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 Finanza Riduci

Fiat, bene sul mercato, debacle in Borsa

Pur avendo presentato eccellenti risultati sulle vendite 2007 il titolo è bersagliato al listino. I motivi sono estranei alla società e riguardano le valutazioni degli operatori sulla crescita economica e il mercato dell'auto in generale

(pubblicato su repubblica.it e kataweb il 4 gen 2008)

La Fiat crolla in Borsa perché americani e giapponesi comprano meno auto. Non auto Fiat, che in questi due paesi ha una quota di mercato quasi inesistente, ma auto in generale.

Secondo i dati dell'ultimo rapporto del Centro studi Promotor le vendite di auto in America nel 2007 sono scese del 3%, il peggior risultato da parecchi anni, e in Giappone addirittura del 7%. L'Europa si è difesa (+1%), con qualche difficoltà in Germania dove si fa fatica ad assorbire l'aumento dell'Iva del 3%. Sono andati alla grande, invece, i paesi leader della crescita mondiale, i cosiddetti Bric: Brasile +27%, Russia +66, India +13, Cina +21, ma questo non basta ovviamente a bilanciare la crisi nei paesi sviluppati.

In Italia le cose sono andate benissimo (anche grazie al bonus rottamazione): +7,07% le immatricolazioni del 2007 rispetto all'anno precedente. E per la Fiat ancora meglio: +9,2% sul 2006 e una crescita al 31,6% della quota di mercato, un livello che non si raggiungeva dal 2001. E le previsioni per il 2008, secondo l'Associazione dei costruttori Anfia, sono altrettanto buone.

Ma allora, perché il titolo Fiat è così bersagliato dalle vendite? Innanzitutto non è il solo. Se la Fiat scende a rotta di collo, non va meglio alla Honda o alla Nissan, alla Ford o alla Peugeot. A scatenare questa ondata sono state le previsioni Toyota: la grande casa giapponese, ormai primo costruttore del mondo, ha comunicato che prevede che le sue vendite in America nel 2008 non andranno molto bene.

I motivi di questa bufera sono essenzialmente due, entrambi legati al modo di operare dei gestori finanziari. Innanzitutto il gestore tenta sempre di anticipare le tendenze. Ha visto la crisi dei mutui sub-prime con tutte le sue conseguenze, l'impennata del prezzo del petrolio e delle materie prime, i segnali di risveglio dell'inflazione: ne ha dedotto che ci sono seri rischi per la crescita del mondo industrializzato (cosa che, d'altra parte, hanno detto anche tutte le istituzioni internazionali). Meno crescita significa meno soldi disponibili, e quindi meno acquisti di auto: quindi si vende prima che lo facciano gli altri (che, da parte loro, hanno già fatto lo stesso ragionamento, precipitandosi a loro volta a vendere).

Il secondo motivo è connesso alla diversificazione dei portafogli. Tutti i grandi investitori bilanciano il rischio ripartendo gli investimenti rispetto a diverse variabili, tra le più importanti delle quali ci sono la zona geografica e il settore merceologico. Quando un'azienda leader di un certo settore, o a maggior ragione una parte importante come sono i mercati americano e giapponese, vanno male, scatta la riallocazione del portafoglio: si diminuisce cioè il peso di quel settore rispetto all'insieme degli investimenti, presupponendo che il cattivo segnale non faccia ben sperare per il futuro.

A farne le spese, spesso, sono anche aziende che di per sé vanno bene e hanno magari anche buone prospettive, ma hanno il difetto di far parte del settore da ridurre.

Può essere questa, dunque, una spiegazione di quello che sta accadendo alla Fiat. C'è però da dire che i gestori non sono sciocchi (una buona parte, almeno). Al di là degli automatismi dettati dai computer, se un'azienda va bene a un certo punto ricominciano a comprarla. Se la Fiat confermerà i risultati positivi, è probabile che, passata la bufera, le sue quotazioni riprendano a salire.

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