del governatore della Banca centrale polacca, che si riferiva solo a problemi del suo paese e non aveva avuto dunque una risonanza internazionale, testimonia invece una ampiezza di informazione decisamente non comune. Per inciso, lo studio di Cecchetti mostrava che la crescita del settore finanziario coincide, nei paesi sviluppati, con una diminuzione del tasso di crescita dell’economia reale. Era stato lo spunto per un intervento sugli eccessi della finanza in cui si citava tra l'altro Fernand Braudel (e il suo discepolo Giovanni Arrighi) descrivendone in breve la visione dello sviluppo capitalistico internazionale.

Questa massa di informazioni andava poi amalgamata ed elaborata, e per farlo De Cecco utilizzava una sorta di auto-maieutica. Negli anni in cui ero nella redazione di Affari & Finanza ho avuto il piacere di essere utilizzato da lui a questo scopo. Squillava il telefono, anche più di una volta a settimana, e la sua voce inconfondibile esordiva invariabilmente: "Come andiamo? Che è successo?". Che cosa stava succedendo, naturalmente, lui lo sapeva benissimo, ma voleva farsi "dare il là" per l'inizio di un dialogo in cui gli avrei fatto da "sparring partner", dandogli modo di sviluppare il suo discorso e le sue intuizioni. Di norma, poco dopo sarebbe arrivato in redazione un suo articolo sugli argomenti della discussione.

Il tono dei suoi articoli era sempre pacato, anche quando faceva affermazioni pesanti dal punto di vista politico, cosa niente affatto rara. De Cecco non puntava ad eccitare il lettore, esponeva con chiarezza i suoi ragionamenti complessi che avevano come scenario il mondo, quello attuale, quello del passato e quello che probabilmente sarebbe diventato, non facendo mancare battute e modi di dire popolari che alleggerivano la prosa senza mai scadere nella banalità.

Lo stesso tono veniva usato nei giudizi sui protagonisti della politica e dell'economia: non attacchi feroci, ma anche nessuno sconto. Vediamo per esempio cosa scrisse di Mario Draghi. Occupandosi spesso di politica monetaria, in vari articoli aveva espresso più di un apprezzamento per il presidente della Bce, lodando la sua capacità di interpretare uno Statuto che De Cecco definiva una camicia di forza per varare quelle misure non convenzionali che la situazione richiedeva, nonostante la costante opposizione della Bundesbank. Poi però, in un intervento sulla necessità di rilanciare la domanda interna, scriveva:

Draghi sembra essere ancora convinto, interpretando l’animus dei paesi nordeuropei che sembrano essere tornati al clima di superiorità  morale dei tempi dell’etica protestante messa da Max Weber alla base dello sviluppo del capitalismo, che la carità comincia a casa  propria e che l’altruismo non è una forma più intelligente di egoismo. Che Keynes, in altre parole, o le encicliche dei papi del novecento, siano sorpassate dalla globalizzazione che ha reso impraticabili le loro ricette per il superamento della deflazione. La carità comincia a casa propria, egli sembra dire, e a chi cade si dà un aiuto, che gli consenta di non morire di inedia ma certo non tale da permettergli di sfidare paesi basati sul risparmio e non sul debito. Dopotutto, se è dov’è, Draghi lo deve in particolare alla fiducia dei grandi creditori nordici. Quindi, egli salverà le loro banche e quelle del resto dell’area, se avranno di nuovo bisogno di aiuto, e metterà un pavimento sotto il debito pubblico dei grandi debitori meridionali, senza pregiudicare la giustizia dei mercati, come si suppone che funzioni.

Con un notevole understatement, questa frase dà onorata sepoltura a uno dei principi più proclamati e meno effettivi dell'attuale ideologia mainstream, quello dell'indipendenza del banchiere centrale. E in modo simile De Cecco si esprime su un documento dei cinque saggi tedeschi, mantenendo un tono sommesso pur nella nettezza del giudizio (siamo nel novembre 2015):

"I cinque saggi dell’economia attaccano la Bce che sta cercando di salvare il salvabile. Evidentemente i cinque saggi non sono perturbati dall’affermazione del lepenismo in Francia, dal ritorno degli Ustascia in Croazia, della destra cattolica in Polonia e da tutte le altre manifestazioni del profondo malessere popolare che tanti anni di deflazione a livello europeo hanno suscitato. Ora dettano a Draghi  di perseverare nell’errore imposto dalle politiche deflazionistiche. Quos deus perdere vult eos ipse dementat", gli dei tolgono il senno a coloro che vogliono perdere. E qui, accreditando ai saggi una convinzione in buona fede piuttosto che una tetragona volontà di perseguire una politica reazionaria, De Cecco, uomo bonario, è stato forse davvero troppo buono. 

Vedi anche: Addio a De Cecco, un'altra voce che ci mancherà (con link a un suo articolo)  


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