La crescita e la filosofia dei governatori
Jean Claude Trichet e Ben Bernanke hanno parlato a poche ore di distanza l'uno dall'altro. Le preoccupazioni del presidente della Fed sono tutte per lo sviluppo Usa che sta rallentando, quelle del suo collega della Bce per l'inflazione, da controllare attraverso la moderazione salariale: a costo di rialzare i tassi affaticando ancora la modesta crescita europea
(pubblicato su repubblica.it e kataweb il 10 gen 2008)
Giovedì mattina ha parlato il presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet. Dopo le sue parole, le Borse hanno girato al ribasso e l'euro al rialzo superando quota 1,47 sul dollaro. Giovedì sera ha parlato Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve Usa. Dopo le sue parole, Wall Street che era in calo ha girato al rialzo e l'euro ha continuato a salire, superando quota 1,48 sul dollaro.
Trichet e Bernanke hanno fatto due discorsi praticamente opposti da vari punti di vista: sulle prospettive dell'economia nelle rispettive aree di competenza, sulle prospettive dei tassi d'interesse manovrati dalle due banche centrali, sui problemi più importanti che si propongono di fronteggiare.
L'economia dell'area euro, ha detto Trichet, continua a crescere a un tasso “vicino al suo potenziale”, che è del 2%, e non desta preoccupazioni; un rallentamento dell'economia degli Stati Uniti sarà bilanciato dalla crescita dei paesi emergenti. Il presidente della Bce è invece preoccupato da altri due fattori: l'inflazione e i bilanci pubblici. L'inflazione negli ultimi mesi è stata spinta da petrolio e generi alimentari, ha detto, e nel breve termine la pressione sui prezzi rimarrà robusta. In questa situazione "è essenziale proseguire nella moderazione salariale": la Bce non permetterà una spirale di rincorsa tra prezzi e salari. L'inflazione ancora nei prossimi mesi rimarrà "significativamente" superiore al 2% e dunque la Bce è pronta ad agire in qualsiasi momento per scongiurare il materializzarsi di rischi per la stabilità dei prezzi nel medio termine. Anche nella riunione del mattino, ha precisato il presidente, “sono state discusse tutte le opzioni”, compresa quella di un aumento dei tassi d'interesse, raggiungendo poi un consenso nel lasciarli al momento invariati.
Del tutto diversi, come si diceva, i toni di Bernanke. La Fed non ritiene che l'economia americana stia per entrare in recessione, ma "è pronta ad azioni significative" per sostenere la crescita, che appare in una fase di rallentamento a causa del calo dei prezzi delle case, delle difficoltà del mercato del credito e del rialzo del prezzo del petrolio. Dunque, un nuovo taglio dei tassi d'interesse potrebbe rendersi necessario. "Siamo pronti - ha aggiunto - a mettere in atto azioni aggiuntive e sostanziali per supportare la crescita e per provvedere in maniera adeguata a evitare i rischi di rallentamento".
Dalle sue parole gli analisti hanno tratto la previsione che nella riunione di fine mese (29-30 gennaio) del Fomc, il Federal Open Market Committee (il board della Fed), sarà deciso un taglio dei tassi di mezzo punto percentuale, al 3,75%, a cui, secondo alcuni, dovrebbe aggiungersi un altro 0,25% entro la fine di marzo.
Come mai Trichet ha detto che l'economia va bene e le Borse hanno girato al ribasso e Bernanke, dicendo che l'economia va male, ha ottenuto l'effetto opposto? E' evidente che ciò che conta sono le prospettive sui tassi. Gli operatori finanziari scontano già le prospettive dell'economia, che conoscono senza bisogno di aspettare i discorsi dei governatori. Quello che fa la differenza è l'atteggiamento di questi ultimi: Wall Street ha festeggiato un prossimo ulteriore ribasso del costo del denaro, che potrà far cambiare in meglio l'andamento della congiuntura, mentre gli europei hanno accolto con disappunto la minaccia di una stretta, che affaticherebbe ancor di più la già non brillante crescita europea.
Insomma, sono state ancora una volta confermate le linee classiche delle due banche centrali. La Fed ha tra i suoi compiti statutari anche quello di sostenere la crescita (e Bernanke aveva appena visto i dati, diffusi in mattinata, sugli acquisti dei consumatori in dicembre, mese di importanza fondamentale, che sono andati piuttosto male). La Bce, invece, considera suo compito primario ed essenziale quello di tenere sotto controllo la stabilità dei prezzi: i problemi della crescita vengono dopo.
Il richiamo di Trichet alla moderazione salariale appare significativo: non è la prima volta che lo fa, ma i maligni che sostengono che la Bce non è altro che una Bundesbank allargata fanno notare che in Germania i metalmeccanici hanno chiuso il contratto strappando un aumento di circa il 5% (anche se il contratto varrà 16 mesi invece del consueto anno) ed ora sono alla stretta finale i Verdi, che non c'entrano niente con gli ecologisti ma sono la federazione dei lavoratori dei servizi, con più di due milioni di iscritti. I Verdi hanno chiesto aumenti tra il 6 e l'8% (per chiudere probabilmente anche loro intorno al 5). In passato la Bundesbank, di fronte a richieste contrattuali considerate troppo alte, aumentava i tassi come deterrente. La Bce minaccia di fare altrettanto. Anche in Italia, del resto, ci sono alcuni milioni di lavoratori in attesa del rinnovo del contratto.
La conclusione di tutto questo è che, per il prossimo futuro, ci terremo il super-euro, e sarà difficile che la crescita europea mostri performance smaglianti. In compenso – si fa per dire – qualche rischio d'inflazione rimane, non tanto per gli aumenti salariali, che arrivano dopo anni di stagnazione per le buste paga, quanto piuttosto – oltre che per il caro-petrolio – per la sovrabbondanza di liquidità che le banche centrali continuano a rovesciare sui mercati (Trichet ha annunciato altri interventi coordinati nei prossimi giorni) per tamponare i danni causati dalle banche con la vicenda dei mutui sub-prime.