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 Finanza Riduci

Banche e finanza, la strigliata della Consob

La relazione annuale del presidente dell'Authority sulle società e la Borsa denuncia i punti oscuri del sistema e annuncia iniziative per correggerli. I costi eccessivi delle banche, i conflitti d'interesse che pervadono società e investitori istituzionali

(pubblicato su Repubblica.it e Kataweb.it il 9 lug 2007)

Un mercato ancora dominato dalle banche, che vendono agli investitori non i prodotti migliori ma quelli che convengono di più a loro, facendo pagare costi eccessivi, e sono immerse fino al collo nei conflitti di interesse. Quanto alle società quotate, aumentano quelle controllate da un unico azionista (nella maggior parte dei casi un patto di sindacato) e il 92% di esse ha una posizione in prodotti derivati, anche se l’importo complessivo è modesto; nell’80% dei casi, inoltre, almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione ha cariche in altre società quotate e per 162 società oltre la metà dei consiglieri sono in questa situazione. Queste affermazioni non sono contenute nella denuncia di un’associazione di difesa dei risparmiatori, ma nella relazione annuale del presidente della Consob Lamberto Cardia, tenuta a Milano davanti a 400 “big” della finanza, dell’industria e della politica.

 

Banche e clienti. Parlando del prossimo recepimento della direttiva europea sui servizi d’investimento (Mifid), Cardia ha detto: “Le reti distributive negli ultimi anni hanno visto privilegiare la vendita dei prodotti finanziari a più elevati margini di rendimento per i distributori e funzionali alle strategie di finanziamento dei gruppi di appartenenza. Gli alti costi di distribuzione riducono non solo il rendimento finale per gli investitori , ma anche le risorse destinabili all'innalzamento della qualità del servizio di gestione".

 

Dopo i casi Cirio e Parmalat le imprese faticano a finanziarsi sul mercato obbligazionario, perché gli investitori non si fidano più. A collocare obbligazioni sono rimaste quasi soltanto le banche, ma, dopo che la Consob ha invitato a inserire nei prospetti un confronto con i rendimenti dei titoli di Stato, è emerso che su un campione di 150 obbligazioni ordinarie emesse nel 2006 da banche medio-piccole, la maggior parte di esse ha avuto un rendimento peggiore di quello dei Bot. In particolare hanno riportato risultati inferiori 53 obbligazioni a tasso fisso su 83 e 55 a tasso variabile su 67. Inoltre poco meno della metà delle obbligazioni emesse sono “strutturate”, cioè funzionano in base a meccanismi complessi legati ad indici di mercato o delle Borse, impossibili da controllare per il normale investitore che oltretutto, nella maggior parte dei casi, non è in grado di valutarne correttamente i rischi. La Consob, ha detto Cardia, “da tempo è impegnata nella vigilanza sui possibili problemi derivanti dalle difficoltà di rappresentazione e di percezione dei profili di rischio di questi strumenti. Tale attività, che ha influito sulla virtuale scomparsa di categorie di prodotti particolarmente inadatti per la clientela al dettaglio, sarà ulteriormente sviluppata con il supporto di specifici modelli di analisi”.

 

Comunque, il risultato è che “l'aumento dei ricavi dei principali gruppi bancari italiani nel 2005 è stato trainato da una forte crescita delle commissioni nette (+16,4%) e del margine di interesse (+9,2), mentre si sono ridotti gli altri proventi di gestione (-54,5%) e i profitti da operazioni finanziarie (-27,2%)". Tradotto dal linguaggio tecnico, significa che  le banche hanno aumentato i profitti non perché hanno impiegato bene il denaro, ma perché hanno fatto pagare ai clienti spese e commissioni più salate.

 

Conflitti d’interesse. Oltre metà (52,4%) delle società entrate in Borsa l'anno scorso aveva rapporti creditizi con gli istituti che le hanno accompagnate nel percorso di quotazione. Non solo, i debiti finanziari contratti dalle “matricole” con i propri intermediari o sponsor rappresentano in media circa il 36% dell'indebitamento totale (contro il 24% nel 2005), mentre un quarto circa delle società aveva legami anche di natura partecipativa.

 

Quanto agli “investitori istituzionali”, quelli che dovrebbero fungere da cane da guardia del mercato nei confronti delle società, in Italia oggi sono essenzialmente le Sgr (Società di gestione del risparmio) Ebbene, i consiglieri delle Sgr presenti anche nel board della capogruppo (che è un gruppo bancario o assicurativo) o in altre società del gruppo sono ben il 67% del totale (erano il 69% l'anno precedente). Si può immaginare quanto abbiano voglia le Sgr di contestare in assemblea le decisioni di una società che è magari tra i migliori clienti della “casa madre”, se non magari addirittura collegata. In questo stesso capitolo si possono far rientrare gli incroci degli incarichi in diversi consigli di amministrazione di cui si è detto più sopra. Date queste situazioni, la Consob "ha allo studio l'ipotesi di assoggettare a più stringenti obblighi di informazione sulle operazioni con parti correlate le società che presentano un più elevato rischio di conflitto di interessi. Tali società potrebbero essere individuate in ragione degli assetti proprietari ovvero dell'articolazione delle attività del gruppo di appartenenza ".

 

Sanzioni inflitte. In questo mercato piuttosto opaco la Consob, ha osservato Cardia, non è rimasta inerte. Sono state inflitte “sanzioni amministrative pecuniarie a carico di 12 soggetti per un ammontare complessivo pari a oltre 21 milioni di euro, e sanzioni amministrative accessorie di carattere interdittivo a carico di 10 soggetti, per complessivi 72 mesi”. Inoltre, nei casi di "abuso di informazioni privilegiate", la Consob ha disposto nell’ultimo anno, "previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria, il sequestro del prodotto degli illeciti rilevati per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro".

 

Per rafforzare questa attività, la Consob ha "in corso una riflessione circa l'ipotesi di costituzione di un comitato indipendente per l'irrogazione delle sanzioni, in analogia con le principali esperienze estere". Quanto alle forme di patteggiamento amministrativo, Cardia si dichiara favorevole, a patto che siano resi pubblici i nomi di chi ha violato le regole, superando così il paradosso attuale che ha permesso ai 'furbetti del quartierino' di ricorrere allo strumento dell'oblazione, che prevede il pagamento di una sanzione in cambio di una 'pietra tombale' sulla vicenda: "Il risultato di eventuali transazioni dovrebbe essere reso pubblico e condizionato a iniziative correttive delle irregolarità accertate a differenza di quanto oggi accade con l'istituto dell'oblazione".

 

 

Governance. Oltre il 50% della capitalizzazione di Borsa Italiana è costituita da società quotate controllate da Patti di sindacato, con un un costante progresso del fenomeno che ha raggiunto il picco dal 1996, quando questa quota rappresentava poco più del 20% della capitalizzazione complessiva. In aumento è anche il numero delle società quotate controllate da una società non quotata su cui è in vigore un patto di sindacato, passato dalle 22 di fine 2005 alle 27 del 2006: nella quasi totalità dei casi questi patti hanno ad oggetto l'esercizio del diritto di voto sulla maggioranza assoluta del capitale della società controllante. Il modello di controllo delle società incide fortemente sulla dimensione del consiglio di amministrazione: le società controllate attraverso patti di sindacato hanno in media tre consiglieri in più (per un totale di 12,9 membri) rispetto alle società controllate di diritto (9,7 membri) o di fatto (9,7) da un singolo azionista; queste due ultime tipologie di controllo aziendale incidono per il 52% sulla capitalizzazione di Borsa, in linea con il dato dell'anno precedente (53%).

 

Quanto al modello di governance che si sta sempre più diffondendo, quello che prevede un consiglio di sorveglianza e un consiglio di gestione, “confonde piuttosto che chiarire i ruoli di gestione e di controllo che nel modello tradizionale erano chiaramente divisi fra consiglio di amministrazione e collegio sindacale. Emerge una tendenza ad attribuire al consiglio di sorveglianza ampi poteri deliberanti in merito a operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari: ne deriva una non sempre chiara distinzione tra funzioni di gestione e di controllo e tra le rispettive responsabilità". Per risolvere il problema Cardia propone "l'affidamento delle funzioni di controllo, con i connessi requisiti, a uno specifico comitato costituito all'interno del consiglio di sorveglianza. L'attribuzione ad un membro di tale comitato del compito di assistere alle riunioni del consiglio di gestione consentirebbe anche di superare i problemi di raccordo tra l'organo di vigilanza e quello amministrativo, recentemente emersi in importanti società quotate".

 

Il mercato e la politica. Anche i politici si sono presi una reprimenda. Riferendosi soprattutto al caso Alitalia – ma non solo – Cardia ha ricordato che è "responsabilità di tutti i soggetti coinvolti adottare comportamenti coerenti con le regole e le migliori prassi assicurando adeguata riservatezza alle trattative in corso, evitando la comunicazione di segnali fuorvianti e prematuri, riconducendo nelle sedi proprie la definizione e il confronto su eventuali scelte di indirizzo politico".

 

Ma, secondo il presidente della Consob, ciò non significa che la politica debba disinteressarsi dell’economia. Ad essa, infatti, spetta la definizione dei grandi obiettivi strategici. "E' compito del Parlamento e del governo, nell'ambito delle rispettive competenze, determinare il livello ottimale di conciliazione tra l'obiettivo di sviluppare il mercato dei capitali e quello del perseguimento di altri interessi pubblici, quali il controllo di settori o attività strategici". E’ evidente il riferimento a casi recenti come quelli che hanno coinvolto Autostrade o energia. Il presidente della Consob dunque non si schiera con i liberisti “senza se e senza ma”, visti anche i comportamenti degli altri paesi anche in Europa, ma invita la politica ad esplicitare delle linee strategiche e poi, evidentemente, attenervisi.

 

Quanto alle norme sulle Offerte pubbliche di acquisto (Opa), per Cardia va bene l’attuale soglia del 30%, che secondo alcuni dovrebbe invece essere resa variabile, ed è importante che sia al più presto adottata la normativa europea, che "sta ridisegnando le caratteristiche del mercato del controllo societario in Europa". Una veloce adozione della direttiva avrebbe il beneficio di "superare incertezze interpretative e dare al mercato indirizzi chiari, specie in materia di tutela delle minoranze azionarie. L'attuazione delle direttive sulla trasparenza societaria, i diritti degli azionisti e la revisione contabile porterà a compimento l'impegno di armonizzazione dell'Unione Europea".

 

Cardia ha parlato anche dei Fondi di private equity e degli hedge funds, da alcuni mesi grandi protagonisti delle maggiori operazioni di fusione ed acquisizione, dei quali di riconosce i meriti, ma ammonisce sui rischi di "opacità e minore efficacia della disciplina del governo societario derivanti dall'uso intenso di strategie e strumenti finanziari che consentono di dissociare l'interesse economico dall'esercizio del diritto di voto oppure di occultare l'acquisto di partecipazioni rilevanti". L'orientamento più diffuso fra le autorità internazionali è per un'autodisciplina del mercato e non per un'azione repressiva. La maggioranza dei soggetti o hedge funds peraltro, tranne il caso Blackstone, non sono quotati e quindi soggetti al controllo delle autorità di mercato.

 

La “black list”. Sono 17 le società quotate attualmente sotto stretta osservazione da parte della Consob, tenute cioè a informare ogni mese il mercato sulla propria situazione finanziaria e su eventuali iniziative di ristrutturazione o piani industriali. L'ultima "black list" vede infatti, in ordine alfabetico Alitalia, As Roma, Investimenti&Sviluppo, Data Service, Eurofly, Finarte, Innotech, Ipi, Montefibre, Partecipazioni italiane (ex Necchi), Olcese, Pagnossin, Richard Ginori, Ss Lazio, Tas, Veber Siber e Viaggi del Ventaglio. Alla fine del 2006 erano 15 le società quotate (mentre a fine 2005 erano 18) di cui 14 piccole o medie e una grande, "in situazioni di crisi o di tensione finanziaria non temporanea". Complessivamente queste società, tutte prive di rating, rappresentavano circa lo 0,3% della capitalizzazione di borsa a fine 2006.

 


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